Il dilemma del pirata è quello che dovremmo vivere ogni volta che scarichiamo una canzone o un film piratato da Internet. Stiamo rubando il lavoro di altre persone , stiamo danneggiando l’economia e soprattutto stiamo mettendo in pericolo la cultura, condannandola a morte lenta? Che facciamo, smettiamo di scaricare? Chiedetelo a Matt Mason, un giornalista musicale ed ex dj di radio pirata di Londra. Matt ha scritto The Pirate’s Dilemma. How Youth Culture Is Reinventing Capitalism.
Secondo Matt, la pirateria non è soltanto divertente, economica e comoda. Altro che fare danni: la pirateria sarebbe un motore della circolazione di cultura, dell’innovazione e niente meno che del capitalismo. Insomma, la proprietà è un furto oppure il furto aumenta la proprietà? Non è una domanda stupida, se pensate che Matt propone il “capitalismo punk” (molti punk si rivolteranno davanti a questo ossimoro): una volta tre ragazzini che si annoiavano potevano mettere su un gruppo punk e autogestire la propria musica. Oggi gli stessi tre amici, grazie alla rete e ai computer potrebbero dare vita a un’impresa del web e fare i soldi partendo da zero e attingendo a piene mani alla ricchezza di informazione che si trova su internet, alla faccia di brevetti e copyright.
Il libro è pieno di esempi in cui la cultura giovanile ha reinventato il capitalismo, costringendolo ad adattarsi a nuove condizioni di produzione. Del resto non c’era bisogno di arrivare alla nascita dell’hip hop o alle gesta di visionari come Andy Warhol o dei graffitari, eroi dello spazio urbano, per sapere che piratare e reinventare le opere degli altri è una prassi consolidata della cultura umana.
The Pirate’s Dilemma, ben scritto e molto ricco di idee e storie, è come minimo una buona risposta ai pasdaran nostrani del copyright, che si battono contro la libertà della rete. In fondo a ben vedere le idee di Matt non sono che una riedizione delle ormai classiche idee liberali sulla rete. Infatti, molti autori vedono la gratuità di internet come uno stimolo cruciale per l’innovazione. Tuttavia, nella sua visione ottimistica Matt si scorda di spiegare a chi vanno i benefici della pirateria: a tutti i pirati, certo, se allarga il numero di persone che hanno accesso a informazione e conoscenza. Eppure oggi molte imprese del web hanno reinventato il loro modello di business adattandolo alla gratuità della rete: merito dei pirati, ma intanto c’è chi con la gratuità ci fa i miliardi, lasciando le briciole gli altri. Insomma la domanda resta quella che ha sempre serpeggiato nelle ciurmaglie dei vascelli pirata: chi spartisce il bottino?
Il Manifesto, 5 luglio 2008
si, appunto, anche secondo me la pirateria e’ tollerata, non solo dalle corporations ma da tutto il sistema, ma proprio per il discorso dell’impossibilita’ di monetizzare tutti i consumi nella sfera dell'”economia bianca”.
credo che questo dovrebbe essere uno dei punti principali per fare comunicazione nelle campagne no-copy…
cc
ragazzi l’argomento prende… mi piacerebbe evidenziare alcuni punti comuni:
Bertram, quello che dice Alessandro sulla redistribuzione ha senso.. secondo me la pirateria è “tollerata” dalle corp perchè funziona da ammortizzatore del conflitto…
speriamo solo che non la inglobi nelle funzioni di regolamentazione della concorrenza 🙂
Espanz, l’idea della comunità indefinità è la strada… concordo.. l’idea di pirateria va al di là dell’ ICT, la pirateria marittima, ad esempio, o quella molecolare, appartengono alla stesso immaginario.. il problema è come mantenere l’autonomia (o autosostenibilità) dalla sfera del mercenariato o della guerra corsa…
:))
esatto, sulla lunga distanza il gioco lo fanno loro.quindi il problema è un altro.
ciao.
fondamentalmente gli interessi di chi vende accessori, computer, connessioni di rete, ecc ecc sono mooooolto maggiori di quelli delle major del disco e del cinema. sto parlando di soldoni: chi fattura di piu conta di piu. hollywood continua a contare per il suo surplus di valore simbolico e di ricadute politiche. ma fino a quando?
A volte mi chiedo:
1)cosa può significare il fatto che tutti i lettori dvd attualmente in vendita leggano anche i divx?
2)quando sono stati posti in commercio i masterizzatori, si immaginava che una delle loro principali funzioni sarebbe stata la violazione di massa del diritto d’autore?
