Sono di ritorno da Malmo, dove si è tenuto il decimo PCST, il congresso mondiale sulla Comunicazione pubblica della scienza e della tecnologia. In tre giorni si sono concentrate qualcosa come settanta sessioni parallele sugli argomenti più diversi, trecento relazioni che spaziavano dalla comunicazione del cambiamento climatico ai bambini all’uso del web 2.0 e dei blog, fino al motivo per cui l’imperatore Hirohito si è presentato ai media come "imperatore scienziato" (per far scordare almeno un po’ le sue colpe nelle devastazioni della guerra).
Un congresso tutto sommato senza grosse sorprese, in cui alcune cose interessanti sono venute non dagli accademici ma dagli anfibi: giornalisti/ricercatori, comunicatori senza frontiere. Per esempio Larry Sanger, fondatore di Wikipedia ora impegnato nel progetto Citizendium, un enciclopedia online aperta alla partecipazione pubblica ma non anonima e supervisionata da esperti, che si pone il problema di quanto sia possibile allargare la "radical collaboration" del modello wiki alla scienza.
Oppure, dal lato accademico, uno studio come quello di Hans Peter Peters e altri colleghi sparsi per il mondo, che hanno fatto un’indagine internazionale – che verrà pubblicata il mese prossimo su Science – sulle interazioni tra scienziati e media e sul ruolo delle strutture di PR delle istituzioni scientifiche. In crescita, ovviamente, mentre sempre più scienziati credono che la comunicazione sia un’attività fondamentale che fa parte del loro lavoro quotidiano.
In generale tuttavia il modello che emerge da questo convegno non è troppo vivace, schiacciato com’è sulle necessità della scienza e legato alla capacità di aiutare la politica e le istituzioni a sviluppare le proprie policy di gestione del rapporto tra scienza e cittadini. Per chi avesse voluto uno sguardo più critico, una parziale delusione.