Questa รจ casa mia, comando io

Oggi su Nazione indiana c’è uno dei racconti pubblicati da Katie Hepworth sul suo blog dedicato alle storie dei migranti che Katie, artista e ricercatrice australiana, ha raccolto a Milano. Alcuni di questi racconti mi sono piaciuti molto e fotografano le condizioni delle persone che Maroni e soci odiano così tanto. Ve li consiglio. Sotto ne copincollo un pezzetto, il resto potete leggerlo qui, in attesa della manifestazione nazionale contro il razzismo di sabato 23 maggio.

"Mio marito era un dottore, io sono un’infermiera. Io ero una della classe media nel mio paese, della media-alta società. Venire qua per fare la badante è stato un colpo molto duro… Mi sveglio alle sei di mattina, in silenzio, cosi posso fare colazione in segreto. Mi faccio la doccia mentre lei dorme. Andiamo a letto alle dieci, undici di sera. Aspetto che si addormenti e vado a farmi la doccia. Ma a volte quando sente la doccia si sveglia. Una volta facevo la doccia e lei è entrata: “Che fai? Sprechi acqua”. Ero nuda, ma ha aperto la porta. Mi vergognavo, ma lei ha detto “questa è casa mia, comando io”.

Anche in camera mia lei prende tutto. Sai, avevo una piccola scatola di legno con delle cose dentro, cose per farsi le unghie, e lei l’ha presa e l’ha portata in camera sua… Non mi chiede mai il permesso. Adesso che sono qui, sicuramente lei è in camera mia a guardare. Ogni sabato e domenica, nelle due ore libere, va lì e guarda. All’inizio mi faceva una rabbia… mi sentivo imponente. Ma lei dice che è casa sua, che non mi posso permettere di chiudere la stanza. Sai che la porta del bagno non la posso chiudere? Rimane sempre aperta. È per la sua sicurezza, ma la porta rimane sempre un po’ aperta."

Michel Bauwens: peer-to-peer dappertutto

Ecco la versione estesa dell’intervista che io e Espanz
abbiamo fatto a Michel Bauwens, che esce oggi sul
manifesto in un paginone di Chip&Salsa tutto dedicato all’open
source. Se non vi basta, qui potete leggere il suo saggio The Political Economy of Peer Production. Potete anche scaricare l’mp3 con l’audio del suo intervento a Milano qualche settimana fa.

Molti sono alla ricerca di un nuovo paradigma economico e sociale che prenda il sopravvento nel 21mo secolo. Michel Bauwens lo ha individuato nel peer to peer. E non parliamo solo di sistemi per scambiarsi file su internet, ma di un modo di produzione non gerarchico, decentrato e tra pari che esca da internet e contamini tutta la società. Bauwens, che insegna alla Dhurakij Pundit University di Bangkok, con la P2P Foundation si occupa di raccogliere e sistematizzare tutte le esperienze di cooperazione libera, tra pari, dal basso, open source. E’ l’evangelista del peer to peer.

Cosa intendi per P2P?
Tutti ormai usano programmi di file sharing peer to peer per scaricare video o musica. Ma l’uso che faccio io del termine è piu ampio e più profondo. Fondamentalmente in quei programmi ogni computer del sistema agisce come un pari tra altri pari. Non c’è un computer centrale da cui scaricate un film. Per me la caratteristica principale dei sistemi P2P è proprio la possibilità che danno agli individui di entrare liberamente in relazione con gli altri e di agire insieme. Possiamo chiamarlo network distribuito e decentrato, in cui il potere è spezzettato e diviso tra tutti. Pensate a un’autostrada, costruita da qualcuno tramite una decisione dall’alto, e a un sentiero nel bosco, che è il risultato del passaggio di diverse persone. Il risultato è simile, ma il tipo di interazione tra le persone è completamente diverso. Internet può essere usato come un’infrastruttura orizzontale che permette alle persone di connettersi, creare media, condividere file, lavorare insieme: la rete abilita dinamiche P2P.

