Intervista: Steve Kurtz

Steve Kurtz è uno dei membri del Critical art ensemble (Cae), un collettivo di artisti americani che lavora al confine tra scienza, tecnologia e politica. Nel 2004 Kurtz è stato arrestato dall’Fbi con l’accusa di bioterrorismo dopo che in casa sua furono trovate le colture batteriche che il Cae usava per i suoi progetti sulle biotecnologie. Nel libro L’invasione molecolare il Cae teorizzava l’uso della biologia fai-da-te come strumento per criticare e mettere in crisi le strutture del potere all’interno dell’industria biotech e il ruolo stesso della biologia nel capitalismo. Kurtz riflette da anni su problemi come i brevetti sulle sequenze genetiche o le forme della democrazia nelle scelte scientifiche, ed è un osservatore privilegiato dei movimenti di biologia fai-da-te che oggi si stanno sviluppando al di fuori dei confini istituzionali di università e imprese biomediche o dell’agribusiness.

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Recensione: Biopunk di Marcus Wohlsen

“Se fossi un ragazzino oggi, sarei un hacker della biologia”. Non lo ha detto uno qualunque, ma Bill Gates, l’ex giovanissimo hacker brufoloso che sulle capacità e sulle tecnologie sviluppate dalla comunità hacker della Silicon Valley degli anni Settanta ha costruito un impero commerciale immenso che si chiama Microsoft. E infatti in questi mesi sta emergendo un movimento di quelli che si chiamano “biohacker” e si divertono ad applicare le forme di azione dell’hacking alla biologia.

Stiamo parlando di ragazzini che giocano a sequenziare geni, smanettoni che applicano le loro conoscenze informatiche al Dna, laboratori biologici abusivi costruiti nei garage californiani, e di una rete globale di scambio e condivisione di informazioni e conoscenze organizzata in rete con principi open source. L’hobby del movimento DIYbio, dove DIY sta per do-it-yourself, cioè fai-da-te, è la biologia.

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La peer review in Europa

La peer review è una forma di valutazione dei progetti di ricerca da finanziare effettuata da un gruppo di “pari”, cioè di esperti indipendenti chiamati a valutare la qualità dei progetti e quindi decidere quali meritino di essere portati avanti. La European science foundation (Esf) ha effettuato uno studio sullo stato della peer review analizzando le pratiche e le linee guida di trenta delle decine di agenzie di finanziamento della ricerca che la compongono. Per l’Italia hanno partecipato il Cnr e l’Istituto nazionale di fisica nucleare. La Esf ha pubblicato così la European peer review guide, che si propone di le organizzazioni che finanziano la ricerca a migliorare i propri processi di peer review.

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Il vero dottor Stranamore

Alla famosa frase di Oppenheimer, che disse la bomba atomica aveva fatto conoscere ai fisici il peccato, il suo arcinemico Edward Teller rispose che piuttosto avevano conosciuto il potere. E al potere questo fisico protagonista del Progetto Manhattan e della successiva corsa agli armamenti è stato sempre vicino. Per esempio, è stato in grado di influenzare le scelte dei presidenti americani sullo sviluppo e l’uso delle armi termonucleari.

Il vero dottor  Stranamore. Edward Teller e la guerra nucleare (Raffaello Cortina, 592 pagine, 36 euro), il libro di Peter Goodchild, come la vita del padre della bomba a idrogeno imponeva, mescola fisica e politica ed è una ricostruzione molto interessante e documentata. Anche se a volte l’autore sembra pendere verso la simpatia per un personaggio così difficile da digerire come Teller, il suo libro è equilibrato nel raccontare gli scontri sostenuti e gli errori commessi, e ha il pregio di tentare di indagare anche gli intrecci di potere che ne hanno avviluppato l’attività.

Teller odiava il paragone con il dottor Stranamore, lo scienziato pazzo protagonista del film di Stanley Kubrick. Eppure fu il maggiore propugnatore dello sviluppo dell’arsenale nucleare americano, lo sponsor instancabile di numerosi test atomici, venne chiamato “il più grande killer della storia americana” e arrivò a proporre di usare la bomba per scavare un nuovo canale di Panama, il Canale panatomico.

Il suo concetto di deterrenza nei confronti dell’Unione sovietica a suon di bombe e scudi stellari gli valse l’odio dei pacifisti, una torta in faccia lanciata nientemeno che da Jerry Rubin (foto sotto) e più in là negli anni un ironico premio IgNobel per la pace “per aver dedicato la vita al cambiamento del concetto di pace quale era stato inteso sinora”. Proprio per questo, al di là delle valutazioni politiche, questo libro è un buon modo per capire quanto la scienza sia lontana dalla proverbiale torre d’avorio e quanto sia invece in grado di entrare nei luoghi dove si decidono i destini del mondo. 

