Heathrow: siamo armati solo di scienza

armedwithpeerreview2.jpgAll’aeroporto londinese di Heathrow il Climate Action Camp della settimana scorsa ha dato vita a un movimento ecologista che ritiene che per salvare il mondo sia indispensabile un cambiamento sociale.

Guardate la foto qui a fianco. Gli attivisti marciano verso Heathrow sotto uno slogan esplicito: «siamo armati solo di scienza sottoposta a peer review». Quella che da anni avverte, sempre più compatta, che la catastrofe climatica si avvicina, e che la colpa è della CO2 prodotta dalle attività umane. Cui contribuiscono in misura crescente le emissioni dovute al traffico aereo, un settore in esplosione irrefrenabile.

Dal campo, organizzato secondo principi di risparmio energetico, vegano e alimentato da pannelli solari, ci arriva un nuovo esempio di uso diretto delle conoscenze scientifiche da parte di movimenti sociali. Avevate mai visto un corteo che invece del Libretto rosso di Mao sventola le pagine del rapporto su traffico aereo ed emissioni pubblicato dal Tyndall Center for Climate Research? Un movimento che fa un uso più smaliziato dei dati scientifici, certo, ma che non fa che mettere in atto quello che (quasi) tutti i governi del mondo si guardano bene dal fare, sotto alla cortina fumogena dei proclami ambientalisti.

Ma la salvezza non verrà certo dal nuovo business del carbon offset, denunciato occupando e bloccando le sedi di Climate Care Oxford e Carbon Neutral Company a Londra. Quello che reclamano dal Climate Camp, infatti, è qualcosa di più di una riduzione cosmetica delle emissioni: «Social change, not lifestyle change». E dal sound system a pedali del campo uscivano queste parole: «Non solo un cambiamento del clima, ma anche un clima di cambiamento».

Hacker scienziati e pionieri

Chi sono gli hacker? Sono innanzitutto persone che condividono un’attitudine e un’etica e che si erano messe all’opera ben prima dell’inizio della rivoluzione informatica e della nascita della stessa parola «hacker». Gli eroi dell’era dell’informazione sono coloro che hanno creduto negli ideali della libera condivisione delle idee, della ricerca e della curiosità.

Le loro vicende si sono svolte quasi sempre al di fuori della scienza ufficiale, nei garage, nei dormitori per studenti e nell’industria, e le loro idee, una volta applicate, hanno dovuto superare la prova del confronto con il magma della società e dell’economia. Soltanto lì esse trovano la loro strada, diventando a tutti gli effetti prodotti culturali del loro tempo. Sono queste idee a guidare Carlo Gubitosa, giornalista, saggista e segretario dell’associazione Peacelink in Hacker scienziati e pionieri. Storia sociale del ciberspazio e della comunicazione elettronica (Stampa Alternativa, 240 pagine, 13 euro).

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Pesa di più un chilo di carne…

Un chilo di carne? Peggio che guidare un’auto per tre ore lasciando tutte le luci di casa accese. Lo dice uno studio giapponese che prende in considerazione gli effetti della produzione di carne sul riscaldamento globale, sull’inquinamento e sul consumo di energia.

Secondo la ricerca, pubblicata su Animal Science Journal, per produrre un chilogrammo di carne si emette l’equivalente di 36,4 chilogrammi di anidride carbonica (senza contare i pesticidi e i fertilizzanti e l’energia consumata). Insomma, più o meno come percorrere 250 chilometri in auto e lasciare accesa una lampadina da 100 watt per 20 giorni.

Naturalmente si tratta di uno studio parziale, in cui si usano gli standard di produzione giapponesi ma senza calcolare l’impatto, per esempio, del trasporto della carne. Ma i due terzi dell’energia necessaria per produrre il famoso chilo di carne se ne vanno per il trasporto del cibo con cui nutrire gli animali. E tra le soluzioni proposte dagli autori, non figura l’opzione vegetariana, o meglio ancora vegana, che pure in altri studi è risultata di gran lunga la più efficace nel ridurre il nostro impatto sul pianeta.

Jon Turney: scienza, libri… e Frankenstein

Science writer, editor, insegnante di scrittura saggistica creativa all’Imperial College di Londra, Jon Turney è innanzitutto un amante della scienza narrata, immaginata, rappresentata, come testimonia il suo blog.

