Il vero dottor Stranamore

Alla famosa frase di Oppenheimer, che disse la bomba atomica aveva fatto conoscere ai fisici il peccato, il suo arcinemico Edward Teller rispose che piuttosto avevano conosciuto il potere. E al potere questo fisico protagonista del Progetto Manhattan e della successiva corsa agli armamenti è stato sempre vicino. Per esempio, è stato in grado di influenzare le scelte dei presidenti americani sullo sviluppo e l’uso delle armi termonucleari.

Il vero dottor  Stranamore. Edward Teller e la guerra nucleare (Raffaello Cortina, 592 pagine, 36 euro), il libro di Peter Goodchild, come la vita del padre della bomba a idrogeno imponeva, mescola fisica e politica ed è una ricostruzione molto interessante e documentata. Anche se a volte l’autore sembra pendere verso la simpatia per un personaggio così difficile da digerire come Teller, il suo libro è equilibrato nel raccontare gli scontri sostenuti e gli errori commessi, e ha il pregio di tentare di indagare anche gli intrecci di potere che ne hanno avviluppato l’attività.

Teller odiava il paragone con il dottor Stranamore, lo scienziato pazzo protagonista del film di Stanley Kubrick. Eppure fu il maggiore propugnatore dello sviluppo dell’arsenale nucleare americano, lo sponsor instancabile di numerosi test atomici, venne chiamato “il più grande killer della storia americana” e arrivò a proporre di usare la bomba per scavare un nuovo canale di Panama, il Canale panatomico.

Il suo concetto di deterrenza nei confronti dell’Unione sovietica a suon di bombe e scudi stellari gli valse l’odio dei pacifisti, una torta in faccia lanciata nientemeno che da Jerry Rubin (foto sotto) e più in là negli anni un ironico premio IgNobel per la pace “per aver dedicato la vita al cambiamento del concetto di pace quale era stato inteso sinora”. Proprio per questo, al di là delle valutazioni politiche, questo libro è un buon modo per capire quanto la scienza sia lontana dalla proverbiale torre d’avorio e quanto sia invece in grado di entrare nei luoghi dove si decidono i destini del mondo. 

(da Le Scienze di gennaio)

 

Hasta siempre, Abel Paz

Abel Paz, pseudonimo di Diego Camacho, forse l’ultimo vivente tra i combattenti della Columna Durruti ci ha lasciato il 13 aprile, nella sua Barcellona. Classe 1921, era giovanissimo quando combattè il fascismo nella guerra civile spagnola, ma da allora non ha mai abbandonato le sue idee anarchiche. Lo ricordo con le parole e una foto che cinocino gli ha scattato 3 anni fa nella sua modesta casa di Carrer Verdi, in Gracia, da cui mi portò a casa un suo libro con una dedica.

Soy anarquista y ser anarquista es ser una persona coherente (paz espiritual, la tranquilidad, el campo, trabajar lo menos posible, el suficiente para poder vivir, disfrutar de la belleza, del sol. Disfrutar de la vida con mayúsculas, ahora se vive en minúsculas). Tener una conducta personal. Llevar las ideas a la práctica al máximo, sin esperar que haya una revolución. Eso se puede hacer ahora. Es una concepción filosófica, es un estado de espíritu, una actitud ante la vida. Pienso que esta sociedad está muy mal organizada, tanto socialmente, como políticamente, como económicamente. Hay que cambiarlo todo. El anarquismo invoca una vida completamente diferente. Trata de vivir esta utopía un poco cada día.

Hasta siempre, Abel

Il 64mo aprile dalla liberazione

Anche quest’anno si avvicina il 25 aprile. Il calendario delle iniziative dell’Anpi di Piacenza è pronto: si comincia giovedì 9 aprile con la presentazione del libro Razza partigiana. Leggetevi la recensione di Andrea Capocci e venite a sentire la storia del partigiano italo-somalo Giorgio Marincola, 23 anni, studente antifascista nero, partigiano decorato con la medaglia d’oro.

9 aprile 2009, ore 21.00, presso Auditorium Sant’Ilario, via Garibaldi, Piacenza:

Intervengono:

Wu Ming 2, Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, autori del libro, Isabella Marincola ed Antar Mohamed, sorella e nipote di Giorgio.

Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come
un colore qualsiasi sulla carta geografica… La patria non è
identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa
libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli
oppressori.

Giorgio Marincola a Radio Baita, gennaio 1945

Clicca sull’immagine qui a fianco per scaricare il manifesto di tutte le iniziative (salvo l’inaugurazione del nuovo Museo della resistenza piacentina, curato da noi, che aprirà il 25 aprile con una grande festa a Sperongia di Morfasso – piena zona partigiana della Val d’Arda).

