Secondo Jon Turney, science writer e ricercatore britannico che si occupa degli immaginari legati alla scienza, “tutti gli esseri umani sono futurologi”. Turney ama la scienza narrata, raccontata e i suoi legami con la cultura, e sostiene che “chi perde la capacità di immaginare il futuro non è un essere umano a tutti gli effetti”.
Messi insieme questi due ingredienti, è ovvio che la Rough Guide to the Future che sta scrivendo non sarà una semplice rassegna di previsioni ma una vera e propria guida per orientarsi nel futuro, anzi nei futuri possibili e nei modi in cui le persone li immaginano e li raccontano. In attesa del libro, che uscirà nel 2009 nella collana delle celebri Rough Guide turistiche, Jon sta mettendo le sue riflessioni sul suo blog. Gli ho chiesto di spiegarmi cosa sta cercando.
Perché una guida del futuro?
Ho sempre pensato che il formato guida turistica sia abbastanza flessibile da poter affrontare il futuro – un luogo che non conosciamo ma che tutti speriamo di visitare. E poi i lettori potranno usarla come vorranno. Come tutte le guide, avrà aiuti per navigare nelle pagine e trovare le cose facilmente. Ma (a differenza di altre guide) varrà la pena di leggerla da cima a fondo.
Le guide danno informazioni su monumenti e ristoranti. E la sua?
No, non ci saranno monumenti. E dato che non ci sono fatti riguardo al futuro, tutto quello che si può offrire è una guida alle visioni del futuro e a come pensarle. È questo ciò che spero di fare. Il libro avrà tre parti: una storia delle idee sul tempo e sul futuro; una vasta sezione dedicata ai problemi e alle promesse dei prossimi cinquant’anni o giù di lì, o forse fino alla fine del secolo; e una sezione finale sul “big”, cioè sui futuri cosmici.
Cominciamo con la prima parte.
Una delle cose che caratterizzano la nostra era è la grande produzione di speculazioni sul futuro, nella fiction ma non solo. Alcune sono legate alle scelte politiche, altre sono più libere e fluttuanti. A partire dalla metà del ventesimo secolo è stato fatto un grosso sforzo per raccogliere e analizzare dati sullo stato del presente, un punto di partenza essenziale per pensare il futuro. Includerò anche cose come i rapporti sul clima dell’IPCC o il Rapporto del millennio sugli ecosistemi dell’Onu. Il mio compito è cercare di sintetizzare la maggior quantità possibile di questo materiale nello spazio di un libro. Se ci riuscirò lo sapremo, be’, nel futuro…
A cosa servirà?
Il mio obiettivo è aiutare la gente a capire meglio le probabilità che circondano questi futuri e, forse, il modo in cui se ne può influenzare lo sviluppo. Per cominciare, ho dovuto farmi io stesso un’idea migliore. E spero che il mio lavoro sarà utile per le chi si sente allarmato, perplesso e scoraggiato da ciò che il futuro potrebbe portare con sé.
Siamo già alla seconda parte della guida.
Be’, il cuore del libro sarà costituito dalle previsioni sul resto di questo secolo. In molti casi si tratta di lamenti di dolore che sostengono che la nostra forma di vita nei paesi sviluppati è destinata a scomparire, e anche molto presto! Altri dicono che raggiungeremo un nuovo livello di evoluzione ed entreremo in un mondo che va al di là dei nostri sogni più sfrenati. Questi due insiemi di idee non vanno molto d’accordo, ma la tensione che c’è tra di loro mi affascina. Per esempio, se tutti vivremo per sempre scaricando i nostri cervelli su dei supercomputer, i server necessari non riscalderanno il pianeta?
Non stiamo parlando anche del presente?
Sì, ma la futurologia è il modo tipico del nostro tempo per affrontare le incertezze di quello che verrà. Il fatto è che non esistono possibilità presenti e fatti futuri: chiunque voglia offrire una visione del futuro sta raccontando una storia. Molti infatti finiscono per produrre una narrazione, che è il modo più convincente di comunicare un’opinione sul futuro, che si tratti di un’ispirazione o di un avvertimento. Ed è difficile tracciare un confine con la scienza! La fiction riguardo al futuro è “un saggio sul mito della creazione”.