(da Le Scienze di gennaio)

 

User-led science

Su JCOM abbiamo lanciato una call for articles. Si cercano contributi sulla scienza dal basso ai tempi della rete: si può fare? Funziona? Il web allarga la partecipazione? E chi si appropria della conoscenza prodotta dagli utenti di internet? Vorremmo evitare di fare un’apologia della democrazia online e della produzione p2p, per cui sono ben accetti contributi critici e analisi che scavano un po’ sotto alla crosta modaiola del web 2.0. Ecco la call:

User-led Science – A special issue of JCOM

Science is increasingly being produced, discussed and deliberated with cooperative tools by web users and without the istitutionalized presence of scientists. "Popular science" or "Citizen science" are two of the traditional ways of defining science grassroots produced outside the walls of laboratories. But the internet has changed the way of collecting and organising the knowledge produced by people – peers – who do not belong to the established scientific community. In this issue we want to discuss:

– How web tools are changing and widening this way of participating in the production of scientific knowledge. Do this increase in participation consist in a real shift towards democratizing science or on the contrary is merely a rhetoric which do not affect the asymmetrical relationships between citizens and institutions?

– The ways in which both academic and private scientific institutions are appropriating this knowledge and its value. Do we need a new model to understand these ways of production and appropriation? Are they part of a deeper change in productive paradigms?

We would like to collect both theoretical contributions and research articles which address for example case studies in social media and science, peer production, the role of private firms in exploiting web arenas to collect scientific/medical data from their costumers, online social movements challenging communication incumbents, web tools for development.

Interested authors should submit an extended abstract of no more than 500 words (in English) to the issue editor by May 15, 2009. We will select three to five papers for inclusion in this special issue. Abstracts should be sent to the JCOM’s editorial office (jcom-eo@jcom.sissa.it).

Sissa: brevetti precari

Il nuovo Regolamento sulla proprietà intellettuale della Scuola internazionale superiore di studi avanzati, appena approvato dalla Sissa di Trieste, dove lavoro, stabilisce le norme sui brevetti per il personale della scuola. Naturalmente la Sissa "favorisce la brevettazione e la valorizzazione economica dei risultati delle ricerche" che risultano in invenzioni brevettabili.

Con un buffo distinguo: se sei un "inventore-dipendente" (cioè un professore garantito che guadagna un ottimo stipendio) hai l’esclusiva sui diritti derivanti dall’invenzione, e devi versare alla Sissa il 40% dei proventi. Il restante 60% è tuo. Se invece sei un "inventore-soggetto non strutturato" (cioè un dottorando, un contrattista, insomma un precario qualunque) i diritti patrimoniali restano alla Sissa, che ti darà il 50% dei proventi. Il 10% di differenza se lo tiene la Sissa, insieme al diritto di vendere il brevetto e farne ciò che vuole. Il precario si consola con l’inalienabile diritto a essere riconosciuto come autore dell’invenzione, che però non si mangia.

Un chiarimento: non so quanto influiscano le spese di registrazione, che naturalmente sono a carico del titolare del brevetto, e se questa suddivisione sia comune nelle università italiane. Qualcuno me lo spiega? Intanto mi consolo sapendo che i ricercatori precari, come scritto nella proposta di autoriforma scritta dall’Onda nel novembre scorso, ritengono "essenziale lo sviluppo di forme non commerciali della loro tutela (GPL/Creative commons) in contrapposizione al brevetto".

Qui il testo del regolamento Sissa

How-to fondare la comunicazione della scienza

Sul nuovo numero di Jcom (che tra parentesi ha finalmente adottato le licenze Creative commons) c’è una mia recensione di due libri collettivi pubblicati negli ultimi mesi. Sono manuali accademici sulla comunicazione della scienza che cercano di mettere qualche punto fermo in un campo in evoluzione ma che, nonostante i successi e la crescità della comunità che vi fa riferimento, continua a pagare pegno ai suoi cugini maggiori: gli STS (Science and technology studies) e il settore delle scienze della comunicazione. Mi sembrava interessante parlare del fatto che questo campo sta cercando di ritagliarsi uno spazio accademico, con alterne fortune: ma è davvero utile mettere nuovi steccati in un mondo così interdisciplinare e complesso?

Si tratta di Handbook of Public Communication of Science and Technology di Massimiano Bucchi e Brian Trench (Routledge 2008) e di Communicating Science in Social Contexts: New models, new practices di Donghong Cheng, Michael Claessens, Toss Gascoigne e altri (Springer 2008).

Potete scaricare il pdf qui, oppure continuare a leggere questo post

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Storia popolare della scienza

Ma la scienza chi la fa: solo gli scienziati in camice bianco? La domanda messa così è un po’ semplicistica. Ma alla faccia dei grandi personaggi eroici, i Galilei, i Darwin e gli Einstein, in Storia popolare della scienza (Tropea, 528 pagine, 24,90 euro) Clifford Conner ha deciso di ribaltare la prospettiva e raccontare la storia della scienza dal punto di vista degli artigiani, dei fabbri, degli operai e dei mercanti che hanno contribuito al suo sviluppo dal basso, senza gloria o riconoscimenti. Sulla falsariga di A people’s history of the United States, il capolavoro di Howard Zinn, Conner costruisce una storiografia al contrario e ci dà un punto di vista originale da cui osservare lo sviluppo della conoscenza scientifica.

