La peer review è una forma di valutazione dei progetti di ricerca da finanziare effettuata da un gruppo di “pari”, cioè di esperti indipendenti chiamati a valutare la qualità dei progetti e quindi decidere quali meritino di essere portati avanti. La European science foundation (Esf) ha effettuato uno studio sullo stato della peer review analizzando le pratiche e le linee guida di trenta delle decine di agenzie di finanziamento della ricerca che la compongono. Per l’Italia hanno partecipato il Cnr e l’Istituto nazionale di fisica nucleare. La Esf ha pubblicato così la European peer review guide, che si propone di le organizzazioni che finanziano la ricerca a migliorare i propri processi di peer review.
Al centro vi sono alcuni principi di base: imparzialità, ricerca dell’eccellenza, trasparenza, velocità ed efficienza. Per prevenire possibili conflitti di interesse è necessario tener conto di tutti i possibili problemi, e non solo di quelle percepite dall’esperto chiamato a valutare un progetto: per esempio, essere stato in passato il supervisore di uno dei proponenti. Eppure ora l’88% delle organizzazioni consultate dalle Esf si limita a basarsi sulle dichiarazioni degli esperti stessi, senza alcun controllo indipendente.
Anche la confidenzialità è importante. In Europa sono presenti diversi modelli, cioè in alcuni casi la procedura è in doppio cieco mentre in altri gli esperti conoscono il nome di chi propone un progetto (ma non viceversa). Nel nord Europa, addirittura, non sono rari casi in cui tutto il processo è trasparente. In ogni caso chi valuta un progetto dovrebbe sottoscrivere un accordo in cui dichiara che manterrà il segreto su tutte quelle informazioni che lo richiedono.
Più di un terzo delle organizzazioni interpellate non usa mai esperti internazionali. Invece la guida raccomanda di selezionare persone provenienti anche da paesi extra-europei e di favorire la diversità bilanciando non solo le nazionalità ma anche il genere e l’appartenenza accademica degli esperti chiamati a valutare un progetto di ricerca.
E non ci si dovrebbe basare solo su conoscenze “interne” per scegliere gli esperti, come invece accade ora: il 50% delle organizzazioni si basa su suggerimenti del proprio staff e un altro 20% cerca tra i nomi di chi in passato ha usufruito di finanziamenti.
Secondo l’Esf bisogna piuttosto fare ricerche incrociate su database internazionali in modo da basarsi sul livello di pubblicazioni scientifiche dei possibili esperti. Infine, tra gli altri consigli, l’Esf propone di dare al proponente il diritto di replica, cioè la possibilità di rispondere alle valutazioni ricevute dal processo di peer review e quindi, in certi casi, la possibilità di riconsiderare una bocciatura.
Da Le Scienze, luglio 2011