Come funzionano le comunità P2P?
Le comunità di produzione tra pari sono basate su dinamiche sociali particolari: se sei un programmatore di sofware libero o se scrivi su Wikipedia sei un volontario non pagato, ma sei spinto dalla tua passione e da una forte motivazione. Questo è il sogno delle imprese: lavoratori motivati. Be’, nel mondo P2P le persone non motivate sono automaticamente escluse, perché non hanno altri motivi per partecipare, e questo ne fa un ambiente straordinariamente produttivo. E poi nella produzione tra pari c’è un nuovo modo di guardare alle persone, che io chiamo equipotentiality. Invece di decidere un modo di produzione e poi assumere persone per portarlo a termine, devo disegnare un compito e dividerlo in pezzi più piccoli possibili. Poi serve un sistema che permetta alla gente di far coincidere le sue idee, le sue capacità, con i compiti da svolgere, proprio come fa Wikipedia. Il meccanismo è basato sull’autoselezione. Bisogna aprire al massimo la partecipazione e creare controlli di qualità di tipo comunitario, creando un sistema basato sull’inclusione e non sull’esclusione.

E’ così rivoluzionario?
Per me questo è un punto di svolta sociale nella nostra civiltà. Per semplificare lo scambio di informazioni e di beni abbiamo dato vita a società gerarchiche. Oggi le nuove infrastrutture tecnologiche permettono una coordinazione globale di piccoli gruppi. Quindi la novità è che possiamo creare artefatti sociali molto complessi, come Wikipedia o Linux, senza bisogno di un’organizzazione gerarchica in cui qualcuno dica agli altri cosa devono fare: una moltitudine di individui e gruppi si coordinano e controllano il loro lavoro. Un cambiamento in direzione di relazioni e strutture P2P. Credo che in questo ci sia un grande potenziale di liberazione che conduce verso alternative aperte, basate sui beni comuni e sulla partecipazione che sono legate al P2P, in cui le gerarchie sono flessibili e le strutture aperte alla partecipazione.

Quali processi sociali vi stanno alla base?
Parliamo di tre nuovi tipi di processi sociali che ora avvengono non su scala locale ma su scala globale. Il primo è la produzione tra pari, cioè la capacità di produrre valore comune. Il secondo è la governance P2P, cioè la capacità di gestire questi processi senza ricorrere a gerarchia e centralizzazione. Il terzo è la proprietà P2P, cioè la possibilità di proteggere i beni comuni e dei prodotti del lavoro comune dall’appropriazione privata. Se chiudo l’accesso a un bene dicendo che è mio e non più tuo, be’… in questo modo distruggo l’intera comunità P2P. Questo non significa che questi beni o informazioni non possano essere usate da un’azienda, per esempio, per mezzo di licenze come quelle che proteggono il software libero. Tutti possono usarlo purché non lo privatizzino e rilascino i loro prodotti nel dominio pubblico.

Non è un orizzonte così semplice da intravedere
Infatti dobbiamo aprire la nostra immaginazione politica e sociale: siamo abituati a pensare all’alternativa tra stato e mercato. Da una parte privatizzazione e liberismo, dall’altra l’intervento dei governi per salvare le banche, per esempio. La produzione P2P ci invita a guardare a un terzo modo di trovare soluzioni politiche, economiche o sociali che siano organizzate sui gruppi umani.

Secondo te il P2P rimarrà limitato a nicchie di produzione o si espanderà?
La storia del capitalismo è fatta di grandi ondate di crescita basate su tecnologie rivoluzionarie. Ciclicamente, il capitalismo si trova di fronte a una crisi, e da queste crisi il mondo esce cambiato. Credo che ora stiamo andando verso qualcosa di simile: il mondo fondato sul sistema di produzione industriale sta crollando e non sappiamo cosa troveremo al suo posto. Probabilmente però le nuove tecnologie su cui si baserà il sistema futuro saranno il web e le tecnologie dell’informazione; esse stanno già crescendo alle periferie del sistema industriale. Il modello futuro dovrà includere l’apertura alla partecipazione e alla produzione peer to peer, proprio come il capitalismo di oggi ha dovuto inglobare le idee socialiste con il welfare e il suffragio universale, per esempio.

