Addio, Murray

Il Burlington Free Press è lo storico quotidiano di Burlington nel Vermont, uno degli Stati più selvaggi dell’Unione americana. Sdraiato proprio sulla strada tra New York e il Quebéc, nei boschi che ricoprono le dolcissime Green Mountains, questo piccolo territorio ha solo mezzo milione di abitanti, forse più vacche che cittadini, e una tradizione democratica, municipalista e liberale proverbiali.

Il viaggio da Burlington a Portland, nel Maine, dura quasi quattro ore di highway e non ci metto molto ad arrivare alla pagina degli obituaries del BFP. Lo scopro così, ieri (il 30 luglio 2006, ndr) a Burlington è morto Murray Bookchin.

Non potrò andare ai suoi funerali, sto lasciando il Vermont e non so quando ci tornerò. Ma voglio comunque aggiungere un piccolo obituary ai tanti che verranno scritti per Bookchin: era nato a New York nel 1921, si era formato come marxista ma, giovanissimo, durante la guerra di Spagna si era avvicinato agli ideali libertari. Aveva poi dedicato gli ultimi cinquant’anni della sua vita a coniugare ecologismo e municipalismo, anarchia e lotta alla gerarchia in ogni sua forma. Il suo primo libro, Our synthetic environment, fu nel 1962 uno dei primissimi testi a porre l’attenzione sulla questione ecologica, pochi mesi prima del ben più noto Primavera silenziosa di Rachel Carson, la cui nuova edizione sfoggia la prestigiosa prefazione di Al Gore.

 

Murray Bookchin non ha mai avuto amici tanto potenti, e in Italia è stato sempre e solo ospite del movimento anarchico: lontana dall’ambientalismo «conservativo e conservatore» come dal primitivismo della deep ecology, la sua utopia ecologica era strettamente legata alla necessità di liberarsi dalle gerarchie sociali, economiche e di classe. Ecologica nel senso più pieno del termine, integrata produttivamente e socialmente nell’ambiente che la ospita, in una feconda interdipendenza tra umani e non-umani, direbbe Murray. Appunto, si definiva un utopista. Anzi: riteneva che una giusta dose di utopia fosse indispensabile per immaginare un mondo migliore.

Da trent'anni si era rifugiato nel Vermont, lì nel cuore delle contraddizioni della bestia chiamata Stati uniti d’America. Tra le foreste che circondano la highway aveva fondato e diretto l’Istituto per l’Ecologia Sociale, che continua a rilasciare crediti universitari con corsi sull’anarchia e il municipalismo. Ma il Vermont è anche una delle culle della controcultura degli anni settanta, che oggi ha dato vita alla Onion River Co-op, uno dei tanti supermercati community-driven che vendonoecololiberta.jpg soltanto prodotti locali rigorosamente organic, o alla Vermont Consumers’ Energy Co-op che fornisce ai suoi membri energia a basso costo da fonti rinnovabili. In due occasioni diverse sono passato per Burlington, Brattleboro, Montpelier, e pochi posti al mondo più del Vermont mi hanno dato l'impressione di aver metabolizzato la lezione bioregionalista e municipalista di Bookchin.

Qualcosa però stona, in questa storia. Le librerie di Burlington sono stracolme del nuovo libro di Al Gore sul cambiamento climatico, An inconvenient truth, ma la società che Murray Bookchin ha immaginato in L’ecologia della libertà (Eleuthera, 548 pp, 18 euro), la summa del suo pensiero della maturità, è anzitutto una società non-gerarchica e assembleare. Da quel sogno il Vermont e Al Gore sono più che mai distanti.

Rip, Murray, ma i vermonters avrebbero ancora bisogno di te.

di Alessandro Delfanti

A – rivista anarchica, novembre 2006

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A – rivista anarchica gli ha dedicato un intero dossier.