Seattle è la città dove Starbucks è nato e ha la sua sede centrale. La più grande catena di caffè del mondo, con 16.000 bar di cui 11.000 negli Stati Uniti e qualcuno anche in Europa, è un’istituzione locale. Così, quando il primo luglio la company ha annunciato la chiusura di 616 locali in tutti gli states, la notizia è andata su tutti i giornali. Però nonostante i 12.000 licenziamenti previsti, le proteste non sono arrivate dai lavoratori o dal sindacato ma dai clienti, che si stanno organizzando dappertutto.
Oggi ho incontrato Loretta Donnely, una ex-dipendente della catena che da dieci giorni staziona al tavolino fuori dallo Starbucks di Capitol Hill (uno dei 616 sulla lista nera) raccogliendo firme per impedirne la chiusura. Sta diventando una star locale, con 12.000 firme da mandare a Howard Shultz, il boss della multinazionale che sta a poche miglia da qui, apparizioni in tv e alla radio. La gente che passa davanti al caffè la saluta e si ferma volentieri a firmare. Le ho chiesto mille volte perché ha dato vita a questo grassroots movement per difendere una corporation multimiliardaria quando il suo quartiere è stracolmo di caffé indipendenti, organic, legati strettamente alla comunità. Niente da fare. Lei è determinata e vuole il suo Starbucks nel suo quartiere. Un brand insostituibile.
Loretta dice che "è stata Seattle a creare Starbucks, non possono dimenticarlo. Ora sono loro che devono tornare alla gente, alla comunità e vedere cosa succede qui." Un po’ di equilibrio arriva da Stephen Colbert, un famoso comico che la settimana scorsa durante il suo show alla tv ha detto “questo è il tipo di attivismo dal basso che mi piace, quello che supporta la diffusione delle corporation più infernali”. Tornando a Loretta, quando il discorso cade sul destino dei lavoratori e sull’assenza delle Union, la risposta è quasi ovvia: "i sindacati non servono, questa azienda tratta i suoi lavoratori benissimo." Lo chiederò a qualcuno di quei dodicimila
Infatti dal sito SU questa organizzazione sembrerebbe far parte di IWW, e quindi non essere un sindacato giallo. Qui in Italia la cosa è punibile per legge.
(l’ho appena letto mentre mi informavo su cosa significhi “sindacato giallo”….)
E’ possibile che vogliano usare il marchio Starbucks perchè evoca lavoratori molto presenti nella vita e nell’immaginario delle persone, più del marchio IWW?
Forse per far capire che i lavoratori esistono devono ricorrere a questo.
Ciao.
Grazie per le info Michele. Pero una precisazione: Loretta faceva parte di un movimento strano, non collaterale all’azienda ma nemmeno vicino ai lavoratori. Per dirla tutta: il problema dei lavoratori non se lo poneva nemmeno. Era questa la cosa più interessante (o inquietante). Lei (e tanti altri) era una consumatrice e voleva salvare il brand Starbucks, cui era attaccata per diversi motivi; era pronta a difenderlo acriticamente ma anche a attaccarlo, come ha fatto, perché si sentiva tradita dal fatto che abbandonasse il suo quartiere.
Purtroppo non ho piu scritto nulla (sono lontano migliaia di chilometri da Seattle) ma c’era anche l’esperimento della Starbucks Union (nata da una costola del sindacato IWW) che ha fatto scioperi e proteste per i licenziamenti, che tra parentesi stanno continuando. Anche qui una cosa strana, no? A chi verrebbe in mente di chiamare un sindacato “Unione Fiat” o “Sindacato Vodaphone”? Non suona tremendamente sindacato giallo? Eppure erano gli anarchici IWW. Il potere del brand negli USA è molto maggiore che da noi, ma credo che dovremmo riflettere ancora sul loro potere di scatenare amore e odio.
Questa signora Loretta è male informata o dice cose assolutamente false! Starbucks è stata obbligata dalla National Labor Relations Board (NLRB è l’organo governativo che garantisce il rispetto delle relazioni industriali negli USA da parte sia dei datori di lavoro che dei sindacati)a riassumere tutti i baristi che erano stati licenziati dalla direzione di starbucks perchè iscritti al sindacato. Le sentenze dei giudici hanno sempre dato ragione ai lavoratori e trovato la multinazionale colpevole di attivit antisindacali… vermente un bell’esempio di impresa etica!
chiedetelo a Christina Rosevear, ex “barista” che è stata licenziata solo perchè aspettava un bambino.
BOICOTTARE STARBUCKS? SI PUO’ FARE!!!
è vero ma dal punto di vista dell’affezione verso un brand (cosi inutile, tra l’altro, visto quante coffee company ci sono a seattle) la storia è interessante. I lavoratori della sede centrale, che ha annunciato licenziamenti anche tra i colletti bianchi, si sono trovati a un bar per chiacchierare. forme di protesta da quel lato non se ne vedono. ora cerco di parlare con gli IWW che stanno seguendo la questione dal punto di vista sindacale. comunque ehi, a Seattle non si parla d’altro che dei licenziamenti ecc.
che vecchiaccia rincoglionita!