Quali sono le misure che proponi?
Dobbiamo favorire l’apertura delle infrastrutture, ovviamente. Ma abbiamo bisogno anche di tre tipi di istituzioni: la prima sono i beni comuni, che vanno protetti finanziando l’innovazione sociale, per esempio ricercatori che producono nuovi farmaci e invece di brevettarli li mettono a disposizione di tutti. Poi dobbiamo favorire le pratiche economiche sostenibili: sostegno alle piccole imprese che fanno innovazione sociale, per esempio. Infine è necessario sostenere quell’1% di persone che sono più attive nella produzione P2P. Infatti il 90% circa degli utenti di progetti P2P ne fa un uso passivo, il 10% contribuisce saltuariamente, e l’1% invece è composto da persone che lavorano al progetto a fondo. Questo 1% deve poter sopravvivere senza fare altri lavori. Le città e le regioni che sapranno dar vita a queste tre istituzioni saranno più interessanti per le comunità P2P ma anche per il business: saranno economicamente più forti.

Nessuno, però, ha ancora trovato il modo per difendere i diritti di chi produce contenuti gratuiti per il web
Per questo dobbiamo accelerare questo processo e favorire le domande sociali che spingono per il peer to peer, l’open access, i beni comuni. Già oggi in fondo assistiamo alla nascita di un welfare dal basso basato su beni comuni e P2P: ci sono comunità che vengono sostenute da aziende per portare avanti progetti P2P, per esempio quella del software open source. Ciò però non garantisce i singoli individui: c’è bisogno di un reddito di base per tutti, che permetta di affrontare i periodi di transizione da un lavoro all’altro o quelli in cui si passa dal mercato alla produzione P2P. Dopo la seconda guerra mondiale l’idea di un welfare universale sembrava un’utopia. Eppure l’abbiamo ottenuto. Anche oggi dobbiamo contemplare riforme radicali.

Rotta verso il futuro! EuroMayday009

Primo maggio 2009: Euromayday! A Palermo, Roma, Milano (e tutta Europa), precari e migranti festeggiano con gioia e rabbia

Rotta verso il futuro! Nella city di Londra e nelle strade di Atene, nelle università e scuole che cavalcano l’Onda dei movimenti per il diritto al sapere e alla formazione, l’Europa si solleva contro il neoliberismo e i suoi disastri. Abbandoniamo la nave liberista che affonda e usciamo dalla crisi con nuovi diritti! La sicurezza che vogliamo si chiama reddito sicuro, diritti sul lavoro e oltre il lavoro, cittadinanza per i migranti, tutela della salute sui luoghi di lavoro, diritto alla casa, scuola e sanità pubbliche e di qualità, trasporti gratis, conoscenza e formazione libere e condivise.

In questo 2009 italiano, all’orizzonte scorgiamo più precarietà, vessazioni contro i migranti, paura del futuro, intolleranza sociale. Eppure il consenso dei sudditi nei confronti dell’imperatore aumenta. Infatti la crisi viene vissuta come un elemento alieno, come se noi non contassimo niente, nel bene e nel male, nell’economia globalizzata. Nel frattempo, la direzione in cui si muovono i governi europei è chiara: proteggere con miliardi di euro le banche e le imprese che hanno provocato la crisi. In questi anni la finanziarizzazione dell’economia ha definitivamente trasformato il profitto in rendita e saccheggio. Per questo è ancor più urgente una battaglia europea per l’accesso a un reddito sociale incondizionato, sotto forma di erogazione di denaro e anche di accesso a un pacchetto di servizi e beni comuni: casa, conoscenza, formazione e informazione, mobilità, socialità, spazi pubblici.

La risposta di Tremonti (Dio, patria e famiglia) è un abile modo di non toccare i veri problemi sollevati dalla crisi. Il governo ha attaccato il contratto nazionale, limitando il diritto di sciopero; le imprese ristrutturano e precarizzano, licenziano e non rinnovano i contratti precari, non investono ma cercano solo disperatamente di salvare i profitti. Il «Piano casa» del governo è un regalo alla speculazione, non offre risposte alla crisi abitativa, soprattutto ai precari – giovani, single, migranti – che rivendicano il diritto all’abitare. Il centrodestra propone meno diritti e qualche aggiustamento degli ammortizzatori sociali; il centrosinistra, capitanato da Franceschini detto Cuor di leone, ne propone l’allargamento. Ma ammortizzatori che si applicheranno solo a una piccola percentuale dei lavoratori servono di più alla propaganda confindustriale che ai precari.

