Ci rivolgiamo ai precari e alle precarie, ai lavoratori e alle lavoratrici. Ai nativi ed ai migranti, uomini e donne. Ai contorsionisti della flessibilità, alle equilibriste del quotidiano. Ai cocoprecarizzati, alle interinali, alle false partite IVA, ai precari a tempo indeterminato e ai garantiti chissà fino a quando. Agli studenti, ai ricercatori, alle ricercatrici ed alle precarie della formazione e dell’informazione. A tutti/e quelli/e che cercano reddito e salario, a tutti/e coloro che pretendono diritti.
Let’s Mayday!
L’urlo che sette anni fa ha squarciato il silenzio imbarazzato dei media, e di ogni istituzione, di destra come di sinistra, che avvolgeva la questione precaria, si è trasformato oggi in una potente evocazione, in un riferimento unico, in una tappa imprescindibile della politica nazionale.
Ogni Mayday costituisce storia a sé, lo si sa, ma nell’arco del tempo il protagonismo dei precari e delle precarie si è fatto sempre più evidente assumendo una centralità che si è emancipata dall’intermediazione di sindacati, partiti e centri sociali. Nell’anno che ha ribadito l’inaffidabilità dei partiti “radicali” e lo smarrimento del movimento, precari e precarie hanno trovato modi e tempi per auto-organizzarsi nella rappresentazione di piazza e nell’evoluzione del percorso che unisce una Mayday all’altra.
La Mayday 007 parla di conflitto
Da sempre siamo convinti che la precarietà costituisca un elemento di crisi non solo nella società, ma anche nei movimenti sociali, politici e sindacali che cercano di attraversarla e cambiarla. E la Mayday ha dimostrato proprio questo. Chi vuole agire contro la precarietà non può non fare i conti con i meccanismi che la generano. La precarizzazione è un fenomeno complesso, un mix micidiale di atomizzazione, ricatto e consenso. Il crescente protagonismo dei precari è il frutto di un percorso che ha saputo, partendo dalla narrazione collettiva, generare un processo virtuoso che ha sostituito l’azione visibile, ma molte volte estemporanea, che ha preceduto molti primi maggio, in un’accumulazione continua di volontà, talenti e passioni che a loro volta hanno generato sempre maggiore partecipazione. La radicalità risiede nelle relazioni, si diceva due anni fa. La radicalità oggi, lo ribadiamo, sta nella capacità di tradurre le frustrazioni, l’isolamento e i ricatti che i precari vivono quotidianamente su un piano nuovo dove la delusione verso l’in/civiltà delle imprese si trasformi in complicità fra i precari e nel quale si sappia rinnovare il conflitto per fare fronte allo spiazzamento in cui la precarietà ci immerge.
La Mayday 007 parla di rivendicazioni
Pensiamo che la tutela del contratto a tempo indeterminato per chi vive una reale subordinazione siano ancora un riferimento importante per le rivendicazioni dei precari e delle precarie, ma siamo convinti che la struttura sociale, caratterizzata da questa forma di "stabilità", non possa più riprodursi oggi. La Mayday rivendica la generalizzazione dei diritti e invoca la continuità del reddito come elementi fondamentali per disarmare il ricatto permanente a cui precari e precarie sono sottoposti/e. Ma è importante fare almeno una precisazione: il governo del centro-sinistra è debole e non vuole cogliere le implicazioni di una diffusione a macchia d’olio della condizione di precarietà. I tavoli sugli ammortizzatori, sulle pensioni e sui nuovi diritti propongono un’articolazione complessa di "soluzioni" che si dirigono verso orizzonti che ci spaventano. La scelta di ammortizzare la precarietà anziché pensare a un insieme di misure, diritti, e tutele tali da rafforzare la posizione dei precari mostra un intendimento preciso: si vogliono tutelare i processi di precarizzazione – e quindi di profitto – attraverso i quali le aziende si stanno arricchendo, ammorbidendone tuttalpiù gli effetti più nefasti. Si vuole curare il sintomo senza preoccuparsi del male, sperando che il malato se ne dimentichi. La continuità del reddito invocata dalle decine di migliaia di partecipanti alle Mayday Parade di questi anni, può tradursi in un’opportunità, anziché in una ennesima catena, se consente ai precari di scegliere, di rifiutare i lavori peggiori, e quindi, implicitamente, di confliggere per migliorare le proprie condizioni. Ogni altra proposta definisce una traslazione della precarietà, ma non certo una diminuzione della sua intensità. Poco importa se siamo precari nella vita per i ricatti del mercato del lavoro o se lo siamo per i ricatti combinati di quest’ultimo e di un welfare che ci inchioda al dovere del lavoro a qualunque costo.
