Le vicende dello “scienziato del popolo” Trofim Lysenko e della biologia ufficiale staliniana sono piuttosto conosciute. Ma le loro ripercussioni nel nostro paese sono invece ricostruite per la prima volta in modo puntiglioso da Francesco Cassata, uno storico che ha indagato a fondo nei rapporti tra Urss, Pci e mondo scientifico e culturale italiano degli anni Quaranta e Cinquanta, in Le due scienze. Il “caso Lysenko” in Italia (Bollati Boringhieri, 292 pagine, 28 euro).
Nel 1948, con il sostegno esplicito di Stalin, nella biologia dell’Urss si tracciò un confine invalicabile tra le due scienze: scienza “sovietica” e “occidentale”, contrapposte soprattutto nella visione del ruolo della scienza nella società. La genetica darwiniana “borghese”, assimilabile a eugenetica e nazismo, fu azzerata in favore di Lysenko, un agronomo che impose un lamarckismo funzionale ai bisogni materiali ma anche ideologici del suo paese. L’ereditarietà dei caratteri acquisiti come mezzo per trasformare la natura e sviluppare le potenzialità rivoluzionarie della biologia. Fu uno dei tanti crimini staliniani, ma soprattutto un errore scientifico madornale, che condizionò per un decennio la scienza sovietica e in cui incespicò lo stesso Togliatti.
In Italia, al dibattito e agli scontri su Lysenko e i rapporti tra Pci e Urss presero parte intellettuali come Italo Calvino, Emilio Sereni, Giulio Einaudi e Paolo Boringhieri. Contro il lisenkysmo si schierò la gran parte della nascente genetica italiana, che proprio in quegli anni si stava stabilendo come disciplina e come rete di strutture accademiche. Guidata dal genetista Adriano Buzzati Traverso, la lotta per togliere alle stanze della politica il controllo della verità scientifica ebbe successo ma solo al prezzo di una frattura prima di tutto culturale con il Pci. La stessa che in Europa aveva causato rotture insanabili tra biologi del calibro di Haldane e Monod e i rispettivi partiti comunisti.
Le Scienze, luglio 2008.
Qui la recensione di Mauro Capocci per Liberazione.