Oggi su Nazione indiana c’è uno dei racconti pubblicati da Katie Hepworth sul suo blog dedicato alle storie dei migranti che Katie, artista e ricercatrice australiana, ha raccolto a Milano. Alcuni di questi racconti mi sono piaciuti molto e fotografano le condizioni delle persone che Maroni e soci odiano così tanto. Ve li consiglio. Sotto ne copincollo un pezzetto, il resto potete leggerlo qui, in attesa della manifestazione nazionale contro il razzismo di sabato 23 maggio.
"Mio marito era un dottore, io sono un’infermiera. Io ero una della classe media nel mio paese, della media-alta società. Venire qua per fare la badante è stato un colpo molto duro… Mi sveglio alle sei di mattina, in silenzio, cosi posso fare colazione in segreto. Mi faccio la doccia mentre lei dorme. Andiamo a letto alle dieci, undici di sera. Aspetto che si addormenti e vado a farmi la doccia. Ma a volte quando sente la doccia si sveglia. Una volta facevo la doccia e lei è entrata: “Che fai? Sprechi acqua”. Ero nuda, ma ha aperto la porta. Mi vergognavo, ma lei ha detto “questa è casa mia, comando io”.
Anche in camera mia lei prende tutto. Sai, avevo una piccola scatola di legno con delle cose dentro, cose per farsi le unghie, e lei l’ha presa e l’ha portata in camera sua… Non mi chiede mai il permesso. Adesso che sono qui, sicuramente lei è in camera mia a guardare. Ogni sabato e domenica, nelle due ore libere, va lì e guarda. All’inizio mi faceva una rabbia… mi sentivo imponente. Ma lei dice che è casa sua, che non mi posso permettere di chiudere la stanza. Sai che la porta del bagno non la posso chiudere? Rimane sempre aperta. È per la sua sicurezza, ma la porta rimane sempre un po’ aperta."