Mentre la Mayday si avvicina, i devoti del Santo se la prendono con il flashmob di Infojobs, falsi amici dei precari e veri sciacalli della crisi.
Di seguito il racconto dell’azione:
PREMESSA
Infojobs è un sito di e-recruitmen, primo in europa per numero di offerte curricula in banca dati. "Recruitmen" è una brutta parola inglese che in italiano si potrebbe tradurre con una parola addirittura peggiore: reclutamento. Infojobs non è un agenzia interinale, è semplicemente un sito che accumula curricula di lavoratori che poi vengono visionati dalle aziende che in un modo o nell’altro pagano per farlo. Nel mare nostrum della precarietà esiste ben di peggio ma… c’è un grosso "ma" che pesa come un macigno.
ANTEFATTO
Nel mondo della precarizzazione vale tutto: si spediscono curricula ovunque, si cerca lavoro a 360 gradi, in ogni momento della giornata ed in ogni settore, anche quando il lavoro c’è già. In pratica si aizzano le antenne in modo da minimizare i momenti di stallo ed evitare se possibile i lavori peggiori. Infojobs è entrato senza troppe pretese nella vita di alcuni di noi proprio in questo modo. Certo, 3 milioni di curricula a fronte di 75.000 imprese richiedenti costituiscono una probabilità infima di trovar sistemazione. Tentar non nuoce, come si dice.
Un giorno però dal sito in questione viene lanciata una campagna mediatica: "Non mi serve uno zio vescovo"; che si declina in versione universitaria in "Non mi serve uno zio barone", e amministrativa in "Non mi serve uno zio ministro". Con un videoclip girato a Roma (costoro lavorano soprattutto al nord, che bisogno c’era di andare nella capitale per girare uno spot dal vago sapore "Un americano a Parigi" in salsa leghista, come se lì non ci fossero precari, ops, disperati in cerca di lavoro e fossero tutti raccomandati?) si insinua l’idea che Infojobs rappresenti la parte sana dei lavoratori e del mercato del lavoro.
Un’opera melliflua di branding e di marketing virale che culmina nel lancio di un flash-mob: in due piazze centrali di Milano e Roma, un fotografo avrebbe immortalato dall’alto un gruppo nutrito di infojobbers, entusiasti del partecipare alla "foto di gruppo più grande della loro vita". I quali ovviamente non avrebbero mancato di invadere i social networks con la notizia, facendo ulteriore pubblicità (gratuita) al sito.
Può sembrare una valutazione eccessiva, ma secondo noi trasformare un sito di scambismo lavorativo in una comunità di amici, giovani e brillanti serve a distogliere l’attenzione da ciò che da sempre recita a MayDay: la precarietà è una brutta bestia, per combatterla non serve "migliorare" il mercato del lavoro, ma è necessario creare una rete attiva e solidale di precari, che diffide delle illusioni delle aziende, che si batta per un reddito decente, per i propri diritti e per molto altro ancora.
CIAK! SI GIRA
Decidiamo quindi di andare noi stessi al flash-mob, in carne, ossa e precarietà, per scrivere tutto ciò su dei cartelli: "Non abbiamo uno zio vescovo ma non ci serve neanche uno zio pappone di nome Infojobs". Oltrettutto gira voce che la campagna sia costata più di due milioni di euro (!), sai che gusto rovinargli la festa!…
L’appuntamento è in Piazza della Scala alle 19.00, a soli 3 giorni dalla MayDay. Ci presentiamo con striscioni, cartelli, megafono. Siamo una quarantina, visto il lancio in pompa magna temiamo che gli infojobbers siano una valanga. "Con tutto quello che hanno speso, chissà quanti ne avranno prezzolati", ci diciamo noi. Vane considerazioni, piove a dirotto e alle 19 spaccate sono solo una ventina e poco più. Li si riconosce, hanno felpe e ombrelli d’ordinanza e si guardano attorno, smarriti, circondati da una piazza vuota, nella quale cercano di sfuggire dalla pioggia sparuti turisti orientali e un manipolo di annoiati poliziotti, schierati in tenuta antisommossa a presidiare l’ingresso di Palazzo Marino.
