Thomas Pogge: brevetti sui farmaci 2.0

Il Manifesto pubblica una lunga intervista a Thomas Pogge, filosofo di Yale e motore di Patent2, un progetto per cambiare il regime internazionale dei brevetti secondo un principio di equità dell’accesso alle cure. Cioè a favore dei paesi più poveri, quelli che non possono permettersi le costose licenze sui farmaci e quelli in cui imperversano le "malattie dimenticate", che non hanno un "mercato" nei paesi ricchi.

L’idea di Patent2 è "alterare gli incentivi all’innovazione ricompensando i proprietari di brevetti in proporzione all’impatto sanitario globale dei loro prodotti. In cambio, ne permetteranno la produzione, distribuzione e vendita". Un sistema di incentivi a livello globale che premi chi investe nelle malattie più diffuse e permette a tutti di fruire delle sue scoperte senza avere un ritorno economico diretto.

Pogge non nasconde le difficoltà tecniche, economiche e politiche della sua proposta, in un settore che non vede certo di buon grado le regole sovranazionali (sempre che non vadano a favore delle aziende, come nel caso degli accordi Trips). Viene da chiedersi: una volta raccolto il (molto) denaro per far funzionare il sistema di Patent2, non sarebbe più semplice e trasparente investirlo in ricerca pubblica, rilasciando i risultati sotto licenze aperte, cioè donandoli a chi li vuole utilizzare?

Di seguito l’intervista

 «Circa 18 milioni
di esseri umani uccisi da malattie che possiamo prevenire, curare o
trattare. Questo equivale a 50000 morti evitabili al giorno, un terzo
di tutto il numero di morti umane. Altre centinaia di milioni sono
condannate a morte a causa di queste malattie. Il fattore causale più
importante che incide su questa distribuzione è la povertà. Quasi tutte
le morti evitabili accadono in paesi poveri, tra gli abitanti più
poveri di questi paesi». Così scrive Thomas Pogge – professore di
filosofia alla Yale University, allievo ed erede teorico di John Rawls
– nella seconda edizione di uno dei bestseller accademici degli ultimi
anni: «Povertà globale e diritti umani» (World Poverty and Human
Rights, di prossima uscita per Polity Press). Tra i più importanti
esponenti di un rinnovato cosmopolitismo, una bussola che dovrebbe
orientare la riforma delle istituzioni globali che garantiscano a tutti
gli esseri umani diritti sociali universali, Thomas Pogge è ora alla
guida di un progetto che denuncia l’attuale normativa internazionale
sui brevetti farmaceutici perché subalterna agli interessi delle
multinazionali farmaceutiche e dei governi dei paesi più ricchi. Lo
abbiamo incontrato all’Australian National University, uno dei centri
universitari coinvolti in Patent2, il progetto portato avanti da Pogge
che prova a piegare la gestione monopolistica globale dei brevetti
farmaceutici alle necessità mediche dei poveri del mondo.

Professor Pogge, perché un filosofo liberale si preoccupa di innovazione farmaceutica?
La
recente globalizzazione del regime monopolistico dei brevetti ha
modificato profondamente i meccanismi di innovazione farmaceutica in un
modo che priva le persone della libertà di produrre, vendere e comprare
nuovi farmaci a prezzi di mercato. Le attuali normative sono infatti
una manna per i ricchi e le imprese farmaceutiche perché possono
vendere i loro prodotti a prezzi più alti. Ma per i poveri non c’è
alcun vantaggio corrispondente, visto che vengono privati della loro
libertà al solo fine di incentivare la produzione di farmaci a cui la
maggioranza della popolazione mondiale non ha accesso.

Qual è il ruolo delle multinazionali nell’imporre accordi di commercio sfavorevoli per i poveri?
La
globalizzazione del monopolio dei brevetti avvenuta con gli accordi
Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) del 1994,
che erano una parte del trattato Wto, è stata sostenuta dai governi dei
paesi più ricchi, i quali subivano le pressioni delle aziende che
facevano il grosso dei loro profitti dal commercio della proprietà
intellettuale in ambito di software, innovazione farmaceutica,
commercio agricolo. Tuttavia queste aziende non sono le uniche
responsabili per l’imposizione di accordi di commercio ingiusti verso i
poveri del mondo. Infatti, i cittadini dei paesi ricchi sono stati
troppo facilmente persuasi che quello che è buono per le loro imprese è
buono anche per loro. Certo questo è quello che molti economisti ci
dicono. Ma che gli economisti giustifichino oggi la condotta dei ricchi
oggi non è più sorprendente di quello che facevano i teologi nei tempi
andati.

Cosa ne pensa dell’iniziativa di paesi come la
Cina, il Brasile e l’India che stanno tentando di riformare l’attuale
regime dei Trips per lasciare ai governi nazionali la decisione di
violare le norme sui brevetti in casi di emergenze sanitarie e sociali?

