Verso l’alta tecnocrazia

«La tecnologia non è un privilegio per i ricchi, ma uno strumento per i poveri». A Kuala Lumpur in Malaysia, il 19 e 20 giugno scorsi, è nata UnGaid, l’Alleanza globale delle Nazioni unite per le Information and Communication Technologies (Ict) e lo sviluppo. Si tratta di una nuova agenzia dell’Onu che lavorerà per cercare di colmare il digital divide, cioè la ciclopica differenza nel possesso di mezzi di comunicazione tra Nord e Sud del mondo.

Non solo internet, ma anche cellulari, ricevitori satellitari e tutti gli altri strumenti che ci fanno entrare nell’infosfera sono infinitamente meno accessibili nei Paesi poveri rispetto a quelli ricchi. È una differenza che ha effetti negativi proprio sullo sviluppo, mentre le aree ricche del pianeta si avvicinano all’estensione totale dell’uso della rete e aumenta la diffusione di tutti quei ‘giocattoli’ che ci garantiscono l’accesso alle informazioni e alla conoscenza. UnGaid sarà un forum di discussione aperto a tutti gli interessati, un network di esperienze decentrate che non si sostituirà alle istituzioni e alle reti sociali che combattono il digital divide, ma ne coordinerà il lavoro stimolando il dialogo sul ruolo delle Ict nello sviluppo economico e nella lotta alla povertà.

I settecento partecipanti al convegno hanno sottoscritto una dichiarazione, la Kuala Lumpur Vision, che delinea i principi dell’Alleanza: «Dobbiamo pensare in grande rimanendo solidamente ancorati ai bisogni reali della gente, delle comunità e dei Paesi, e mettendo i problemi e i bisogni della maggioranza dell’umanità negli ‘schermi radar’ dei pensatori, dei business executive e dei decision-makers governativi». Allora non ci si deve stupire di trovare Craig Barrett della Intel a capo del comitato direttivo di UnGaid, insieme a politici, esperti di media ed esponenti della società civile. Il più grande produttore al mondo di processori per computer ha le sue idee per incrementare le opportunità per le nazioni e i loro cittadini, «accesso e proprietà privata, connettività e abilità tecniche», naturalmente tramite un fecondo rapporto tra pubblico e privato .

Un computer e una connessione internet in ogni classe anche nelle scuole delle più sperdute aree rurali, è una delle strategie adottate dal meeting di Kuala Lumpur, come del resto prescrivono i Millennium Development Goals, la lista di obiettivi Onu per ridurre la povertà entro il 2015. Magari con il computer a manovella da cento dollari pensato per l’alfabetizzazione informatica dei bambini del Sud del mondo, la proposta fatta nel luglio scorso al Summit sulla società dell’informazione di Tunisi da Nicholas Negroponte, il guru del Medialab del Mit di Boston. Allora, a provare il prototipo del piccolo computer portatile fu proprio Kofi Annan. Ma è davvero internet il modo migliore per garantire alle comunità l’accesso all’informazione e la possibilità di esprimersi? Naturalmente dipende dalla comunità alla quale ci si riferisce, dalla sua posizione geografica, dalle sue caratteristiche culturali ed economiche, senza dimenticare che nella sigla Ict la C sta per Comunicazione e non per Computer.

 

SciDev – Science and Development, l’organizzazione non governativa che si occupa proprio del rapporto tra scienza, tecnologia e sviluppo – propone un metodo tanto semplice quanto disarmante per valutare l’utilità pubblica di uno strumento di Ict: «Dobbiamo cominciare con un paio di domande di base, come: porta più cibo sulle nostre tavole? Porta più soldi nelle nostre tasche? Ci aiuta a interagire con il governo? Fa risparmiare tempo che altrimenti spenderemmo viaggiando per andare a lavorare? Sostiene i bisogni culturali e personali degli individui e dei gruppi? Infine, è economico, facile da usare e utilizzabile da tutti?». Ecco perché uno dei migliori media rimane la vecchia radio a transistor, poco costosa, semplice e con possibilità di diffondere contenuti su scala locale. In molte zone dei paesi in via di sviluppo sono proprio le radio locali a fare da ponte tra le comunità più isolate e il resto del mondo. Così come il telefono cellulare, che in alcune aree si è diffuso rapidamente scavalcando le divisioni sociali e di classe, senza bisogno di nessuna agenzia Onu.

In un editoriale sul sito di SciDev, Nalaka Gunawardene, esperto di media nel sudest asiatico, si mostra scettico su UnGaid e punta il dito contro l’idea che «un’altra tecnocrazia Onu» possa essere una soluzione valida per le carenze nelle tecnologie dell’informazione del Sud del mondo. Anche perché «Unesco, Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo, Fao, Oms e altre organizzazioni hanno tutte i loro programmi per le Ict», e soprattutto «la società civile aveva capito il potenziale delle Ict anni prima di queste grandi agenzie». Dunque nonostante l’attenzione per la partecipazione allargata ai diversi soggetti sociali l’iniziativa Onu non convince del tutto, e la risposta di SciDev non è un tappeto rosso srotolato. In definitiva Gunawardene concede a UnGaid sei mesi per provare di non essere solo una nuova burocrazia e per dimostrare l’utilità degli strumenti di comunicazione per risolvere i problemi reali. Certo, sei mesi «non sono molti per una nuova agenzia Onu, ma rappresentano un lungo tempo nel mondo in rapido cambiamento delle tecnologie dell’informazione».

di Alessandro Delfanti

Il Manifesto, 13 luglio 2006