L’Olanda inventa il Free Knowledge Institute

Lo sentiamo dire da anni: l’Europa si candida a diventare leader della società della conoscenza, un’espressione di cui la politica si riempie la bocca spesso. Dietro ai buoni propositi tuttavia si nascondono diverse visioni dei modi per allargare il più possibile la circolazione delle conoscenze.

La Internet Society of Netherlands, agenzia pubblica olandese, ha cercato di fare un piccolo passo avanti dando vita al Free Knowledge Institute (FKI), una fondazione che si dedicherà ad ampliare le possibilità di scambiarsi le conoscenze attraverso internet. Innanzitutto promuovendo lo sviluppo di software libero, quello che si basa sulla collaborazione degli utenti della rete e che tutti possono usare o modificare a piacimento (come Linux insegna).

Continue reading “L’Olanda inventa il Free Knowledge Institute”

Answers Research Journal: la scienza della creazione

Lo so, lo so, LO SO che non bisognerebbe far loro pubblicità gratuita, ma la rivista scientifica sulla creazione è troppo divertente. Una rivista con tutti i crismi, sottoposta a peer review. Answers Research Journal è multidisciplinare, e invita esperti di teologia, storia, archeologia, antropologia, biologia e chi più ne ha più ne metta a proporre i risultati delle loro ricerche che  "dimostrino la validità del modello della terra giovane, il diluvio universale, l’origine non-evoluzionista del creato e altre evidenze coerenti con il racconto biblico delle origini".

Il primo numero si apre con un’interessantissima ricerca sui batteri nei giorni della creazione: la bibbia, per ovvii motivi (non se ne conosceva l’esistenza) non ne parla. E’ un bel problema, e non vi dico i risultati degli studi di Alan Gilles, autore anche di un fortunato libro sull’argomento. In più, anche se ARJ non prevede una licenza Creative Commons, la
possibilità data a tutti di consultare gratuitamente tutti gli
articoli, per non parlare di quella di copiare, citare, distribuire a
scopi non commerciali ne fanno una rivista open access in piena regola. Meglio di Nature, da cui ho preso la notizia della nascita dell’ARJ.

La Cina malata di NIMBY

La sindrome NIMBY, Not in my backyard, che pareva aver contagiato solo il famigerato "popolo dei no" nostrano, è arrivata anche in Cina. O meglio, è arrivata sui media. Soprattutto su YouTube, dove si possono vedere le proteste dei cittadini di Shangai contro l’estensione del Maglev, il treno a levitazione magnetica da 400 km/h. Proteste che sono rimbalzate anche sui media internazionali.

Secondo WorldChanging, le proteste sono state le più grandi avvenute a Shangai (una città che è stata spesso culla di movimenti sociali) dopo quelle anti-giapponesi del 2005. E sono state favorite dall’uso e dalla diffusione delle tecnologie del web, come i blog o la stessa YouTube, sulla quale è apparso questo commento: “Thank you Youtube! For giving us this space and allowing us to see the
people’s reactions. Domestic websites are deleting our posts on the
maglev faster than we can write them, and for such a large incident as
this, the media is largely silent!

Di certo, i cittadini non vedono di buon occhio gli sventramenti che saranno causati dalla costruzione della nuova linea ad alta velocità, che in alcuni quartieri passerà sopra alle abitazioni e come minimo ne diminuirà il valore commerciale. Che la nuova sfida da affrontare dai governanti cinesi sia lo scontro con i movimenti locali? C’è chi la pensa così, come lo storico californiano Jeffrey Wasserstrom.

Faith Fighter, gioca all’odio religioso

Dalla solita Molleindustria un gioco nuovo di pacca: stavolta è Faith Fighter, un classico picchiaduro per sfogare il tuo odio religioso e spaccare il culo a chi non la pensa come te. Niente di più attuale, di questi tempi di religione unica di stato.

Scegli tra Ganesh, Gesù, Maometto, Buddha, Dio… e comincia menare le mani.

Prova a giocare, io ho usato Ganesh…

Thomas Pogge: brevetti sui farmaci 2.0

Il Manifesto pubblica una lunga intervista a Thomas Pogge, filosofo di Yale e motore di Patent2, un progetto per cambiare il regime internazionale dei brevetti secondo un principio di equità dell’accesso alle cure. Cioè a favore dei paesi più poveri, quelli che non possono permettersi le costose licenze sui farmaci e quelli in cui imperversano le "malattie dimenticate", che non hanno un "mercato" nei paesi ricchi.

L’idea di Patent2 è "alterare gli incentivi all’innovazione ricompensando i proprietari di brevetti in proporzione all’impatto sanitario globale dei loro prodotti. In cambio, ne permetteranno la produzione, distribuzione e vendita". Un sistema di incentivi a livello globale che premi chi investe nelle malattie più diffuse e permette a tutti di fruire delle sue scoperte senza avere un ritorno economico diretto.

Pogge non nasconde le difficoltà tecniche, economiche e politiche della sua proposta, in un settore che non vede certo di buon grado le regole sovranazionali (sempre che non vadano a favore delle aziende, come nel caso degli accordi Trips). Viene da chiedersi: una volta raccolto il (molto) denaro per far funzionare il sistema di Patent2, non sarebbe più semplice e trasparente investirlo in ricerca pubblica, rilasciando i risultati sotto licenze aperte, cioè donandoli a chi li vuole utilizzare?

Di seguito l’intervista Continue reading “Thomas Pogge: brevetti sui farmaci 2.0”

2007: l’anno piĆ¹ vegano di sempre… e vedrete il 2008!