La sua passione è esplorare il confine artificioso tra le due culture, scientifica e umanistica, attraversandolo e ibridandolo, parlando di scienza anche tramite la letteratura e il cinema. Su quel confine si muove infatti l’unico libro di Turney pubblicato in Italia: Sulle tracce di Frankenstein. Scienza, genetica e cultura popolare (Einaudi, 360 pagine, 19 euro), una ricerca negli immaginari della modernità della figura del mostro inventato da Mary Shelley.

Non è un caso, secondo Jon Turney, che sia possibile ripercorrere la storia della biologia degli ultimi due secoli leggendo i romanzi, i testi teatrali, le pubblicità che hanno interpretato e stimolato i timori e le speranze legati alla manipolazione tecnoscientifica dei viventi. A partire da un libro che ha saputo reinventarsi e tramandare fino ai nostri giorni una figura, quella dello scienziato come moderno Prometeo, che oggi sopravvive insieme a mille altre immagini popolari della scienza.
Si parla di scienza in tantissimi media: film, internet, televisione, pubblicità. Nel Ventunesimo secolo c’è ancora un ruolo per i libri?

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Marsha Tyson Darling: consumismo riproduttivo

Utili, indispensabili, ma mai neutrali. Sono le tecnologie riproduttive e genetiche, i cui effetti sulle donne, ma non solo, sono legati a diversi fattori: la classe sociale, la posizione geografica, gli interessi delle aziende. Lo sostiene Marsha Tyson Darling, studiosa statunitense e membro del Global Network for Women’s Reproductive Rights.

A Wonbit, il convegno su donne e biotecnologie che si è tenuto a Roma dal 21 al 23 giugno scorsi, Darling ha parlato di «Genere e giustizia nell’era del gene». La sua attenzione alle questioni sociali la ha portata a parlare di un «consumismo» riproduttivo, che ha effetti diversi alle diverse latitudini e che coinvolge classi e generazioni diverse.

Se infatti «le tecnologie riproduttive e genetiche emergenti hanno tantissimi effetti positivi», è vero anche che «alcune questioni, che hanno a che fare con i rischi e con gli impatti negativi sulle donne, restano sottovalutate».

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Philippe Aigrain: Causa Comune

In bilico tra bene comune e oggetto di appropriazione privata, l’informazione è al centro dell’interesse di Philippe Aigrain, un ricercatore che ha lavorato alla Commissione europea nel campo delle politiche a sostegno del software libero e open source.

Oggi Aigrain dirige Sopinspace, un’azienda che progetta software per gestire spazi pubblici di dibattito. Nel suo libro Causa Comune (Stampa alternativa, 200 pp, 16 euro, scaricabile gratuitamente dal sito della casa editrice) Aigrain chiede che le istituzioni diano a quelli che definisce «beni comuni informazionali» – non solo software ma anche sequenze genetiche, contenuti web, risorse educative libere e accessibili – garanzie di legittimità e autonomia, per impedire l’appropriazione privata e allargarne l’uso a tutti. Si tratta di un problema politico ma anche economico, se è vero che l’informazione è diventata uno dei principali motori dello sviluppo anche grazie alla produzione cooperativa, come insegnano Wikipedia e altri mille esempi di condivisione aperta.

Perché la scelta di difendere i beni comuni informazionali?
Questi beni, come il software libero, i contenuti Creative Commons o l’editoria scientifica open access, sono importanti perché sono a disposizione di tutti, ma anche per il metodo collaborativo che prevedono. Yochai Benkler (autore di La ricchezza della Rete, ndr) ha dimostrato che questo tipo di collaborazione non commerciale è più efficiente rispetto ai classici approcci proprietà/contratto/transazione monetaria.

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Operazione: Pretofilia. Sia fatta la sua Volontè

La censura dell’integralismo cattolico si abbatte sui videogame ma si scontra con la forza della rete. Dopo l’intervento della delirante Lega anti-diffamazione cattolica e dopo l’interrogazione parlamentare di Luca Volontè dell’Udc, Molleindustria ha ritirato dal sito il suo nuovo videogame, Operazione: pretofilia.
Orrore, il gioco era un atto d’accusa contro le politiche di copertura del Vaticano nei confronti dei preti pedofili.

Come sempre succede, molti altri siti hanno deciso di pubblicare il gioco per aggirare le censure dall’alto, tra cui diversi blog della piattaforma NoBlogs di A/I.
Ma nella notte tra il 2 e il 3 luglio Dio ha telefonato in America, convincendo i gestori del server a oscurare tutta la piattaforma NoBlogs, vale a dire centinaia di blog, non solo quelli che mirroravano il gioco.

