Jon Turney: scienza, libri… e Frankenstein

Science writer, editor, insegnante di scrittura saggistica creativa all’Imperial College di Londra, Jon Turney è innanzitutto un amante della scienza narrata, immaginata, rappresentata, come testimonia il suo blog.

La sua passione è esplorare il confine artificioso tra le due culture, scientifica e umanistica, attraversandolo e ibridandolo, parlando di scienza anche tramite la letteratura e il cinema. Su quel confine si muove infatti l’unico libro di Turney pubblicato in Italia: Sulle tracce di Frankenstein. Scienza, genetica e cultura popolare (Einaudi, 360 pagine, 19 euro), una ricerca negli immaginari della modernità della figura del mostro inventato da Mary Shelley.

Non è un caso, secondo Jon Turney, che sia possibile ripercorrere la storia della biologia degli ultimi due secoli leggendo i romanzi, i testi teatrali, le pubblicità che hanno interpretato e stimolato i timori e le speranze legati alla manipolazione tecnoscientifica dei viventi. A partire da un libro che ha saputo reinventarsi e tramandare fino ai nostri giorni una figura, quella dello scienziato come moderno Prometeo, che oggi sopravvive insieme a mille altre immagini popolari della scienza.
Si parla di scienza in tantissimi media: film, internet, televisione, pubblicità. Nel Ventunesimo secolo c’è ancora un ruolo per i libri?

Certo. I libri sono economici (il costo principale è il lavoro dell’autore), facili da distribuire e la loro accessibilità resta più alta di quella di ogni altro media. Ovviamente i new media sono più interattivi, ma c’è sempre bisogno di qualcosa di cui parlare, e magari di qualcosa con cui soddisfare le nuove curiosità nate dalla conversazione. I libri rispondono a entrambi questi scopi, quindi i diversi media non sono alternativi ma complementari. E poi grazie a internet è più facile trovare i libri!

I libri di scienza influenzano la produzione culturale?
Credo che il boom dell’editoria scientifica, soprattutto nel mondo anglosassone, sia stato molto importante, in molti modi diversi. Ha reso la scienza più accessibile e ha permesso a tutti di condividere l’eccitazione delle imprese scientifiche. E poi ha influenzato la creatività in altre sfere: romanzieri, musicisti, artisti visivi possono parlare direttamente con gli scienziati, ma spesso partono dalla lettura di libri di popular science che attirano il loro interesse e accendono nuove idee e nuovi progetti.

È possibile tracciare un confine tra i dati scientifici e la fiction? Come si mescolano?
Esiterei prima di generalizzare. Sia i saggi sia i romanzi che parlano di scienza possono essere molto differenti tra di loro. È chiaro che oggi c’è molta scienza nei romanzi, in parte per le ragioni che ho già citato. Gli scrittori (o almeno molti di loro) sanno che la scienza è una parte interessante e importante della nostra cultura, e quindi alcuni bravi romanzieri cercano di inserirla nel loro lavoro. In un certo senso ciò che mi colpisce di più è il modo in cui alcuni elementi scientifici entrano a far parte del background delle cose che si danno per scontate all’interno di un romanzo – per esempio la biotecnologie in Denti bianchi di Zadie Smith o la clonazione in L’atlante delle nuvole di David Mitchell – rispetto a quando la scienza entra in modo più importante in un romanzo, come per esempio nel caso di Ian McEwan.

Anche gli scienziati sono entrati a far parte del mondo della comunicazione. Scrivono libri, vanno in televisione. La loro immagine pubblica sta cambiando?
Credo che ci stiano provando. Gli effetti non sono giganteschi, dato che in gioco ci sono altre forze. Alcune storiche, pensiamo alla mole di immagini che tratteggiano la figura dello scienziato pazzo; altre più recenti, come la perdita di fiducia in alcuni tipi di risposte scientifiche, per esempio nel caso dei rischi tecnologici. Ma non dimentichiamo che gli scienziati sono stati visibili per lungo tempo, quindi hanno ereditato anche una tradizione positiva. Tutto finisce nel calderone!

Ma allora la gente chi ascolta? Si può separare la voce degli scienziati dalle altre?
Penso che nel suo insieme la gente faccia quello che preferisce! Idealmente dovrebbero ascoltarle entrambe. Non voglio essere prescrittivo, ma solo dire che voglio che gli scrittori raccontino belle storie e che gli scienziati ammettano che anche loro spesso narrano storie, come quando stanno dicendo cosa succederà nel futuro.
Per esempio?
Prendiamo Michael Crichton, che mescola diverse forme di comunicazione. Non sempre amo i suoi libri, ma forse questo non è importante. Anche Margaret Atwood, in Oryx and Crake, usa un mix di news reali e inventate per tessere un racconto sui cattivi usi futuri delle biotecnologie e diversi altri disastri. Anche se nel sito web del libro cita le fonti delle notizie, Margaret è stata felice di scrivere un romanzo.

Invece Next, il nuovo romanzo di Crichton dedicato alla genetica, termina con una bibliografia e una strana postfazione nella quale l’autore ci presenta le «conclusioni» della sua «ricerca». Conclusioni molto anodine, ma non è questo il punto. Averle messe è di per sé un’ammissione di fallimento. Se dopo aver letto il libro abbiamo dubbi sulle conclusioni, perché scrivere il libro?

Ma di biologia parlano un sacco di libri e di film. Insomma, oggetti molto diversi. In che modo contribuiscono a creare gli immaginari popolari?
La percezione pubblica della biologia è complessa, perché la scienza è diventata più potente e promette di fare un sacco di cose differenti. Inoltre, molte di queste cose minacciano dei valori e delle categorie sociali o anche naturali: stiamo letteralmente reinventando il sesso e i rapporti di parentela, riconfigurando le specie e forse addirittura riprogettando la vita. Si tratta di materiale irresistibile per gli scrittori, perché si presta direttamente a diventare un nuovo tipo di dramma.

Mi sembra, tuttavia, che i veri romanzi che prenderanno spunto, per esempio, dal progetto Genoma umano e dai suoi risultati debbano ancora essere scritti. Next di Crichton non è uno di loro. E probabilmente il tecno-thriller non è la forma che prenderanno. Preferisco un libro che ha, comunque, molte cose in comune con Next: è un libro intitolato Sims, scritto dal prolifico medico americano Paul Wilson. I suoi personaggi si confrontano con scimpanzé intelligenti e fanno domande bizzarre come: «cosa rende qualcuno degno del tuo amore – il suo genoma o i suoi valori?».

Però il mostro di Frankenstein è ancora vivo…
Sì! il mostro vive ancora: è un simbolo indispensabile della nostra ambivalenza collettiva rispetto al progetto biologico moderno.

Liberazione, 11 luglio 2007