Dalle strade di Roma, Milano e Palermo la Mayday lancerà un percorso di analisi, di agitazione, di critica a un modello di sviluppo insostenibile. Noi precari e precarie, nativi o migranti, viviamo tutti i giorni la precarietà sulla nostra pelle. Abbiamo il diritto di dire a cosa aneliamo. Vogliamo cittadinanza e vogliamo un welfare che sposta i diritti dal contratto verso la persona. Chiediamo la garanzia del reddito per poter rifiutare i lavori a più alto tasso di sfruttamento e sfuggire ai ricatti che ci impediscono di generare conflitto e lottare per i nostri diritti.

Ps: La rete Mayday dell’Aquila ha camminato con noi per tanti anni e ora, sommersa dal terremoto, sta lottando per una ricostruzione trasparente, partecipata, dal basso. Siamo dalla vostra parte!

Milano, Porta Ticinese ore 15
Palermo, piazza Marina ore 16
Roma

Hasta siempre, Abel Paz

Abel Paz, pseudonimo di Diego Camacho, forse l’ultimo vivente tra i combattenti della Columna Durruti ci ha lasciato il 13 aprile, nella sua Barcellona. Classe 1921, era giovanissimo quando combattè il fascismo nella guerra civile spagnola, ma da allora non ha mai abbandonato le sue idee anarchiche. Lo ricordo con le parole e una foto che cinocino gli ha scattato 3 anni fa nella sua modesta casa di Carrer Verdi, in Gracia, da cui mi portò a casa un suo libro con una dedica.

Soy anarquista y ser anarquista es ser una persona coherente (paz espiritual, la tranquilidad, el campo, trabajar lo menos posible, el suficiente para poder vivir, disfrutar de la belleza, del sol. Disfrutar de la vida con mayúsculas, ahora se vive en minúsculas). Tener una conducta personal. Llevar las ideas a la práctica al máximo, sin esperar que haya una revolución. Eso se puede hacer ahora. Es una concepción filosófica, es un estado de espíritu, una actitud ante la vida. Pienso que esta sociedad está muy mal organizada, tanto socialmente, como políticamente, como económicamente. Hay que cambiarlo todo. El anarquismo invoca una vida completamente diferente. Trata de vivir esta utopía un poco cada día.

Hasta siempre, Abel

Il 64mo aprile dalla liberazione

Anche quest’anno si avvicina il 25 aprile. Il calendario delle iniziative dell’Anpi di Piacenza è pronto: si comincia giovedì 9 aprile con la presentazione del libro Razza partigiana. Leggetevi la recensione di Andrea Capocci e venite a sentire la storia del partigiano italo-somalo Giorgio Marincola, 23 anni, studente antifascista nero, partigiano decorato con la medaglia d’oro.

9 aprile 2009, ore 21.00, presso Auditorium Sant’Ilario, via Garibaldi, Piacenza:

Intervengono:

Wu Ming 2, Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, autori del libro, Isabella Marincola ed Antar Mohamed, sorella e nipote di Giorgio.

Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come
un colore qualsiasi sulla carta geografica… La patria non è
identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa
libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli
oppressori.

Giorgio Marincola a Radio Baita, gennaio 1945

Clicca sull’immagine qui a fianco per scaricare il manifesto di tutte le iniziative (salvo l’inaugurazione del nuovo Museo della resistenza piacentina, curato da noi, che aprirà il 25 aprile con una grande festa a Sperongia di Morfasso – piena zona partigiana della Val d’Arda).

