Davvero scienziati ed esperti sono in grado di decidere quali sono i fatti e controllare la direzione del progresso? Sono alcune delle domande cruciali che si è posto, nella sua ormai trentennale attività di ricerca, il sociologo e antropologo della scienza francese Bruno Latour. Ora Eleuthera gli dedica un piccolo volume: Disinventare la modernità. Conversazioni con François Ewald (72 pagine, 8 euro), una lunga intervista che cerca di ripercorrere le tappe della sua carriera e i punti più importanti del suo pensiero.
Partiamo dal tipo di modernità che Latour si propone di disinventare. In Non siamo mai stati moderni l’antropologo francese aveva chiamato modernità la capacità di separare in modo netto – e artificioso – fatti e valori. Da una parte i fatti, verificati da una scienza neutrale. Dall’altra i valori, le scelte politiche, gli interessi. Oggi tuttavia secondo Latour non siamo più moderni, dato che questa separazione non è più possibile, e gli oggetti di cui il nostro mondo si è popolato sono sì diversi ma legati indissolubilmente tra di loro, che si tratti di microbi, ricercatori, valori etici, transistor…
Qualche esempio di casa nostra: la Tav in Val di Susa, chi decide se è “corretto” costruirla o meno? Gli esperti incaricati dalla Rete ferroviaria italiana hanno idee ben differenti da quelli dei comitati NoTav, che purtuttavia sono altrettanto esperti dei primi. Oppure la pillola abortiva RU486: scientificamente parrebbe ineccepibile, eppure… chi può dire che non sia intrisa di valori? La nostra società è colma di “esperti” scientifici, di dati inconfutabili, di certezze e di prove sperimentali, ma il ruolo di questi strani oggetti è molto più complesso di quanto non sembri. Certo, nella sua antropologia della nostra società, Bruno Latour riserva un posto speciale per la scienza e per i suoi prodotti, che hanno cambiato così profondamente il nostro mondo. Ma attenzione, a dimostrare quanto poco sia reale la neutralità della scienza ci ha pensato lo stesso Latour ormai trent’anni fa, quando è entrato in un laboratorio scientifico per studiarlo con gli strumenti dell’antropologia.
E a prescindere da questo, oggi nel campo della scienza e della tecnologia “le connessioni sono inaspettate e nessun esperto può controllarle”. E poi, come si premura di chiarire, “in fondo, vogliamo gettare le basi proprio per una critica degli esperti”. Di più: stiamo già vivendo in una sorta di “esperimento collettivo” in cui gli esperti non sono che una delle parti in causa, insieme per esempio ai lavoratori che subiscono gli effetti dell’amianto o ai contadini che comprendono meglio degli scienziati un mutamento avvenuto nell’ambiente.
“Quando eravamo moderni”, per usare l’espressione di Latour, potevamo permetterci di ignorare le culture, come quelle tradizionali o popolari, che confondevano fatti e valori. Per esempio, credevano che i mutamenti della volta celeste fossero legati a quelli della propria famiglia. Ma ora, che anche noi abbiamo capito che fatti scientifici e valori sono legati indissolubilmente, tutto si complica clamorosamente. E Latour può candidarsi a rappresentare “il filosofo della pluralità dei mondi”, che mette davanti a tutto la necessità di negoziare, e non imporre, culture ed idee. Certo, conclude, “se fossimo semplicemente scientifici, se fossimo sapienti razionali, ci accorderemmo molto meglio. Purtroppo siamo divisi dalle nostre ideologie e dai nostri interessi…”
L’Unità, 24 giugno 2008