A Trieste ho parlato con Donghong Cheng (foto), segretario esecutivo dalla China Association for Science and Technology (Cast), che si occupa di comunicazione della scienza tramite alcuni progetti di dimensioni bibliche: un «treno della scienza» e una flotta di autobus, per esempio, che nel giro di un anno hanno raggiunto qualcosa come sessantadue milioni di persone concentrate nelle aree più remote (e più povere) del paese, agli antipodi delle esplosive città della Cina orientale. Portando loro scienziati in carne e ossa, informazioni, musei intineranti… e diffondendo una cultura scientifica che è indispensabile per un paese che si candida a diventare capofila dello sviluppo globale.
Lo dimostra la Legge sulla divulgazione della scienza e della tecnologia, promulgata dal governo cinese, che obbliga tutti i media, dalla radio, ai giornali, alle tv, a dedicare più spazio alla scienza. E secondo la quale «chi usa la divulgazione della scienza per accumulare soldi, beni di valore o turbare l'ordine sociale verrà criticato e rieducato da una apposita commissione».
Nonostante i rischi legali e il codazzo di guardie del corpo che vigilano su quello che fa, Donghong è molto disponibile e non si tira indietro di fronte a qualunque tipo di domanda: il problema delle centinaia di migliaia di sfollati causati dalla costruzione delle grandi dighe? Un semplice scambio tra comunità locali e governo («no pain, no gain»). I diritti umani? Un sistema di valori che necessita di un retroterra culturale su cui innestarsi. Il pubblico della Fiera internazionale dell'editoria scientifica di Trieste le ha chiesto di tutto, dai diritti umani, appunto, al protocollo di Kyoto, dagli Ogm (grande motivo di pressione delle multinazionali sul governo cinese) al sistema educativo del suo paese.
L'intervista è uscita sull'Unità di oggi.