Più riviste per i poveri

Mille riviste scientifiche liberamente consultabili dai ricercatori dei paesi poveri. Anche se si tratta soltanto delle riviste di discipline legate all'ambiente, l'apertura dei loro archivi non è cosa da poco per i diretti interessati, gli scienziati dei paesi di Africa, Asia e Sudamerica che hanno un Pil pro-capite minore ai mille dollari (in Italia arriviamo a 27.000).

L'Online Access to Research in the Environment è un progetto lanciato il 30 ottobre dal Programma per l'ambiente dell'Onu e dall'Università di Yale. Per ora sono coinvolte settanta nazioni, ma dal 2008 si aggiungeranno altri trentasette paesi con un Pil pro-capite compreso tra mille e tremila dollari.

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Brevetti e peer review

Assegnare all'intelligenza collettiva della rete il compito di controllare le invenzioni in attesa all'ufficio brevetti. L'ennesima applicazione del cosiddetto web 2.0 la propone una cordata di aziende, General Electric, IBM, Microsoft, Red Hat e Hewlett-Packard insieme alla New York Law School e all'Ufficio brevetti statunitense, l'U.S. Patent and Trademark Office (Uspto).

Il progetto si chiama Community Patent Review e cercherà di cambiare, per ora nel campo del software, il processo di revisione delle richieste di brevetto, che devono essere depositate e sottoposte a un attento esame prima di essere accettate. Il progetto pilota partirà all'inizio del 2007 e durerà un anno, durante il quale scienziati e ingegneri potranno sottoporre le loro invenzioni all'ufficio brevetti americano tramite un sistema online. Tutti i documenti saranno da qual momento liberamente accessibili via internet, aperti al commento pubblico.

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Cina open access

Alla conferenza internazionale del Codata (Committee on Data for Science and Technology) che si è tenuta a Pechino dal 23 al 25 ottobre, il ministro della scienza e della tecnologia Xu Guanhua ha presentato il piano cinese di data sharing. Si parla di rilasciare in forma aperta, liberamente accessibile via internet, l’80% dei dati scientifici cinesi relativi alle «scienze pure» come matematica, fisica e chimica.

Per farlo la Cina vuole realizzare quaranta centri di raccolta dei dati entro il 2010, tutti accessibili liberamente (naturalmente attraverso il portale del ministero). Pare che molto del lavoro necessario sia già stato portato a termine, e che anche gli standard di condivisione siano a buon punto. La locomotiva scientifica cinese, che quest’anno ha investito otto miliardi di dollari e si aspetta di crescere del 19 per cento l’anno prossimo, si propone di fare da apripista al movimento globale per l’open access nella scienza. Anche perché la comunità scientifica cinese si è lamentata per la scarsa circolazione dei dati, e secondo Xu è proprio quella la causa del «mancato raggiungimento degli obiettivi cinesi riguardo all’innovazione». Proprio così.

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Al Centro dell’intelligenza collettiva

Molti anni fa (era il 1984) Richard Stallman se ne andò dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) per dare vita a uno dei più noti e riusciti esperimenti di intelligenza collettiva al lavoro: Gnu, la piattaforma di software libero che oggi è la base del sistema operativo Linux e che è costantemente migliorata da una comunità di migliaia di programmatori disseminati in tutto il mondo. Stallman non voleva che la libera evoluzione del suo software, prodotto collettivamente dagli hacker, fosse ostacolata dal copyright.

Chissà se al Mit di Boston stavano pensando a lui quando hanno trasformato il Center for Coordination Science nel nuovissimo Center for Collective Intelligence, che si propone di capire «come le persone e i computer possono essere connessi in modo da agire – collettivamente – in modo più intelligente di quanto qualunque individuo, gruppo o computer abbia mai fatto prima». È una decisa evoluzione dell’approccio della scienza alle nuove tecnologie informatiche e alle reti sociali, che stanno dimostrando il loro valore produttivo con risultati anche economici di tutto rispetto.

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Legge chi paga o paga chi legge?

Chi ha detto che l’open access è una mania da smanettoni libertari? Negli Usa il «Federal Research Public Access Act» lo hanno scritto il senatore repubblicano John Cornyn e Joseph Lieberman, il democratico più a destra che ci sia, recentemente sconfitto alle primarie nel Connecticut. In fondo la questione sollevata è semplice: perché i risultati delle ricerche degli enti pubblici, cioè quelle pagate da tutti i cittadini, non dovrebbero essere liberamente accessibili a tutti, ma solo a chi si abbona alle costose riviste scientifiche? I due senatori, insomma, vorrebbero obbligare i grandi enti di ricerca pubblici a mettere tutti gli articoli scientifici su archivi «open» dopo sei mesi dalla pubblicazione su rivista, rendendoli così consultabili gratuitamente a chiunque disponga di una connessione internet.

Niente di rivoluzionario, dato che i primi sei mesi sono il periodo di maggior interesse scientifico di una pubblicazione, e visto che nell’ultimo anno sia il Research Council britannico sia la Commissione Europea si sono espressi a favore della pubblicazione open access delle ricerche finanziate con denaro pubblico.

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Un wiki per la scuola globale

Insegnanti di tutto il mondo unitevi! Se vi chiedete come far entrare nella scuola le potenzialità del cosiddetto Web 2.0, cioè di quelle applicazioni che permettono agli utenti della rete di non essere consumatori passivi ma di creare i propri contenuti in una forma sociale e condivisa, il Global Text Project è quello che fa per voi. Soprattutto se non siete insegnanti ma studenti in coda in libreria per l’acquisto dei costosissimi libri di testo scolastici.

Il progetto parte dall’Università della Georgia negli Stati Uniti, ma si propone di creare una rete in tutto il mondo per rendere disponibili testi a costo zero per gli studenti dei Paesi in via di sviluppo, che spesso non possono permettersi i libri necessari per l’educazione superiore. Non si tratterà di semplici libri e nemmeno soltanto di e-book, ma di wiki, cioè testi aperti alle modifiche che la stessa comunità scolastica vorrà apportarvi per migliorarli.

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L’articolo scientifico alla prova del web

«Gli scienziati sono pronti per applicare il grande potere della rivoluzione di internet alla comunicazione scientifica, ma sono stati ostacolati dalla natura conservatrice dell’editoria scientifica». Lo dice Michael Eisen, biologo dell’Università della California di Berkeley e co-fondatore di Public Library of Science, l’organizzazione paladina dell’open access che dal 2003 pubblica diverse riviste specializzate ad accesso libero e gratuito per chiunque abbia a disposizione una connessione internet.

PLoS sta per tentare l’assalto al cielo dei due (costosi) colossi cartacei della scienza, Nature e Science, le più grandi riviste scientifiche del mondo. Entro l’anno lancerà sul web PLoS One, il suo nuovo giornale «generalista», aperto cioè a qualunque disciplina scientifica.

Ma non è tutto qui: oltre all’approccio open di cui PLoS è portabandiera, cioè la gratuità per tutti i lettori on line, la rivista avrà alcune caratteristiche nuove. O meglio, adattate da quelle che sono ormai le normali forme di lavoro nella rete e che, applicate all’editoria scientifica, acquistano un sapore rivoluzionario, e PLoS non esita a parlare di «Open access 2.0», parafrasando quel «Web 2.0» che dovrebbe definire la nuova organizzazione sociale della rete.

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