Yann Moulier Boutang: ecologia e reddito

Copincollo qui sotto un’intervista a Yann Moulier Boutang, economista francese teorico del capitalismo cognitivo che ora fa parte di Europe Écologie, la federazione di verdi, associazioni ecologiste e movimenti che ha preso il 12% alle ultime regionali dopo un ottimo risultato anche alle europee. Mi sembra un documento interessante, leggetevi anche il loro programma. Ecologia, sviluppo, precarietà, reddito, crisi, produzione, prima cominceremo anche noi a tenere insieme queste parole prima anche l’Italia avrà una sinistra adeguata alle trasformazioni che stiamo vivendo.

«Ambiente e precari, noi abbiamo fatto così»

Parla l’ideologo dei verdi francesi

Ecolò è la nuova presa della Bastiglia. La bandiera vincente anti-Sarkozy. Uno «spettro» convincente (non più ideologico) che si aggira affascinando tutta l’Europa. Molto più di una suggestione perfino nell’Italia orfana delle sinistre. Yann Moulier Boutang, classe 1949, allievo e biografo di Louis Althusser, professore di scienze economiche e direttore della rivista Multitudes, incontra informalmente al bar del parco San Giuliano i «gemelli» veneziani. Yann è il «cervello» di riferimento per Daniel Cohn-Bendit, l’alternativa del ’68 rigenerata dall’ecologia politica.

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Copenaghen: Odio i summit!

I hate summits. Questa frase, sentita a Copenaghen da un fratello danese, per me racchiude la sensazione che il decennio noglobal, con i suoi appuntamenti fissi, cioè summit e controsummit, sia finito. A Copenaghen abbiamo visto l’ultima mobilitazione degli anni Duemila. Negli anni Dieci vedremo un movimento nuovo e diverso? I giorni di Copenaghen sono passati, ma gli effetti del vertice e del debutto sul palcoscenico mondiale del movimento per la giustizia climatica sono ancora tutti da analizzare. Nei giorni scorsi insieme alla neve sono fioccati i commenti positivi, che come si diceva nell’enfasi della vigilia parlano della rinascita di un movimento che tenga insieme le diverse soggettività radicali del mondo e si ponga obiettivi politici di livello globale.

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Seattle in bici: sex and violence

Come un sacco di altre cose, anche la bici qui sulla west coast è un mondo a parte. A Seattle, che è una città piena di salite insormontabili in stile Mortirolo, il ciclista urbano è una specie in espansione. Ovviamente, in bici ci va chi è cool, con una bici da corsa da un milione di dollari oppure vestito come un Hell’s Angel, su una bmx o un chopper a pedali. Bici normali, da città, semplici come quella che usa mia mamma, non se ne vedono. La mia vecchia mountain bike sembra un reperto archeologico, quasi mi vergogno a usarla, forse dovrei customizzarla un po’ alla ciclofficina locale. Bah.

Oggi però sono andato al Tour De Fat, una specie di circo a pedali organizzato dalla Bicycle Alliance of Washington e sponsorizzato da una birra… pedali e boccali, un’accoppiata niente male. Si partiva con una parata per il quartiere di Fremont, in cui si sono visti bici e abbigliamenti (e nudità) assolutamente spaziali. No limits! Poi si tornava al parco del quartiere per bere, mangiare, e ballare al ritmo della sgangherata orchestra che suonava marce e musiche, appunto, da circo. Divertentissimo, e alla fine una ragazza ha vinto una bici dietro solenne promessa di non usare l’auto per un intero anno. Sotto trovate qualche foto.

La settimana scorsa invece – causa jet lag e assenza di un mezzo a pedali – mi sono perso la mensile critical mass. E meno male, perché è finita all’ospedale e in galera! Un automobilista circondato di ciclisti ha accelerato e ne ha mandati due al pronto soccorso. A quel punto la gente lo ha tirato fuori dall’auto riempiendolo di botte, gli ha distrutto i finestrini e tagliato tutte le gomme! Risultato: due arresti (rilasciati su cauzione di 1.000 dollari). L’automobilista non è ancora stato accusato di nulla, e la polemica monta, con i due giornali della città schierati anti-critical mass e il settimanale alternativo pro-massa. Non si è parlato d’altro per tutta la settimana. In fondo c’è anche la foto della bici di uno dei ciclisti investiti.