Sulla carta questa riforma fa già parte dell’accordo
Trips. L’articolo 31 consente ai governi, attraverso le licenze
obbligatorie, di violare i brevetti al fine di facilitare l’accesso
degli stati che rilasciano tali licenze a un’invenzione. Nel 2001,
questa autorizzazione è stata ribadita e ampliata all’interno della
Dichiarazione di Doha del Wto su Trips e sanità pubblica. Il problema è
che gli stati ricchi e potenti minacciano, sviliscono e puniscono
qualsiasi paese povero che di fatto utilizzi queste eccezioni. Quindi,
ciò che è consentito sulla carta, è quasi inutile, in realtà.
Gli
stati affluenti si oppongono alle licenze obbligatorie, perché temono
che i prezzi bassi dei farmaci nei paesi poveri minaccerebbero il
mantenimento di prezzi elevati nei paesi ricchi e quindi
comprometterebbero anche i profitti delle imprese farmaceutiche e gli
incentivi all’innovazione. Questa paura è ovviamente esagerata, perché
il riconoscimento del dirittto di accesso ai farmaci non pregiudica
certo la capacità delle imprese farmaceutiche di innovare i loro
farmaci, come invece sostengono le grandi multinazionali.
Va
inoltre ricordato che le licenze obbligatorie possono portare grandi
benefici ai poveri che soffrono di malattie che sono comuni anche tra i
ricchi. E tuttavia gran parte dei poveri soffre di malattie che sono
rare nei paesi benestanti. Le aziende farmaceutiche trascurano queste
malattie e le licenze obbligatorie rischiano di aumentare tale
negligenza.

Qual’è l’impatto dell’attuale regime di brevetti sulla ricerca medica e il tipo di medicine che vengono prodotte?
I
brevetti incentivano la ricerca medica su disturbi e malattie che i
ricchi sono disposti a pagare molto pur di evitare. I ricercatori hanno
quindi molti più incentivi di mercato a lavorare sull’acne, la caduta
dei capelli o l’impotenza che su malattie come il morbillo, la malaria,
la tubercolosi, oppure altre malattie tropicali debilitanti. Secondo
una stima citata di frequente, il 90 per cento della ricerca
farmaceutica si concentra su disagi medici che contano solo per il 10
per cento del peso globale delle malattie (Global Burden of Disease,
Gdb).

Quali sono, secondo lei, i limiti delle iniziative
esistenti per risolvere la questione dell’accesso alle medicine per i
poveri del mondo?
Ci sono molte agenzie governative,
inter-governative e Ong che si preoccupano della salute dei poveri. In
alcuni casi riescono anche a produrre qualche risultato. Ma i loro
sforzi non sono ben coordinati e finiscono per essere inefficienti dal
punto di vista dell’azione collettiva. Quello che conta è che si tratta
di tentativi che lasciano il problema fondamentale irrisolto. Il
problema fondamentale è che l’innovazione farmaceutica nel settore
privato è guidata dai profitti che le aziende fanno vendendo medicine
brevettate. Poiché la ricerca è diretta in questo modo, le aziende non
possono includere i poveri nei loro sforzi senza danneggiare la loro
posizione economica nel mercato, per esempio riducendo il tipo di
disagio da cui i loro profitti dipendono oppure perdendo clienti ricchi
che trovano il modo di comprare a poco prezzo le medicine destinate ai
poveri. Il regime esistente ha anche un effetto negativo sul tipo di
ricerca che viene fatta: per esempio incentiva lo sviluppo di farmaci
che portano al sollievo dei sintomi di una determinata malattia anziché
a sviluppare vaccini o farmaci preventivi.

Quali sono le principali linee guida del vostro progetto?
Per
primo cosa va riaffarmato il fatto che abbiamo bisogno di una soluzione
a lungo termine. Per questo occorre incoraggiare l’innovazione
farmaceutica che riesca a fare a meno delle barriere che separano i
poveri dai produttori di farmaci generici. Allo stesso tempo va
riaffermato un principio di eguaglianza in base al quale i poveri hanno
lo stesso diritto dei ricchi nel veder riconosciuti i loro bisogni
dalla ricerca medica. La nostra proposta punta allo sviluppo di un
secondo binario che gli innovatori farmaceutici potrebbero usare nella
ricerca. Al momento, gli innovatori hanno solo un’alternativa per
finanziare le spese di ricerca e sviluppo: devono trarre profitti dai
prodotti costosi che il loro monopolio gli permette di vendere. Noi gli
daremmo una seconda opzione: quella che chiamiamo «Binario-2». Ogni
innovatore può permettere la produzione e vendita aperta di un prodotto
in cambio di incentivi finanziari, garantiti da trattati
internazionali, proporzionati all’impatto medico globale di questo
farmaco. Con questa opzione, farmaci per malattie che danneggiano
soprattutto i poveri potrebbero diventare l’obiettivo di ricerche che
promettono profitti. Scegliendo questa opzione per la produzione di un
particolare farmaco, gli innovatori lo renderebbero immediatamente
disponibile per la produzione «competitiva». Dal loro canto, i pazienti
trarrebbero beneficio dall’ulteriore incentivo che l’azienda che
inventa il farmaco ha di collaborare con altri produttori generici e di
migliorare la qualità del servizio sanitario nei paesi poveri.