 

Guerriglia controvegana

Dopo il tremendo spot della Peta – Vegetarians have better sex – in cui una gnocca discinta lecca una zucca e si massaggia i capezzoli con un broccolo con sottofondo heavy metal e riproducendo i peggiori stereotipi sulla donna pronta ad accoppiarsi col primo vegano che passa (stereotipi? ma come! non è vero? per un attimo ci avevo creduto), mi piange il cuore ma devo ammettere che il contro-spot del Beef council è mille volte meglio. "Chi mangia carne fa sesso più grezzo" è il motto. Più ironico e divertente, e niente semidee perfette come quella della Peta.

http://www.youtube.com/watch?v=9tBHWO2oJuY

Lavoratori di un call center bloccano l’amministratore delegato

Copincollo il comunicato stampa dell’Associazione Bios:

Lavoratori Omnia bloccano per 1 ora l’amministratore delegato dell’azienda e lo portano in assemblea! In data 1 aprile, a seguito delle reiterate e vane promesse dell’azienda Omnia Service Center SPA di effettuare i pagamenti degli stipendi di febbraio 2009, i lavoratori della sede di Via Breda 176 a Milano hanno autonomamente deciso di lasciare le loro postazioni per riunirsi nel cortile aziendale costringendo l’amministratore delegato ad intervenire accerchiandolo per più di un’ora con un’unica domanda: quando riceveremo i nostri soldi?

L’amministratore delegato è intervenuto per sedare gli animi invitando i dipendenti a rientrare senza successo, i funzionari sindacali fino ad allora praticamente assenti sono stati costretti a correre sul posto e obbligati sempre a convocare un’assemblea sindacale straordinaria nell’immediato. Da diversi mesi l’azienda ritarda i pagamenti imputando la responsabilità ai committenti, alla crisi, alle banche che non concedono più fidi; ad oggi lo stipendio di febbraio, atteso dal 5 marzo, ancora deve essere pagato.

"Non ho più soldi in banca per pagare le rate del mutuo e la banca minaccia di chiudermi il conto e portarmi via la casa" si sfoga Marta, lavoratrice Omnia. "Tutti i giorni riceviamo segnalazioni da lavoratori che non hanno soldi per la benzina e neanche per comprarsi il biglietto dell’autobus per venire al lavoro" dichiara Silvana RSU CUB.

I lavoratori hanno deciso di continuare lo stato di agitazione con lo sciopero Nazionale del gruppo di venerdì 3 aArile durante il quale saranno organizzati dei presidi nelle sedi di tutta Italia.

Aggiornamenti su Precaria e Colsenter

User-led science

Su JCOM abbiamo lanciato una call for articles. Si cercano contributi sulla scienza dal basso ai tempi della rete: si può fare? Funziona? Il web allarga la partecipazione? E chi si appropria della conoscenza prodotta dagli utenti di internet? Vorremmo evitare di fare un’apologia della democrazia online e della produzione p2p, per cui sono ben accetti contributi critici e analisi che scavano un po’ sotto alla crosta modaiola del web 2.0. Ecco la call:

User-led Science – A special issue of JCOM

Science is increasingly being produced, discussed and deliberated with cooperative tools by web users and without the istitutionalized presence of scientists. "Popular science" or "Citizen science" are two of the traditional ways of defining science grassroots produced outside the walls of laboratories. But the internet has changed the way of collecting and organising the knowledge produced by people – peers – who do not belong to the established scientific community. In this issue we want to discuss:

– How web tools are changing and widening this way of participating in the production of scientific knowledge. Do this increase in participation consist in a real shift towards democratizing science or on the contrary is merely a rhetoric which do not affect the asymmetrical relationships between citizens and institutions?

– The ways in which both academic and private scientific institutions are appropriating this knowledge and its value. Do we need a new model to understand these ways of production and appropriation? Are they part of a deeper change in productive paradigms?

We would like to collect both theoretical contributions and research articles which address for example case studies in social media and science, peer production, the role of private firms in exploiting web arenas to collect scientific/medical data from their costumers, online social movements challenging communication incumbents, web tools for development.

Interested authors should submit an extended abstract of no more than 500 words (in English) to the issue editor by May 15, 2009. We will select three to five papers for inclusion in this special issue. Abstracts should be sent to the JCOM’s editorial office (jcom-eo@jcom.sissa.it).