L’invasione molecolare

Cosa ci fanno strane colture batteriche e apparecchiature biotecnologiche sospette nelle mani di un professore di arte della New York University e di un genetista di Pittsburgh, entrambi di note simpatie libertarie? È quello che si sono chiesti gli agenti dell’Fbi quando, il 30 maggio 2004, hanno perquisito le case di Steve Kurtz e di Robert Ferrell del Critical Art Ensemble.

Negli Usa della Guerra al terrore, del Patriot Act e delle buste all’antrace, l’arresto e l’accusa di bioterrorismo erano scontati. Anche se i due hanno dimostrato che l’innocuo Bacillus atrophaeus e gli altri microorganismi trovati dall’Fbi erano solo gli ingredienti delle loro performance artistiche, la loro odissea giudiziaria non è ancora finita.

Il Critical Art Ensemble infatti è un collettivo di artisti e scienziati che dal 1987 è «dedito all’esplorazione delle intersezioni tra arte, tecnologia, politica radicale e teoria critica». Il Critical Art Ensemble con le sue performance cerca di mostrare a tutti le intersezioni tra scienza, società, immaginari collettivi. Per esempio, permettendo al pubblico di produrre un batterio transgenico e deciderne il rilascio nell’ambiente. Oppure testando in un piccolo laboratorio portatile la presenza di organismi geneticamente modificati nel cibo portato da chiunque.

Il loro libro L’invasione molecolare (Eleuthera, 120 pagine, 10 euro), scritto collettivamente e liberamente scaricabile, fa parte del tentativo di aprire la «scatola nera» della scienza per mostrarne il funzionamento. Perché «il processo scientifico non appare mai pubblicamente, appaiono solo i suoi miracolosi prodotti. Vogliamo portare i routinari processi della scienza al pubblico. Farglieli vedere e toccare».

Non è un pamphlet anti-biotech e nemmeno un libro nostalgico di una natura pura e incontaminata, ma uno strumento per criticare la figura dell’esperto e le sue verità assolute. Il Critical Art Ensemble propone radicalmente di dare a tutti la possibilità democratica di prendere la parola. O, ancora meglio, di riappropriarsi delle tecnologie e usarle liberamente, in puro spirito hacker. Del resto la loro disavventura dimostra che del lavoro dell’Ensemble c’è davvero bisogno, per evitare che le biotecnologie e i processi decisionali che le riguardano restino chiusi tra le mura dei laboratori militari e delle multinazionali.

E se l’opinione tecnica dell’esperto non basta più per prendere decisioni in un mondo nel quale le corporation del biotech procedono a grandi falcate verso la colonizzazione dei genomi brevettati e nel quale economie, salute, lavoro di milioni di persone sono in gioco, allora dovremo essere tutti esperti. Dovremo dotarci degli strumenti scientifici e politici che ci permettano di realizzare una «biologia contestativa», fatta di metodi intelligenti e nonviolenti. Non diventeremo tutti biotecnologi ma dovremo imparare a riconoscere un organismo transgenico, farci un test del dna autogestito o sabotare un’invasione di granoturco geneticamente modificato producendo un composto che colpisce proprio la caratteristica mutata dagli ingegneri genetici.

È il reverse engineering: smontare le tecnologie e riadattarle a scopi diversi da quelli canonici, a scopi decisi autonomamente dalla fantasia e dalle necessità del momento. Anche liberare qualche migliaio di moscerini mutanti nella mensa di un laboratorio biotech potrebbe servire allo scopo… che la guerriglia molecolare abbia inizio.

Del Critical Art Ensemble ho scritto anche qui.

Il libro puoi scaricarlo gratuitamente qui.