Chiuso in casa, solo, sempre e soltanto da solo. Sospeso in un futuro immaginario, in cui è ambientata la storia, ma anche chiuso in un eterno presente. È il personaggio di Neurohabitat. Cronache dall’isolazionismo, l’ultimo fumetto di Miguel Ángel Martín pubblicato ora anche in Italia da Coniglio editore (80 pagine, 11 euro), nella quale le matite del disegnatore spagnolo tratteggiano un futuro che scaturisce dalla sua apocalittica visione del presente.
Torna in campo, infatti, il mondo cui Martín ci aveva abituato con il suo capolavoro Brian the brain, accompagnato dal tratto essenziale, quasi chirurgico, cui ha abituato i suoi lettori. Si tratta di un mondo caratterizzato dall’uso diffuso delle tecnologie genetiche e mediche, ma anche da quelle dell’informazione.
Parallelamente Martín sviluppa una visione dei rapporti tra le persone e delle trasformazioni psicologiche e sociali che queste stesse tecnologie possono causare – e in parte lo hanno già fatto, viene da dire osservando la stanza in cui si rinchiude l’anonimo protagonista di Neurohabitat. Quindi, Coniglio editore sceglie coraggiosamente di pubblicare un’opera per niente facile, oltretutto in un paese che non legge molti fumetti. Nel suo catalogo c’è anche la bellissima antologia completa di Brian the brain.
Anche in questa opera il gelido bisturi della matita di Martín riprende una delle sue tematiche favorite, sezionando la vita di un isolazionista radicale: un’individuo che sceglie di vivere tutta la sua esistenza in completo isolamento dal resto del mondo e della società. La compagnia di un boa e di un cagnolino robot gli bastano, e anzi agli occhi del lettore possono addirittura apparire ridondanti. Tutto ciò di cui ha bisogno sono un maxischermo, che trasmette indifferentemente immagini dalla televisione, dalla consolle per i videogiochi e dal computer collegato alla rete, cibo a domicilio (purché il fattorino passi la ricevuta e prenda i soldi sotto alla porta, senza vedere il volto del protagonista) e a volte un po’ di compagnia a pagamento – ma senza contatto fisico o parole di troppo, per il sesso internet basta e avanza.
Fin qui non sarebbe altro che uno dei tanti hikikomori, i ragazzi giapponesi che vivono autoreclusi in una stanza per anni, senza contatti con l’esterno che non passino per il web, e su cui si è creata una mitologia sociale ancor prima che psicologica. Ma in questa storia interviene anche la chirurgia estetica, che viene utilizzata per eliminare dai volti degli individui i tratti somatici più caratteristici: addio capelli, naso, sopracciglia, orecchie. La moda impone di uniformarsi a uno standard di annullamento anche estetico delle differenze che costituiscono la nostra individualità e rappresentazione di sé.
Il perché si nasconde nei meandri psicologici dei personaggi di Martín, nella loro sessualità dal gusto chirurgico e deviante, e nelle immagini che la televisione riversa loro addosso. Un’individualità totalmente piatta e indifferenziata, che non si riflette solo nel disegno di Martín ma anche nella mancanza di un nome, di una storia, di un radicamento. Le poche telefonate registrate dalla segreteria telefonica all’inizio del libro – gli amici, la madre che lo cercano per fargli gli auguri di capodanno – sono i soli elementi storici della porzione di vita cui ha accesso il lettore. Il resto è solo un presente vissuto in una stanza in cui il mondo esterno e la vita entrano unicamente per errore o sotto forma di morte, che si tratti di una vicina di casa o di un insetto invasivo. Solo qualche sguardo dal buco della serratura o un’occhiata fugace da dietro al portone a vetri del palazzo danno al protagonista un’idea di quello che succede là, nell’altro mondo.
Nell’opera di Miguel Ángel Martín, dicevamo, scienza e tecnologia hanno sempre un ruolo di primo piano, e non si può mai sospettare che siano neutrali. Anzi, sono sempre strettamente legate alla costruzione dell’identità sociale e psicologica delle creature che escono dalla sua matita e popolano i suoi mondi. In Neurohabitat la chirurgia estetica viene usata dai ragazzi per farsi eterei, scomparire, cancellarsi, diventare “minimali” come un volto senza orecchie o un robot meno antropomorfo possibile. Se non bastasse possono rinchiudersi in una stanza, e in questo modo forse riprendere il palcoscenico delle proprie vite tutto per sé.
Queer, 9 marzo 2008