Quante italie ci sono? Una per ogni gusto. E se quella che vogliamo non c’è la possiamo costruire, in plastica, celluloide e perlinato. Così finalmente tutti potranno scegliere in quale reality show vivere, alla faccia della monotonia di tutti i giorni. Intanto potete valutare il catalogo ampio, anche se volutamente parziale e personale, compilato da Cristiano de Majo e Fabio Viola, che in Italia 2. Viaggio nel paese che abbiamo inventato (Minimum fax, 338 pagine, 16 euro) hanno raccontato le italie di plastica, quelle prodotte ad uso e consumo dei nostri immaginari collettivi più che della realtà delle nostre vite.
Il loro tour in queste italie pop che invadono il territorio come parchi tematici tentacolari, ramificandosi all’interno del mondo cosiddetto normale che le circonda, è diventato una lettura piacevole, a tratti spassosa ma che in alcune pagine può rischiare di farci cadere in disperazione: in fondo le italie 2 sono proprio di fianco a casa nostra, e da un giorno all’altro potrebbero contagiare anche noi. Ho tremato al pensiero delle due realtà parallele più vicine a me: lo sfigatissimo santuario della madonna del pero di San Damiano, orrendamente vicino all’aeroporto da cui decollavano i Tornado diretti a bombardare la Serbia, e l’incredibile outlet di Fidenza, un’esperienza onirica, un villaggio che nel bel mezzo della bassa unisce templi egizi e castelli medievali (ma niente paura, sono solo negozi di vestiti).
È un libro insomma da leggere con lo spirito giusto, ma gli autori da parte loro ci mettono una buona dose di ironia e uno sguardo innocente e curioso, indispensabile per affrontare mostri come San Giovanni Rotondo e il suo business del culto di Padre Pio, oppure il fascismo plastificato dei memorabilia di Predappio, un centro commerciale di busti del duce nel cuore della rossa Romagna. De Majo e Viola non si sono calati nella parte dell’entusiasta partecipante di reality show, né hanno sezionato i luoghi visitati con lo sguardo distaccato dell’entomologo. Anzi, hanno cercato di sforzarsi a comprendere davvero i mondi cui si stavano affacciando e le persone che li popolano, una sorta di comica antropologia che è la qualità migliore del libro, insieme all’idea stessa del viaggio nell’Italia 2.
Per esempio: ma voi ve lo immaginate un luogo più irreale e plastificato del Mulino bianco? Eppure esiste – per qualche motivo la prima reazione è di scetticismo: ma no, non può essere, non esiste davvero – e le centinaia di persone che vi si recano per fare un pic-nic o per passare una notte nell’agriturismo che ospita oggi sembrano sapere alla perfezione come trovarlo, sperso com’è tra le colline senesi. Piccoli particolari: non è bianco (non lo è mai stato), e la ruota è posticcia, azionata da un meccanismo elettrico che fa la gioia dei visitatori più piccini.
Niente di grave, dato che a sentire il suo attuale proprietario la stragrande maggioranza dei vacanzieri che arrivano sino al Mulino delle Pile (se doveste cercarlo: si chiama così, motivi di copyright) lo fanno perchè sanno. Del resto il sito internet dell’agriturismo ci tiene a sottolinearlo, e all’interno degli immancabili “cenni storici” recita testualmente: “il mulino ha esteso la propria notorietà essendo stato, per un breve ma intenso periodo, il testimonial per la pubblicità dei prodotti Mulino Bianco”.
E non so se è un caso, ma De Majo e Viola mettono il mulino nello stesso capitolo della villetta di Cogne, altrettanto riprodotta all’infinito nei plastici di Porta a porta e nelle grafiche dei giornali, e altrettanto ambita come meta del turismo noir all’italiana. Solo, un tantino meno bucolica del mulino nazionale: le manca il prato ricoperto di fiori di plastica, ma è solo un particolare.
È la “fuga dal deserto del reale” e il tuffo nel mare della “iper-realtà” costruita dalle immagini e dai segni di cui parla Baudrillard, il filosofo della simulazione? Arrivato alla fine della lettura di Italia 2 non so più dire se si tratti davvero di una realtà più reale di quella quotidiana, che ci permette di vivere esperienze più appaganti di quelle che siamo abituati ad attraversare nella banalità delle nostre vite (vissute, purtroppo, al di fuori dello schermo del televisore). Forse, senza scomodare il filosofo, si tratta solo di luoghi che simboleggiano diversi sistemi di valori, cui per scherzo o sul serio gli italiani ritengono di dover tributare almeno una visita nella vita, come se fossero mecche contemporanee della cultura nazionalpopolare.
La famiglia mostruosamente ideale del Mulino bianco, la cortina fumogena new age della Federazione di Damanhur, la ricostruzione chic dei Sassi di Matera, l’eroismo raffazzonato delle battaglie a pallini di gomma dei Dragoni di Velletri o il girone dantesco del teatro Ariston del Festival di Sanremo sono solo espressioni della forza degli immaginari televisivi, politici, sociali che contribuiscono a plasmare la strana identità del nostro paese.
da Queer