Ho scritto questo articolo dopo un breve viaggio a Saragozza nei giorni dell’inaugurazione dell’Esposizione internazionale 2008. In attesa dell’inizio dei lavori per la Expo Universale di Milano del 2015, ho potuto dare un’occhiata alle dinamiche economiche e politiche entrate in gioco in Aragona. Ps: il mio sguardo era quello dei movimenti ecologisti che hanno contestato la Expo. Per un punto di vista più ottimista si legga qualsiasi giornale di Spagna (e del mondo). Per le foto, dovete aspettare ancora qualche giorno.
In un tripudio di fuochi d’artificio, alla presenza del re di Spagna e di Zapatero, la settimana scorsa ha inaugurato l’Esposizione internazionale di Saragozza. Da vetrina dell’innovazione tecnologica, quale erano gli expo del passato, oggi l’esposizione si è trasformata in un parco a tema. Nel 2015, l’Esposizione universale di Milano parlerà di “Nutrire il pianeta”, mentre quest’anno la capitale aragonese (che ha battuto le candidature di Salonicco e Trieste) ha scelto il tema dell’acqua e del suo uso sostenibile.
Per celebrare l’acqua, ha costruito sulla riva del fiume Ebro – che scorre nel mezzo della città – un complesso di edifici futuristici e di parchi che, secondo le parole del sindaco e delle autorità aragonesi, tutte a guida PSOE, “proietteranno Saragozza nel mondo” rendendola una destinazione turistica e culturale di livello internazionale. Di certo il flusso di visitatori dell’Expo nei suoi tre mesi di apertura sarà elevato. Dopo, questo è quello che si chiedono tutti, cosa ne sarà delle opere mastodontiche per cui la città si è indebitata per trent’anni, arrivando a un passivo di quasi 700 milioni di euro?
A Saragozza non tutta la cittadinanza è d’accordo con la visione ottimista dei politici: la gran parte dei movimenti ecologisti e di sinistra si è schierata con l’assemblea Expo No, che critica la gestione dell’esposizione sin dal principio ed è riuscita a portare dalla sua anche alcune associazioni ambientaliste che in principio partecipavano al percorso che ha portato all’esposizione. L’assemblea Expo No ha tenuto un corteo piuttosto partecipato in contemporanea con l’apertura del “recinto” della Expo.
Le direttrici su cui si muovono le critiche sono diverse: la prima, la più ovvia, è quella che denuncia la speculazione che ha dirottato fondi Expo sul mattone. Le banche, finanziatrici dell’esposizione, hanno avuto in cambio del loro appoggio concessioni di terreni a basso costo, con cambi di destinazione d’uso ad hoc che li hanno trasformati in terreni edificabili. Il risultato sono interi nuovi quartieri residenziali, che hanno aumentato a dismisura il perimetro di una città con 50.000 appartamenti sfitti e che obbligano gli abitanti a muoversi in automobile. E l’arrivo di un flusso enorme di denaro pubblico nelle tasche dei privati.
Poi si comincia a parlare di sostenibilità: nelle pratiche concrete di gestione delle risorse idriche di Saragozza, l’Expo si è dimostrato tutt’altro che sostenibile. Come sostiene Elvira del gruppo Ecologistas en Acciòn, “la zona alluvionale della riva sinistra dell’Ebro, vicinissima alla città, è stata cementificata eliminando gli orti e i pantani che facevano parte dell’ambiente fluviale. Inoltre, nella parte che scorre dentro alla città il Rio Ebro ha subito diversi interventi: è stata tagliata la vegetazione spontanea che cresceva sulle sue rive a pochi passi dalla centrale Plaza del Pilar”. Si è costruita una diga a valle del centro città per aumentare il livello dell’acqua di un fiume che in estate si può attraversare a piedi, e si è dragato il fondale creando un canale artificiale in cui far passare i traghetti turistici che il comune ha voluto per sottolineare il sogno di una città visitata dai turisti di tutto il mondo.
I movimenti lamentano anche un’idea di sostenibilità urbana solo di facciata quando si parla di mobilità, uno dei temi cruciali delle città di oggi. Il Colectivo Pedalea, attivo da anni sui temi della mobilità cittadina, ci racconta di come “sono stati costruiti pochi chilometri di piste ciclabili, concentrate solo attorno al recinto dell’Esposizione e quindi inutili per chi, alla fine della festa, dovrà andare a lavorare, muoversi e vivere la città. Però, sono aumentati i parcheggi, sono state costruite nuove tangenziali, la stazione è stata spostata in una posizione lontana dal centro città (ma vicina alla Expo) e raggiungibile solo in auto, anche a causa del ritardo nella riorganizzazione dei servizi pubblici”. Dalla stazione, certo, parte una teleferica che conduce all’Expo attraversando il fiume, monumento allo spreco che nelle intenzioni dei costruttori deve pubblicizzare le stazioni sciistiche dei Pirenei ma che corre il serio rischio di restare senza passeggeri, come già accadeva nei giorni dell’inaugurazione. Aumentano le automobili insomma, mentre “per i mezzi di trasporto alternativi non si fa nulla”.
Il corteo di sabato scorso, che non avrà nessun effetto concreto se non quello di rimarcare che non tutta la cittadinanza è d’accordo, attraversava barrios poveri che dal “despilfarro”, l’enorme spreco di denaro pubblico dell’Expo, hanno ricevuto solo tagli nelle spese sociali (fino all’80% in alcune aree). Per non parlare dell’aumento sproporzionato delle forze di polizia, che oltre a vigilare sull’Expo si stanno dedicando anche alla normalizzazione dei quartieri più degradati. Anche di questo parla il documento prodotto dalla CGT, sindacato che a differenza di Commision Obreras e UGT si è chiamato fuori dal coro delle voci incondizionatamente a favore dell’Expo.
La Expo, oltre a rappresentare un bacino enorme di sfruttamento di lavoro precario e malpagato, causerà a breve migliaia di licenziamenti, con il benestare dei sindacati che hanno scelto di appoggiare la scelta di far arrivare nuove possibilità di lavoro in città, anche se temporanee e precarie. Lo ribadiscono anche gli attivisti di Accion Sindacal, un gruppo che ha seguito da vicino i problemi legati alle trasformazioni del lavoro e che teme che “questi lavoratori, una volta licenziati, verranno usati come manodopera a basso costo per costruire la Gran Scala, un progetto per un mega parco di divertimenti con 32 casinò, una Las Vegas nel deserto aragonese”. Gli occhi della popolazione sono insomma rivolti anche al futuro, quando la fine dell’Expo lascerà una città mutata in profondità e con sogni di grandezza che, per ora, non convincono tutti i suoi abitanti.
da Liberazione del 20 giugno 2008