I risultati sono stati tre: testare il funzionamento del Piano R* di Autistici, una rete di server sparsi per tutto il mondo sviluppata proprio per resistere ad attacchi di questo tipo: dopo poche ore NoBlogs era tornato in piedi; verificare che (come hanno confermato gli avvocati del server Usa) il gioco in questione non aveva nulla di illegale, cioè non rappresentava nessuna istigazione alla pedofilia – casomai la metteva all’indice; aumentare ancora di più la fama e la diffusione del gioco, che ora potete trovare sul sito di Volontè, ma anche qui, qui, qui, qui, ecc

La forza armata del pensiero

Chip impiantati nel cervello, grazie ai quali dei futuribili supersoldati potranno comandare gli armamenti con il pensiero. Ma che possono anche essere usati per curare la cecità e il morbo di Parkinson. Sono i possibili percorsi applicativi delle neuroscienze, quel ramo della ricerca che studia il cervello e che negli ultimi anni sta facendo passi da gigante, ricevendo fondi sempre maggiori.

Certo, ci sono molti problemi aperti, teorici e pratici, a causa della complessità del cervello, la struttura più intricata che l’evoluzione abbia prodotto. Ma ci sono anche dilemmi di tipo etico, e per discuterli negli ultimi anni è sorta un’intera disciplina: la neuroetica, che si occupa delle ricadute di questa disciplina sulle nostre esistenze e sul nostro stile di vita. Per esempio quando viene prodotto un nuovo farmaco per potenziare l’intelligenza, quando si propone di sottoporre i sospetti criminali a macchine della verità, o si studiano i meccanismi neurali dell’orientamento sessuale o dei comportamenti violenti.

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Le piante sociali

Anche le carote soffrono! La classica FAQ cui ogni vegetariano impara ben presto a rispondere a memoria resta un'ipotesi surreale (i vegetali non hanno sistema nervoso). Ma le piante potrebbero, perlomeno, avere una sorta di vita sociale.

Anche le piante infatti riconoscono i loro simili quando li hanno vicini, e si comportano di conseguenza. Lo hanno dimostrato Susan Dudley e Amanda File, ricercatrici canadesi che hanno scoperto che le piante che crescono vicino a vegetali di una specie diversa dalla loro sono più competitive di quelle circondate da simili: per esempio, mettendo più energia nella crescita delle radici.

Le piante, quindi, si accorgerebbero della presenza dei vicini tramite cambiamenti nella chimica del suolo o scambiandosi segnali chimici che vengono percepiti dalle radici, e possono regolarsi di conseguenza. Secondo Dudley, del resto, "il fatto che le piante abbiano una vita sociale segreta è qualcosa di ben noto agli ecologi vegetali".

“I giardinieri sanno che alcune coppie di piante stanno meglio di altre, e noi scienziati stiamo cominciando a capire come ciò avvenga. Le piante che hanno la stessa madre possono essere più compatibili tra loro di quelle della stessa specie ma di origine diversa. Più ne sappiamo, più le interazioni tra piante sembrano complesse, per cui sarebbe difficile prevedere il risultato. Proprio come quando in una festa si mettono insieme persone diverse".

Biologia sintetica, brevetti reali

Stavolta per Craig Venter, lo scienziato-imprenditore che sta lavorando anche nel campo della biologia sintetica, le notizie arrivano direttamente dall'Ufficio Brevetti: è proprio da lì che esce la storia pubblicata da ETC Group, un gruppo di attivisti

Il Venter Insitute ha infatti depositato negli Stati Uniti (application numero 20070122826 del 31 maggio 2007), ma anche in altri cento paesi di tutto il mondo una richiesta di brevetto per il Mycoplasma Laboratorium, Synthia per gli amici, un batterio il cui dna è stato sintetizzato completamente in laboratorio. Una richiesta dal sapore monopolistico, che reclama la proprietà esclusiva di un insieme di geni essenziali e di un "organismo vivente capace di crescere e replicarsi" usando quei geni.

Sollevando le proteste di ETC, che dichiara di non volere "mettersi in una strategia a lungo termine per cancellare i brevetti cattivi. Questi brevetti devono essere bloccati prima di venire accettati". Perchè "queste richieste di monopolio sono segnali dell'inizio di una gara commerciale per creare e privatizzare forme di vita sintetiche".

Dal 1999, infatti, Venter è alla ricerca della vita minima, cioè dell'organismo dotato soltanto dei geni indispensabili per la sopravvivenza, cui sarà possibile, in futuro, aggiungere altri geni per ottenere le prestazioni biochimiche ed ecologiche desiderate.