 

Faccio del populismo paragonando rom ed ebrei

Su stimolo di Ricambi Riciclati, copincollo e modifico da Wikipedia:

"Gli ebrei
I nomadi non potevano acquisire terreni al di fuori del ghetto campo, e spesso nemmeno
in quello. Dovevano in ogni caso vivere confinati all’interno dei
ghetti campi, quindi durante i periodi di crescita della popolazione le case,
spesso ormai piene, dovevano essere rialzate sempre di più. I ghetti
campi avevano quindi strade strette e case alte e affollate. Ma la cosa più
terribile era che il recinto del ghetto campo (proprio così veniva spesso
chiamato) era chiuso da una o più porte. Queste venivano chiuse al
calar del sole, per essere riaperte solo all’alba. Durante le ore buie
gli ebrei i rom non potevano per nessuna ragione allontanarsi dal ghetto campo nomadi.
Spesso i residenti necessitavano di un visto per poter uscire dai
limiti del ghetto campo anche durante il giorno."

Lo so, ho fatto un’operazione scorretta e vile. Ma se leggete Repubblica e le norme sui campi rom di Alemanno, non si vede questa gran differenza.

Contro lo sgombero di Cox 18

Contro lo sgombero di Cox 18, il centro sociale che contiene la libreria Calusca City Lights e l’Archivio Primo Moroni, domani un corteo nel quartiere ticinese di Milano. Partenza alle 15 da piazza XXIV maggio. Qui trovi il comunicato dell’assemblea pubblica di ieri che ha indetto il corteo.

E un brano da Gli invisibili di Nanni Balestrini:

"e così hanno cominciato il via vai del trasloco dall’armadio ai bauli delle macchine io ero disperato sapevo che il mio archivio non l’avrei mai più rivisto sarebbe marcito nelle cantine di qualche questura o tribunale sarebbe scomparso come negli anni dopo sarebbero scomparsi tutti gli archivi dei compagni distrutti da loro stessi tutti i giornali tutte le riviste tutti i volantini tutti i documenti tutti i manifesti tutta la stampa del movimento distrutta scomparsa tutto cacciato in cartoni e in sacchi di plastica della spazzatura e bruciato o gettato nelle discariche quintali di roba stampata la storia scritta del movimento la sua memoria scaricata negli immondezzai data alle fiamme per la paura della repressione una paura giustificata perchè bastava un volantino trovato in una perquisizione per farsi qualche anno di galera allora"

Anpi vs. Miracolo a Sant’Anna

Stasera ore 21.30 multisala Iris Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee. Visione collettiva poi riunione Anpi per decidere il da farsi. Chi non viene è un Pansa.

Far parte del Comitato giovani Anpi "Comandante Muro" di Piacenza significa anche ricevere sms così, dato che la tensione sul revisionismo anche dalle nostre parti resta alta. Dunque ieri sera ho visto il film oggetto di mille polemiche. Mi sono annoiato, anzitutto. Mi sono stupito per quanto fossero banali alcune scelte del regista: per esempio, americani e italiani parlano tra di loro in italiano, senza problemi. I tedeschi no. Oppure, le coincidenze molto forzate come il giornale che cade da una finestra proprio sul tavolo del diretto interessato. E il bambino? Vogliamo parlare del bambino? Direte, è una favola. Si, ma che due balle. Per rendere onore alla divisione "Buffalo" sarebbe servito un vero film di guerra, e non tre ore di noia a volte anche un po’ mielosa.

Riguardo alle accuse di revisionismo, sappiamo che la strage non fu causata dal tradimento di un partigiano e non fu una rappresaglia ma un atto premeditato, come ormai stradimostrato dalla storia e dai tribunali. Su questo Spike Lee fa grossi errori. Direte: è un’opera di fantasia, e in effetti non incolpa i partigiani. Ma non c’è solo quello. La cosa più fastidiosa, perfettamente coerente con il clima di revisionismo che stiamo vivendo, è l’assenza dei fascisti. Ci sono solo un ragazzo morto (ucciso dai partigiani cattivi, ovviamente) e un vecchio inoffensivo che verrà ucciso dai nazisti. Fascisti bravi ragazzi, fascisti innocui e un po’ rinco, fascisti tutto sommato patriottici che hanno commesso l’unico errore di allearsi con Hitler. 
Infine, i partigiani: eroici, umani, votati al sacrificio, ok. Ma sono solo quattro sfigati, sbandati, montanari disperati del tutto ininfluenti dal punto di vista bellico e politico, e si prendono anche le sassate della popolazione. Anche qui, niente di nuovo, ma da Spike Lee mi aspettavo qualcosa di meglio. Voto: attacco a sorpresa della volante sulla via Emilia, minare il cinema.