Noi, oramai ci disinteressiamo alla faccenda, e cogliamo l’occasione per riunirci e parlare di MayDay, ma il bello deve ancora iniziare… La vita è una valle di lacrime, ma alcune volte si ride di gusto. Sotto la galleria si parla quindi di tutto quanto c’è da fare per la MayDay imminente, mentre presenza della Digos intorno è insistente: "Cosa fate qua?", "Non vorrete fare mica irruzione in Comune…". Noi ci spostiamo quanto basta parlarci tranquillamente.
Nel frattanto gli infojobbers temporeggiano, forse aspettando speranzosi, tanto che decidiamo di mandare uno di noi a registrarsi al loro flash-mob per scoprirne il programma. Ed è proprio mentre la nostra talpa sta ricevendo l’ombrellino omaggio Infojob che, improvvisamente, un ragazzo dal sorriso smagliante (tra gli "animatori" del gruppo Infojob) si avvicina e ci chiede candidamente: "Non è che volete farvi una foto con noi in Piazza Affari?". Noi ci giriamo allibiti, serpeggia un senso di imbarazzo totale, ma dopo pochi istanti sfoderiamo un sorriso di circostanza e rispondiamo: "Perchè no?".
Il gruppone quindi si muove per alcuni metri ma un’altro imprevisto accade: la Digos, ormai stralunata, ferma prima gli infojobbers: "Ma che cosa volete fare con questi qui?", "Una foto, perchè?", "Ummmmm, fatemi vedere i permessi!", "Eccoli!"… ancora più innervositi, gli agenti si rivogono direttamente a noi: "Insomma, spiegatevi, ma che cosa siete venuti qui a fare?", "Una foto!"… la conclusione del Digos sbigottito resta impagabile: "Vabbè, siete grandi e vaccinati abbastanza per decidere di voler fare una foto con chi vi pare; andate dove volete! Questo però vuol dire che io non ci ho capito nulla!"
Oramai è il caos: gli infojobbers mostrano autorizazzioni e documenti, le forze dell’ordine sono insospettite da un’adunata che non sarà sediziosa ma per lo meno è sospetta. Noi fischiettiamo e sorridiamo manco fossimo testimonial di un dentifricio sbiancante. E lo strambo corteo, senza motivi per essere impedito, può riavviarsi verso la Borsa. La composizione del gruppo ormai, è talmente arzigogolata che manderebbe in crisi pure De Zan: aprono gli infojobbers, fanaticamente motivati a farsi ‘sta foto. A pochi secondi di distacco, seguono i cospiratori precari con bramosia chi ci precede come un lupo seguirebbe una pecora che lo invita ad un’aperitivo e ad uno stuzzichino.
La Digos fa la molla tra i due gruppi, affiancandosi insospettita a chiedere spiegazioni a chiunque. Chiudono due rappresentanti della MayDay giapponese che continuano a filmare tutto (Polizia compresa), in modo apparentemente divertito, pensando di viversi chissà quali agitazioni precarie. Chissà cosa racconteranno a Tokio, meglio non pensarci.
La pioggia batte forte, e i poliziotti, unici sprovvisti di ombrelli, si innervoscono. All’altezza di cordusio fermano il gruppo con inedita decisione, (flash-mob fai da te?, no Alpitour? ahi ahi ahi) e prendono l’iniziativa. Si rivolgono agli scambisti del lavoro e sfoderano la triste verità che cade come un macigno sulle teste dei poveri infojobber: "loro sono vostri nemici".
Non ci resta che estrarre il megafono, e sveliamo i nosri intenti sabotatori. Sui volti controllori sociali affiora finalmente un sorriso di sollievo:"finalmente!, qualcosa di convenzionale" sembrano sussurrare i loro sguardi. Insultiamo gli infojobbers con garbo, invitandoli a riprendersi ed evitare di descriversi come la parte sana del lavoro, e offrendogli ancora la possibilità di purificarsi nella MayDay. I più giovani sorridono, alcuni amaramente, i responsabili rosicano, e una ragazza con fare giovane e un po’ ebete si muove al ritmo del gracchiare megafonante, manco fosse una rapper; deridendoci forse, ma certo facendo un cattivo servizio alla dignità umana.
Che dire… MayDay batte infojobs 6 a 0.
Quando l’impresa pretende di farsi cultura è il momento di dire basta
(dal libro di san precario 12:36).
forse. ma perche lasciare che queste iene usino i linguaggi dei movimenti per sfruttare i giovani disoccupati e precari? sputtanarli รจ il minimo.
I disoccupati erano altrove.
Immagine contro immagine.
You tube contro facebook.
0 a 0.