Quali sono le difficoltà principali incontrate nello sviluppo del progetto?
Ci
sono difficoltà tecniche, ma anche politiche. Dal punto di vista
tecnico occorre specificare il tipo di meccanismo di compenso per chi
viene coinvolto nel «Binario-2»: definire una metrica per il Gbd,
determinare il compenso monetario per unità di riduzione del Gbd,
identificare regole per distribuire il Gbd tra le varie malattie,
trovare modi di ricavare dati sufficienti per poter misurare ex post il
peso di ogni malattia e per poter fare proiezioni plausibili da qui a
qualche anno, identificare regole per attribuire specifiche riduzioni
di Gbd agli innovatori che partecipano al «Binario-2», pensare ai
meccanismi per combattere la frode e la corruzione, e anche alle regole
particolari per innovazioni incrementali e per la fase di prova. Un
altro aspetto del progetto riguarda l’identificazione dell’organo
responsabile per l’amministrazione del sistema di ricompense e le
procedure di mediazione per la soluzione di conflitti legati
all’interpretazione e applicazione delle regole.
Un terzo aspetto
ha a che fare con le regole del trattato concernenti lo schema di
finanziamento e le penalità per chi trae vantaggio dallo schema senza
condividerne i costi. Abbiamo un gruppo internazionale ed
interdisciplinare – sostenuto dall’«Australian Research Council», la
fondazione Bupa e la Commissione Europea – che sta lavorando per
definire soluzioni praticabili per questi problemi. Il nostro lavoro
viene documentato, quasi in tempo reale, su www.patent2.org.
Le
difficoltà politiche riguardano invece la definizione del progetto in
modo tale da renderlo minimamente accettabile alle parti in causa, per
poi ottenere l’interesse loro e dei media. Ci sono molto discorsi sui
terribili e persistenti deficit sanitari nei paesi poveri sebbene
questi si possano interamente evitare. E ci sono anche molte
dichiarazioni, gruppi di studio, conferenze, summit, iniziative,
progetti e richiami all’azione. Tutto questo rumore di idee rende
difficile risolvere il problema alle sue radici: perché è difficile
venire ascoltati e perché molti sono convinti che il problema sia già
stato risolto.

L’equità non è la valuta di riferimento
dell’economia del libero mercato. Perché le aziende dovrebbero
interessarsi di giustizia sociale e impatto medico globale?
Immagino
che lei intenda riferirsi a quale ragione commerciale avrebbero di
sostenere il progetto che ho descritto. Una ragione è che «Binario-2»
dà loro un’opzione di investimento in più. Gli innovatori non sono
costretti a mettere tutta la loro innovazione su questo binario, ma
sono liberi di farlo se vogliono. Questo è un vantaggio per loro.
Alcuni progetti di investimento che non rendono sul «Binario-1»
potrebbero rendere sul «Binario-2» ed altri che rendono sul «Binario-1»
potrebbero rendere ancora di più sul «Binario-2». Il risultato è che le
compagnie farmaceutiche e bio-tecnologiche potrebbero avere più
opportunità per fare ricerca di quelle che hanno ora.
Una seconda
ragione è che le compagnie farmaceutiche stanno fronteggiando una seria
crisi di immagine pubblica che potrebbe essere politicamente molto
costosa per loro. Nell’attuale regime si trovano di fronte e scelte
imbarazzanti tra profitto e decenza morale. Se una compagnia vende i
prodotti al prezzo massimo di profitto garantito dal monopolio verrà
accusata di causare malattie e morti dovute al mancato accesso a
farmaci che si potrebbero altrimenti comprare a costi marginali. Se
l’azienda decide di cambiare atteggiamento e rendere il farmaco meno
costoso, allora il mercato la punisce e i suoi profitti cadono o perché
anche i ricchi trovano il modo di avere accesso ai farmaci meno costosi
prodotti per i poveri o perché questo riduce la malattia in questione e
quindi anche la domanda di mercato per un determinato farmaco.
Questo
dilemma nasce non tanto dal modo in cui le aziende fanno profitti ma
dal modo in cui noi regolamentiamo il loro operato. Se noi Cambiamo le
regole secondo le quale operano, noi salviamo le compagnie
farmaceutiche da questo dilemma, garantendo l’accesso a farmaci
avanzati a competitivi prezzi di mercato e al tempo stesso premiando
l’innovazione in proporzione alla sua capacità di incidere
positivamente sulla salute pubblica globale.

Il Manifesto, 10 gennaio 2008. Intervista di Lea Leman Ypi