Lenin a Seattle

Il crollo delle ideologie porta anche a questo: una enorme statua di Lenin nel quartiere hippy e artistoide di Seattle, altro che Emilia rossa. Abbattuta in una piazza slovacca, un americano l’ha salvata e trasportata a Fremont, il centro della controcultura degli anni sessanta di Seattle. Ora è un’attrazione turistica, e leggendo la sua targa si scopre che il suo valore è solo artistico e che vuole dimostrare che l’arte è neutrale e più importante delle ideologie. Se vi interessa, è in vendita: i ricavati serviranno per foraggiare la scena artistica di Fremont e la sua fricchettonissima Solstice Parade. Povero Vladimir Ilich Uljanov.

Addio a Mario Rigoni Stern

Lo scopriamo oggi: una settimana fa è morto Mario Rigoni Stern, scrittore, montanaro, combattente nella seconda guerra mondiale. Con l’Anpi di Piacenza (Associazione nazionale partigiani d’Italia) avevamo più di una volta pensato di invitarlo a parlare in occasione del 25 aprile. Dalle nostre parti, negli ultimi tre anni, sono passati tra gli altri Lidia Menapace e Angelo Del Boca, a raccontare insieme a decine di partigiani piacentini un tempo speciale per il nostro paese.

Mario Rigoni Stern non è stato partigiano, ma ha vissuto lo stesso periodo in un modo in un certo senso simile: si è trovato a gestire il vuoto di potere lasciato dalla disfatta del fascismo, un momento in cui una generazione che non aveva mai conosciuto la democrazia si è ritrovata senza capi e senza leggi. Libera, in un senso più pieno e più pericoloso di quanto possiamo immaginare oggi. Quella generazione ha dovuto reinventare e sperimentare sul campo una forma di gestire i rapporti umani, prima ancora di mettere alla prova le sue idee politiche – quando le aveva.

In un paese di montagna, a inventarsi le leggi di una repubblica partigiana o il modo di gestire i rapporti con la popolazione, oppure nelle nevi della Russia, cercando di riportare a casa un esercito abbandonato dai suoi ufficiali e dai suoi governanti. Comunque, è una generazione dalla quale abbiamo ancora da imparare, senza bisogno di attingere alla retorica sulla Resistenza. Di Mario per fortuna ci restano i libri.

Non ho l’arma che uccide il leone

Sono passati quasi trent’anni dall’approvazione della legge 180, o legge Basaglia, quella che ha chiuso i manicomi e ha messo l’Italia all’avanguardia nel campo della psichiatria del tempo. O meglio, dei diritti umani, applicati anche, guarda un po’, agli utenti psichiatrici.

A ricordare quel 13 maggio del 1978 contribuisce la ristampa di Non ho l’arma che uccide il leone (Stampa Alternativa, 336 pagine, 15 euro), uscito per la prima volta nel 1980, poco dopo la fine di quel periodo di lotte che aveva coinciso non per caso con gli anni settanta. L’autore, Peppe Dell’Acqua, è uno dei protagonisti dell’epopea del manicomio di San Giovanni a Trieste, il “Magnifico frenocomio” che con l’arrivo di Basaglia era diventato il principale laboratorio della liberazione dei matti dalle porte sbarrate, dalle inferriate e dal potere che si esercitava su di loro in tutte le piccolezze della vita quotidiana di un recluso in una “istituzione totale”.

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Hacker scienziati e pionieri

Chi sono gli hacker? Sono innanzitutto persone che condividono un’attitudine e un’etica e che si erano messe all’opera ben prima dell’inizio della rivoluzione informatica e della nascita della stessa parola «hacker». Gli eroi dell’era dell’informazione sono coloro che hanno creduto negli ideali della libera condivisione delle idee, della ricerca e della curiosità.

Le loro vicende si sono svolte quasi sempre al di fuori della scienza ufficiale, nei garage, nei dormitori per studenti e nell’industria, e le loro idee, una volta applicate, hanno dovuto superare la prova del confronto con il magma della società e dell’economia. Soltanto lì esse trovano la loro strada, diventando a tutti gli effetti prodotti culturali del loro tempo. Sono queste idee a guidare Carlo Gubitosa, giornalista, saggista e segretario dell’associazione Peacelink in Hacker scienziati e pionieri. Storia sociale del ciberspazio e della comunicazione elettronica (Stampa Alternativa, 240 pagine, 13 euro).

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