La fantascienza non è un modo per inventare il futuro?
Meno che in passato. C’è chi sostiene che la fantascienza di oggi dimostra che la nostra società ha perso la capacità di creare visioni utopiche, alternative e che il capitalismo ha spazzato via la nostra capacità di immaginare forme alternative di organizzare il mondo.
Uno dei futuri di oggi è il il ritorno a una vita ecologica. Nulla di nuovo…
Il mito di Arcadia rimane solo quello: un mito. E non riesco a immaginare 8, 10 o 12 miliardi di persone che vivono in modo bucolico ed ecologico! Dobbiamo sapere quello che perdiamo vivendo nel nostro ambiente urbano e tecnologico, ma abbandonarlo del tutto è una fantasia. Se il nostro mondo collasserà le cose cambieranno, ma a quel punto non ci troverei nulla di particolarmente bucolico.
Lei ha scritto che la scienza ha una componente mitica.
Certo. La scienza è una delle maggiori forze culturali della nostra epoca. Il big bang, per esempio, è il nostro mito secolare della creazione, e l’evoluzione la nostra epica. Ma entrambi sono diversi dai miti che li hanno preceduti, dato che sono basati sull’evidenza empirica. La risposta più generale è che la scienza plasma la cultura e al contempo ne viene plasmata. Ma questo ci allontana dal tema del futuro.
Torniamoci: quali sono le novità che la gente aspetta con più impazienza?
Credo siano due. La prima è il sostegno ai poveri. Naturalmente potremmo già aiutarli se lo volessimo veramente, e probabilmente costerebbe assai meno della guerra in Iraq. Ma la scienza e la tecnologia avranno un ruolo da giocare nel rendere le cose più semplici. Infrastrutture di nuova generazione potrebbero permettere un balzo in avanti – internet senza fili; fornitura di energia a livello locale e su bassa scala grazie al fotovoltaico. Poi c’è il desiderio di migliorare la salute e allungare la vita, ma le nuove tecnologie mediche saranno sempre più pensate per combattere il cancro e le malattie dei ricchi e degli anziani.
Le biotecnologie ci cambieranno davvero?
Certo, modificheremo cellule e tessuti e facendolo modificheremo “noi stessi”. Supponiamo che il tuo fegato sia distrutto dall’epatite. Puoi trapiantarti un nuovo organo cresciuto da cellule staminali somatiche, non embrionali. A quel punto perché non usare un fegato potenziato, per esempio resistente all’epatite e in grado di metabolizzare l’alcol meglio di uno normale? E forse la conseguenza ultima non sarà la divisione tra persone “potenziate” e “non potenziate”, ma una maggiore diversità. Oggi ci sono persone intonate o no, maghi della matematica o incapaci di far di conto, e tutti tirano avanti alla grande lo stesso.
In Italia molti non saranno d’accordo. La chiesa, sa.
Non mi interessa molto ciò che pensano le persone religiose, e mi irrita che si dia un peso in qualche modo speciale al loro punto di vista. Ma se le tecnologie genetiche funzioneranno davvero, ci saranno forti motivazioni mediche per usarle, e allora forse le altre motivazioni saranno meno ascoltate. Se qualcuno vorrà astenersi dall’uso di queste tecnologie per motivi religiosi, benissimo. Ma i fedeli di oggi potrebbero diventare gli umani non potenziati di domani.
Ma lei cosa cerca?
Nella visione del futuro che sto cercando tutti lavoriamo per trovare modi per attraversare il resto del secolo e permettere a tutte le persone che vivono sul pianeta di condurre una vita dignitosa – e potrebbero essere molti miliardi.
Intervista pubblicata su D – la Repubblica delle donne. Un’altra intervista la potete trovare qui.