Ma la scienza chi la fa: solo gli scienziati in camice bianco? La domanda messa così è un po’ semplicistica. Ma alla faccia dei grandi personaggi eroici, i Galilei, i Darwin e gli Einstein, in Storia popolare della scienza (Tropea, 528 pagine, 24,90 euro) Clifford Conner ha deciso di ribaltare la prospettiva e raccontare la storia della scienza dal punto di vista degli artigiani, dei fabbri, degli operai e dei mercanti che hanno contribuito al suo sviluppo dal basso, senza gloria o riconoscimenti. Sulla falsariga di A people’s history of the United States, il capolavoro di Howard Zinn, Conner costruisce una storiografia al contrario e ci dà un punto di vista originale da cui osservare lo sviluppo della conoscenza scientifica.
Nella sua visione, dalla biologia aborigena a Linux la scienza è un prodotto collettivo, frutto dell’agire creativo della gente comune. Le classi dominanti si appropriano della conoscenza prodotta dal popolo per controllarla e goderne i benefici, e la Big Science è asservita ai bisogni dello stato. Sembra un seminario dell’Hackmeeting. Il suo punto di vista marxista a volte suona troppo rigido e anche un po’ ingenuo, ma su una cosa siamo d’accordo: vogliamo il riconoscimento della creatività dal basso e più controllo democratico sulla scienza! Sull’economia mondiale pianificata sono un po’ meno preparato…
Intanto ci cominciamo a godere un po di garage science?