Avete mai provato a camminare per strada, fare la spesa o viaggiare facendo caso a quanto del vostro tempo viene registrato da una telecamera di sorveglianza? E avete mai pensato alla mole enorme costituita dalla massiccia registrazione delle nostre comunicazioni, email e telefonate? È un flusso continuo di immagini e parole, una quantità di dati infinitamente più elevata della capacita umana di analizzarla. Il problema di come migliorare le nostre prestazioni visive e cognitive se lo è posto Darpa, l’agenzia di ricerca avanzata del Pentagono, puntando su quelle ricerche che cercano di integrare tre sistemi: hardware, software e wetware, come viene chiamato l’umido cervello umano che interagisce con i sistemi informatici.
Paul Sajda, bioingegnere del Laboratorio di Intelligent Imaging e Neural Computing della Columbia University di New York, sostiene che «il nostro sistema visivo è il miglior processore visuale che ci sia, stiamo soltanto cercando di accoppiarlo con le tecniche di visione computerizzata per rendere più efficiente la ricerca in grandi quantità di immagini». Sponsorizzato da Darpa, Sajda sta lavorando a C3Vision, letteralmente il «Sistema di visione accoppiata computer-corteccia»: una nuova interfaccia tra cervello e macchina che darà vita a un identificatore di immagini che operi più rapidamente della coscienza umana, combinando la velocità di calcolo del cervello umano e quella dei computer.
Al momento infatti i sistemi di visione artificiale – per esempio quelli che riconoscono la nostra retina – sono troppo rigidi e specializzati e non sono in grado di rispondere alla quantità di informazioni che qualsiasi cervello umano affronta nella sua attività normale. Il limite delle nostre capacita sensoriali e cognitive, invece, è che non siamo consapevoli di numerose attività del nostro cervello. Insomma, il nostro cervello vede più cose di noi. Non è difficile capire perché proprio Darpa sta finanziando questo tipo di ricerche: immaginatevi un agente con uno speciale casco per elettroencefalogramma collegato a un computer, che guarda la registrazione di un video di sorveglianza e identifica, inconsapevolmente, il volto di un criminale in un fotogramma. C3Vision capta i segnali del suo cervello e segnala il passaggio dell’immagine «sospetta».
Infatti quando il cervello vede qualcosa di importante, anche all’interno di una mole gigantesca di immagini, emette dei segnali tipici, che possono essere rilevati. Si accorge anche di anomalie minime, per esempio un volto conosciuto o un’ombra, che rimangono però subconscie. C3Vision, registrando i giusti picchi di attività cerebrale e rielaborandoli, li usa come farebbe un motore di ricerca come Google: segnala le immagini selezionate e le indicizza, cioè le dispone in ordine di importanza, pronte per un’analisi più approfondita. Il nuovo sistema permetterebbe a una persona di monitorare in tempo reale filmati che scorrono a velocità dieci volte maggiore del normale. Un esempio: «La gente è straordinariamente accurata nell’identificare una particolare immagine, di Marilyn Monroe per esempio, contenuta in una serie di centinaia di foto che scorrono anche alla velocità di dieci o venti immagini al secondo», conferma Leif Finkel, bioingegnere dell’Università della Pennsylvania. Intanto nei primi test della Columbia i soggetti (ibridi uomo/macchina) hanno individuato il 90% delle immagini «sospette» tra centinaia di altre che scorrevano proprio alla velocità di dieci al secondo. Ovviamente, senza che la parte umana si accorgesse di niente.
L’agenzia di ricerca del Pentagono è stata fondata nel 1958 in risposta al lancio dello Sputnik, la navicella spaziale sovietica che fece vacillare i sogni di superiorità tecnologica americana. Oggi la sua attenzione – e i tre miliardi di dollari del suo budget annuale – non sono più diretti allo spazio e alla missilistica ma alle ricerche adatte alle guerre del nostro tempo, nelle quali le tecnologie dell’informazione rivestono un ruolo cruciale. All’inizio di luglio si è parlato in tutto il mondo di BrainGate, il microchip che, impiantato nel cervello di un paziente paralizzato, gli permette di effettuare semplici azioni tramite un computer che registra le sue onde neurali. Insomma, comandare una macchina con il pensiero: anche in quel caso le ricerche erano state inizialmente finanziate nell’ambito del programma Brain-Machine Interface di Darpa. Poi ci sono i finanziamenti a ricercatori che stanno sviluppando software «semantici» per analizzare i contenuti delle comunicazioni, per produrre un traduttore simultaneo che permetta di parlare diverse lingue, oppure per potenziare i sistemi di intelligenza artificiale.
Ecco perché non bisogna stupirsi nello scoprire che i risultati delle ricerche di Darpa hanno avuto spesso ricadute positive sulle tecnologie che usiamo ogni giorno. L’esempio migliore è forse Arpanet, il sistema di scambio di dati militari da cui è nata internet, lo spazio pubblico aperto che ha cambiato il nostro modo di comunicare.
di Alessandro Delfanti
Il Manifesto, 27 luglio 2006