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Da Saragozza: Expo no!

Ho scritto questo articolo dopo un breve viaggio a Saragozza nei giorni dell’inaugurazione dell’Esposizione internazionale 2008. In attesa dell’inizio dei lavori per la Expo Universale di Milano del 2015, ho potuto dare un’occhiata alle dinamiche economiche e politiche entrate in gioco in Aragona. Ps: il mio sguardo era quello dei movimenti ecologisti che hanno contestato la Expo. Per un punto di vista più ottimista si legga qualsiasi giornale di Spagna (e del mondo). Per le foto, dovete aspettare ancora qualche giorno.

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Wu Ming – Previsioni del tempo

“Giuliano si era chiesto ancora una volta perché diavolo fosse necessario andare a prendersela su la Nord, la monnezza, che ce n’era più che abbastanza lì da loro.” È così, con un viaggio di monnezza su e giù per le autostrade martoriate italiane dalla pioggia, che anche i Wu Ming esordiscono tra i titoli della collana VerdeNero delle Edizioni ambiente, la serie di noir tascabili di scrittori italiani sponsorizzata da Legambiente e tutta dedicata a esplorare i sudici (in ogni senso) territori delle ecomafie all’italiana, storico nemico dell’associazione ambientalista.

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Il business lava piĆ¹ verde

C’è un mondo dove le auto non inquinano e scorazzano in terre incontaminate (cioè senza auto), dove le multinazionali del petrolio producono energia pulita e si può fermare il riscaldamento climatico consumando di più. È quello della pubblicità, in cui le aziende più inquinanti cercano disperatamente di nascondere le loro code di paglia, darsi una bella mano di verde e rivendersi come protettrici dell’ambiente.

Il dubbio però è che come al solito stiano difendendo i loro profitti, e non le nostre vite. Se volete votare gli spot più ipocriti andate sul sito del Greenwashing Index, e partecipate alla pagella collettiva per bocciare le pubblicità che lavano più verde.

Il popolo del NoTube!

Con colpevole ritardo segnalo l’articolo di Jenner Meletti e Paolo Rumiz sulla Repubblica di un paio di settimane fa. E’ la prima volta che la stampa nazionale si occupa della campagna NoTube, che ha scaldato la politica piacentina degli ultimi mesi: una serie di progetti per centraline idroelettriche sui corsi d’acqua più belli e importanti dal punto di vista naturalistico della provincia (su tutti, il Trebbia), depositati da una società presieduta da Chicco Testa, ha scatenato l’opposizione di un comitato ad hoc e della quasi totalità della popolazione della provincia.

Anche in questo caso è stata la mobilitazione dal basso a dare un segnale ai politici e ai tecnici che avevano propagandato le centraline come grande occasione di sviluppo. Per ora siamo arrivati a un pronunciamento unanime del consiglio provinciale, e al ritiro dei progetti più devastanti. Grazie a firme, manifesti, presidi, assemblee, ma anche grazie alla produzione di sapere scientifico-tecnico da parte del comitato. Si ritorna sempre lì: chi ha ragione? Loro o noi?

Qui potete scaricare l’articolo di Repubblica in pdf, e qui ascoltare la puntata dedicata a NoTube da Radio Laser. 

La Cina malata di NIMBY

La sindrome NIMBY, Not in my backyard, che pareva aver contagiato solo il famigerato "popolo dei no" nostrano, è arrivata anche in Cina. O meglio, è arrivata sui media. Soprattutto su YouTube, dove si possono vedere le proteste dei cittadini di Shangai contro l’estensione del Maglev, il treno a levitazione magnetica da 400 km/h. Proteste che sono rimbalzate anche sui media internazionali.