Dal conflitto al reddito passando per i cinque assi della precarietà
Sappiamo bene anche che la precarietà parte dal lavoro per permeare nel sociale ovvero nell’insieme di gesti, relazioni e scelte che ognuno di noi compie giorno per giorno, per necessità, per volontà, per sensibilità o per costrizione. In questo senso i cinque assi della precarietà rappresentano perfettamente l’orizzonte a cui guardare. La casa, oramai diritto proibito non solo per i precari, gli affetti, la formazione, l’accesso ai saperi e ad una mobilità libera, gratuita e compatibile con il nostro ambiente vitale, rimangono campi di intervento e conflitto fondamentali, che nelle diverse declinazioni incontrano ed attraversano da sempre la Mayday. Così come le tematiche dell’antiproibizionismo e dell’autoderminazione sulle quali il governo, che subisce l’offensiva clericale, si è dimostrato senza il carattere necessario per mantenere le promesse fatte. L’autoderminazione di sé, dei propri piaceri/desideri e la giusta pretesa di controllo sul proprio corpo sono istanze che non accettano inter/mediazione e vanno rivendicate attraverso la cospirazione dei soggetti.
La Mayday 007 parla di diritti, cittadinanza e nuove civiltà
Le campagne securitarie, i richiami all’ordine e alla legalità, la bossi-fini e i CPT costituiscono un perno fondamentale con cui si ricatta una parte importantissima del tessuto sociale: i migranti. Il vincolo tra lavoro e diritti di cittadinanza è una gravissima forma di barbarie e di ingiustizia che umilia ed esaspera le differenze, rendendo sempre più difficile la tanto millantata integrazione. I migranti oggi sono l’espressione più evidente di cosa significa precarietà di vita, e di come la fame di profitto delle imprese, bisognose di manodopera, non conosca limiti: il loro diritto al reddito, alla casa, alla salute, all’istruzione è, per legge, sotto il controllo delle imprese. E sempre attraverso la richiesta legalità, viene loro impedito di emanciparsi da questo giogo, come avviene in Lombardia per i proprietari del phone center, che dall’oggi al domani dovrebbero perdere la loro unica fonte di reddito e tornare alle ricerca di un contratto di lavoro. La precarietà non si esprime in maniera omogenea, ma è l’esercizio premeditato di diverse strategie che colpiscono le molteplici parti del corpo sociale dividendole e compartimentandole. Il neoliberismo ha bisogno dello scontro di civiltà. L’unico scontro che ci interessa è quello che contrappone due intendimenti differenti sul modo per costruire una società differente: la strada dei diritti o la via della legalità. Ognuno scelga ora senza ambiguità, la propria priorità; quale dei due termini costituisce la leva principale attraverso la quale muovere il proprio impegno e determinare le proprie visioni. Per noi resta chiaro che la legalità è sempre iniqua e che la conquista dei diritti sociali passa attraverso l’esercizio del conflitto. A Milano dove il disagio, la rabbia, l’esclusione crescono di giorno in giorno assumendo via via forme sempre più incontrollabili, l’amministrazione contrappone la pretesa che tutto ciò non sporchi o non occupi i marciapiedi del consumo o le strade dello shopping. Questa spudorata equiparazione ci è lontana nella maniera più assoluta. E’ necessario affermare i diritti di cittadinanza, abolire i CPT, cancellare la Bossi-Fini e tutte le leggi discriminatorie.
La Mayday 007 parla d’Europa
Anche quest’anno la Mayday attraversa le città europee perché l’Europa è lo spazio pubblico da costruire come ambito sociale e conflittuale per superare la condizione precaria. L’Europa che ci immaginiamo è molto diversa da quella monetaria che l’ipocrisia del nuovo millennio ha partorito. All’interno di essa vogliamo proporre una nuova politica di welfare, che fissi criteri sociali uniformi per nativi e migranti, riduzione delle tipologie contrattuali atipiche, fissazione di un salario minimo orario che prescinda dalla condizione lavorativa e garanzia di continuità di reddito per tutti e tutte. L’EuroMayDay? è oggi uno dei processi costituenti della nuova idea di Europa, radicale, libera sociale e sostenibile.
Mayday Mayday
1° maggio 007
Milano, Porta Ticinese – ore 15.00