Nella sua visione, dalla biologia aborigena a Linux la scienza è un prodotto collettivo, frutto dell’agire creativo della gente comune. Le classi dominanti si appropriano della conoscenza prodotta dal popolo per controllarla e goderne i benefici, e la Big Science è asservita ai bisogni dello stato. Sembra un seminario dell’Hackmeeting. Il suo punto di vista marxista a volte suona troppo rigido e anche un po’ ingenuo, ma su una cosa siamo d’accordo: vogliamo il riconoscimento della creatività dal basso e più controllo democratico sulla scienza! Sull’economia mondiale pianificata sono un po’ meno preparato…

Intanto ci cominciamo a godere un po di garage science?

 

Gent.mo Ministro Brunetta

Ricevo e pubblico volentieri questa lettera spedita oggi al ministro da un amico:

"Gent.mo Ministro Brunetta,

mi presento: sono uno dei tanti precari dell’Università Italiana. Ho terminato il mio dottorato nel 2005 e lavoro ora con degli assegni di ricerca annuali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, Facoltà di Agraria.

SapendoLa rinomato Professore Ordinario, addirittura in passato prossimo al Nobel (stando alle Sue dichiarazioni durante la puntata di Matrix del 18 giugno 2008), mi sono incuriosito e ho raccolto alcune informazioni circa il Suo curriculum. A quanto ho trovato, Lei è diventato Associato con la grande sanatoria del 1982. Al tempo la Sua attività editoriale constava in una monografia e due saggi, nessuno dei quali su riviste internazionali referate. 

Sono poi passato a consultare il sito ISI Web of Science, che come Lei certo saprà è un pò la Bibbia per quelli come noi che lavorano nel mondo della ricerca: vi si trovano tante informazioni utili come il numero di lavori pubblicati su riviste internazionali referate, il numero di citazioni e parametri di impatto della propria attività scientifica come l’H index. Spesso faccio delle ricerche per confrontare il mio curriculum con quello dei colleghi, capire a che livello mi trovo rispetto a quelli più bravi di me, e spronarmi a fare meglio. 

Consultando la Sua pagina ad oggi ho trovato due lavori, uno del 1993 e nel 2001. Il numero totale delle citazioni ai Suoi lavori ISI assomma a zero. Anche il mio curriculum è comunque abbastanza modesto, faccio attività di ricerca dal 2003, ho 9 pubblicazioni ISI, un totale di 38 citazioni ed H index di 4. Dico modesto senza ironia in quanto vi sono altri precari nel mio stesso settore di ricerca che hanno pubblicato di più di me. 

Per concludere e non tediarLa ulteriormente, mi chiedevo quindi se, forte della Sua esperienza, potesse darmi qualche consiglio per muovermi meglio nel mondo della ricerca e magari raggiungere il tanto agognato posto fisso che Lei ricopre dal 1982. Sa com’è, già lavorare con i tagli ed i blocchi al turn-over è difficile, in più quando dico in giro che sono precario spesso mi guardano come se fossi un fannullone, e io mi vergogno molto perchè so bene che di questi tempi non c’è quasi insinuazione peggiore..

Distinti Saluti,

Xxxxxx Xxxxxx"

http://www.youtube.com/watch?v=pXKBd3Cg8f0

 

Dall’onda anomala nasce Anna Adamolo

Anna Adamolo è la pluralità del movimento contro la riforma Gelmini, è il rifiuto a giocare con il futuro come se fossimo a una partita di Monopoli, è il grido di un no e la fermezza di tanti sì.

Anna Adamolo è un immaginario non domato e non normalizzato, è la volontà di tenere aperto il molteplice e il possibile contro l’arroganza di un pensiero contabile, è il rifiuto di sanare le difficoltà dell’oggi con le miserie di domani.

Anna Adamolo è “Noi la crisi non la paghiamo”, Anna Adamolo sono le studentesse e gli studenti, le precarie e i precari, le maestre e i maestri, le insegnanti e gli insegnanti, le bambine e i bambini, le mamme e i papà che in questo mese e mezzo hanno portato nelle piazze d’Italia una protesta mai vista contro i truffatori del presente e del futuro.

Anna Adamolo ha una bella riserva di pazienza, ma non inesauribile. Anna Adamolo vuole prendersi il posto che le spetta in questa società, cominciando magari dal ministero della cosiddetta “pubblica istruzione”.

Se diventi amico di Anna Adamolo, ti chiediamo di cambiare il tuo nome, il tuo profilo o il tuo stato mettendo il suo nome e il suo logo al posto del tuo. Sarà un modo in più per dimostrare che non ci stai neanche tu, a questo gioco macabro che vuole subordinare la conoscenza e la solidarietà alla beffa e al profitto.