Secondo WorldChanging, le proteste sono state le più grandi avvenute a Shangai (una città che è stata spesso culla di movimenti sociali) dopo quelle anti-giapponesi del 2005. E sono state favorite dall’uso e dalla diffusione delle tecnologie del web, come i blog o la stessa YouTube, sulla quale è apparso questo commento: “Thank you Youtube! For giving us this space and allowing us to see the
people’s reactions. Domestic websites are deleting our posts on the
maglev faster than we can write them, and for such a large incident as
this, the media is largely silent!

Di certo, i cittadini non vedono di buon occhio gli sventramenti che saranno causati dalla costruzione della nuova linea ad alta velocità, che in alcuni quartieri passerà sopra alle abitazioni e come minimo ne diminuirà il valore commerciale. Che la nuova sfida da affrontare dai governanti cinesi sia lo scontro con i movimenti locali? C’è chi la pensa così, come lo storico californiano Jeffrey Wasserstrom.

Cibo, quanto ci costi?

Un articolo pubblicato da Liberazione in uno speciale natalizio sul cibo, insieme alla recensione di Mauro Capocci del nuovo libro di Peter Singer. Vegan Reich!

Vi lamentate del prezzo delle zucchine? Fare la spesa è diventato sempre più proibitivo?  Immaginate cosa potrebbero dire le persone che vivono nei paesi meno ricchi del nostro, che stanno subendo un aumento ormai globale dei prezzi del cibo. Il 2007 è stato l’annus horribilis in cui il grano ha raggiunto i 400 dollari alla tonnellata e l’indice dei prezzi del cibo dell’Economist ha raggiunto il valore massimo dalla sua nascita nel 1845.

Partiamo proprio dall’Economist, il settimanale del capitalismo globale, che nelle scorse settimane ha pubblicato uno speciale sul cibo (tradotto in Italia da Internazionale), incentrato sul prezzo delle derrate alimentri, che come è noto sta salendo a dismisura in tutto il mondo. Il titolo dell’Economist è sin troppo chiaro: La fine del cibo economico, un pronostico sulla fine del cibo a basso costo cui ci avevano abituato la rivoluzione verde e l’uso del petrolio in agricoltura, per far andare i trattori ma anche per produrre fertilizzanti e diserbanti. Questi fattori tecnici, insieme all’aumento dei terreni coltivati, ci hanno garantito per decenni una gran quantità di cibo a prezzi relativamente bassi, anche se non tutto il mondo sarebbe d’accordo con questa visione (si pensi ai cronici problemi di approviggionamento alimentare di alcune zone dell’Africa). Bene, forse quell’era è finita. E anche nella sua fine è implicato il petrolio, non quello a poco prezzo del dopoguerra ma quello a 100 dollari il barile della guerra in Iraq e dell’aumento della domanda globale.

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Dizionario del pensiero ecologico

Nell’era di Wikipedia e di Google, c’è ancora bisogno delle enciclopedie? Chissà se Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente, e Daniele Guastino, professore di filosofia della Sapienza di Roma, si sono posti questa domanda mentre scrivevano questo libro. Insieme, hanno dato vita al Dizionario del pensiero ecologico. Da Pitagora ai no-global (Carocci, 440 pagine, 29,50 euro), un libro che ha la forma di una vera e propria piccola enciclopedia dell’ambientalismo mondiale.

Comunque, la risposta alla domanda, dopo aver letto il Dizionario, potrebbe essere: sì. Infatti il percorso seguito dagli autori caratterizza il libro e gli fornisce uno sguardo particolare, che dal magma della rete può faticare a emergere, ma che qui può aiutare il lettore a indagare i legami che l’ecologia stringe con il pensiero filosofico, ma anche con quello scientifico, con i movimenti e con le trasformazioni sociali oltre che con quelle strettamente ambientali. Anche perché nello sviluppo del pensiero ecologico, come sottolineano gli autori, “gli intrecci e i rimandi tra scienza e filosofia, tra umanismo e naturalismo, sono la regola”.

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