"Tutti fa credere che alcuni settori chiave come catering, grande distribuzione e industria si siano accorti finalmente del potenziale del veganismo e del consumo etico." Lo dice MiV, un gruppo di ricerca sul veganesimo che ha analizzato il mercato etico della Gran Bretagna: un mercato che vale 50 milioni di euro l’anno.

Gli organizzatori del Vegan Festival di Bristol sostengono che il numero di vegani britannici ha raggiunto la massa critica per contare davvero, e anche il governo descrive ora la dieta vegana come una scelta etica e sostenibile.

Sempre più vegan-friendly sono i media, la moda, la ristorazione. E il 2008 promette di dare un’altra spinta, per esempio tramite i sempre più noti Vegan Awards, i premi che il Vegan Festival di Bristol ("la città più vegana d’Inghilterra") assegna alle aziende e ai personaggi che più hanno fatto per diffondere il veganesimo. Siamo in attesa di vedere lo stesso entusiasmo nel movimento vegano italiano.

Cibo, quanto ci costi?

Un articolo pubblicato da Liberazione in uno speciale natalizio sul cibo, insieme alla recensione di Mauro Capocci del nuovo libro di Peter Singer. Vegan Reich!

Vi lamentate del prezzo delle zucchine? Fare la spesa è diventato sempre più proibitivo?  Immaginate cosa potrebbero dire le persone che vivono nei paesi meno ricchi del nostro, che stanno subendo un aumento ormai globale dei prezzi del cibo. Il 2007 è stato l’annus horribilis in cui il grano ha raggiunto i 400 dollari alla tonnellata e l’indice dei prezzi del cibo dell’Economist ha raggiunto il valore massimo dalla sua nascita nel 1845.

Partiamo proprio dall’Economist, il settimanale del capitalismo globale, che nelle scorse settimane ha pubblicato uno speciale sul cibo (tradotto in Italia da Internazionale), incentrato sul prezzo delle derrate alimentri, che come è noto sta salendo a dismisura in tutto il mondo. Il titolo dell’Economist è sin troppo chiaro: La fine del cibo economico, un pronostico sulla fine del cibo a basso costo cui ci avevano abituato la rivoluzione verde e l’uso del petrolio in agricoltura, per far andare i trattori ma anche per produrre fertilizzanti e diserbanti. Questi fattori tecnici, insieme all’aumento dei terreni coltivati, ci hanno garantito per decenni una gran quantità di cibo a prezzi relativamente bassi, anche se non tutto il mondo sarebbe d’accordo con questa visione (si pensi ai cronici problemi di approviggionamento alimentare di alcune zone dell’Africa). Bene, forse quell’era è finita. E anche nella sua fine è implicato il petrolio, non quello a poco prezzo del dopoguerra ma quello a 100 dollari il barile della guerra in Iraq e dell’aumento della domanda globale.

Continue reading “Cibo, quanto ci costi?”

5.000 dollari per il tuo genoma

New Line Genetics, vuole comprare il tuo genoma per 5.000 dollari e usarlo in un “sistema di produzione di organi proprietario” o per fare ricerca sulle cellule staminali. Una notizia riportata da diversi siti e programmi televisivi in mezzo mondo, prima di accorgersi che si tratta di uno scherzo, o meglio di una provocazione satirica. Come riporta lo stesso sito, “un ‘cosa succederebbe se’ che parla di qualcosa che potrebbe diventare realtà in un futuro non troppo distante”.

SellMyDNA propone anche di mandare il DNA di amici e parenti, garantendo che i loro geni non verranno brevettati. E nella pagina della risorse disponibili scrive che “la brevettazione di sequenze di DNA è un commercio reale e legale negli Stati Uniti” ed elenca una serie di link per scoprire “dove siamo, dove stiamo andando e cosa è possibile (anzi, probabile) che avvenga in futuro”.

Nature: il genoma umano Creative Commons

I beni comuni della scienza si allargano? Nature ha annunciato che rilascerà sotto licenza Creative Commons tutti gli articoli relativi al genoma umano. Grazie alla licenza Creative Commons 3.0 gli utenti sono ora liberi di copiare, distribuire, adattare gli articoli, purché a scopi non commerciali, citando la fonte e utilizzando la stessa licenza.

I dati genomici erano già depositati su database accessibili, ma ora lo saranno anche i paper scientifici, che come dice BoingBoing sono "una parte vitale della scienza". Nature riconosce che hanno uno status speciale dato che "rappresentano una risorsa chiave e fondamentale per la ricerca" e anche se anche alcuni paper di altre discipline hanno queste caratteristiche "il carattere fondamentale del genoma ha spinto Nature a fare un’eccezione sistematica" per i paper che lo riguardano.

Wired: copertina alla genomica personalizzata

Benvenuti nell’era della genomica personalizzata! Wired, la rivista espressione della cultura della Silicon Valley, dedica la copertina di questo mese e un lungo articolo alle ultime nate tra le start-up che stanno cominciando a offrire uno scan del genoma per 1.000 dollari.

Si parla di 23andMe, la ditta nata sotto l’egida di Google, di Navigenics e di deCODE, la start-up che fa capo al noto biotecnologo islandese Kari Stefansson, e altre aziende private.
L’autore dell’inchiesta di Wired, Thomas Goetz, si è sottoposto ai test di Navigenics e 23andMe, risalendo alle sue origini etniche e ricollegando le sue caratteristiche genetiche alla storia delle malattie apparse nella sua famiglia.