Quindi lo chiedo a voi.
ciao, e scusa Alessandro se ti leggo di rado.
ciao a tutte, grazie per i complimenti e per gli spunti. Come ho scritto nella recensione credo che la pirateria sia una forma importante di redistribuzione (o sostegno al reddito cognitario, ok:) e quindi la ritengo sacrosanta. E poi chi è che non la pratica?
Solo, le aziende hanno imparato a lucrare anche sull’economia del free. Chiedetelo a Chris Anderson di Wired, che ci ha scritto un libro…
Pirati sì ma con le idee chiare, o il bottino sarà sempre troppo magro. Vabe’ appena posso ci scrivo qualcos altro.
Uno spunto analogo e’ quello fatto da Angela Mc Robbie nell’analizzare come una sottocultura come quella dei ravers abbia prodotto poi, rientrando nella produzione mainstream, una figura di lavoratore perfettamente flessibile e ‘multitask’ assolutamente competitivo e concorrenziale sul mercato del lavoro pre-cog (oddio che parole!).
Non mi scandalizzerei piu’ di tanto, anche se io a differenza di quel nichilista di bertram non ho ancora smesso di pensare che la pirateria ci salvera’. I pirati non sono ancora del tutto rientrati (almeno non tutti) in questa produzione tout court ed anzi trovo che stiano ancora producendo proposte e soggettivita’ dirompenti come nel caso del progetto footage, di cui ho parlato in questo post:
http://espanz.noblogs.org/…otage_steal_this_film
Forse mi immagino il pirata non tanto come quello che cracka il programma per poter eseguire delle operazioni con il proprio pc, come peraltro la maggioranza delle persone dotate di computer ormai (se non addirittra la totalita’), ma come una comunita’ indefinita che grazie alla produzione materiale di una mole spropositata di flussi informativi (files spostati a destra e a manca su scala globale) ha in mano la possibilita’ di veicolare fortemente dei contenuti, passando agilmente dalla quantita’ al senso.
be’, se la pirateria aiutasse a superare la dimensione capitalistica sarebbe bello, e forse per qualche momento ci abbiamo sperato un po’ tutti. pero’ direi che non ci sono molte speranze… se sono abbastanza d’accordo con quello che viene riportato sopra (anche se la domanda cruciale rimane sempre “innovare cosa, e a favore di chi?, quindi appunto “chi spartisce il bottino?”), l’altro punto fondamentale mi pare il fatto che nelle economie a capitalismo avanzato la pirateria sta diventando un integrazione al reddito. mi spiego: una parte sempre crescente dei lavoratori immateriali necessita un sempre crescente numero di prodotti (immateriali) per riuscire a gestire le mutazioni continue richieste dal mercato flessibile (chiamala, se vuoi, innovazione… forse). se tutti questi consumi dovessero essere monetizzati all’interno di un’economia “bianca” e “formale”, liberata dalla pirateria, semplicemente tutto il sistema non starebbe in piedi, perche’ le orde di lavoratori (oddio, prima si diceva cognitari… mi fa un po’ senso, ma famo a capisse) avrebbero bisogno di redditi sensibilmente piu’ alti. provate a fare l’esperimento di trasformare i vostri consumi immateriali piratati in consumi “regolari”, e fate un calcolo di quanto in piu’ dovreste guadagnare ogni mese. per la maggior parte delle persone che conosco si tratta di centinaia di euri. e non sono consumi secondari, ma appunto carburante per un innovazione di cui beneficiano, alla fin fine, molto piu’ i grandi attori monopolisti che non i singoli individui. con la differenza che le megamarche si lamentano perche’ vengono rubati (?) loro dei soldi, e non rischiamo niente, mentre dall’altra parte si rischia megamultoni.
ecco. almeno secondo me, i rapporti di potere in questa situazione sono abbastanza chiari.
se non altro (e non e’ magrissima consolazione) tutto questo meccanismo da un po’ la zappa sui piedi alle corporation, perche sembrerebbe proprio che nonostante tutto il can can che fanno non facciano veramente pena a nessuno, e qualsiasi ragazzino preferisce scaricarsi un po’ di file e sfanculare la warner bros. il che, credo, sta consolidando un atteggiamento antilegalitario proprio come conseguenza di determinate scelte legislative. fico, no?
p.s.
alessandro, fighissimo il blog. ci venivo gia’ da un po’ ma non avevo guardato “chi sono”. mi consola dal fatto di non riuscire a trovare piu’ tempo per gli incontri di epistemologia che organizzavo. un abbraccio (dalla germania) a te e a i vari amici comuni.
ciao Alessandro.
Vorrei premiarti con un altro Oscar bloggoso. Spero ti farà piacere andarlo a ritirare nel mio sito, anche se è una sciocchezza.
ciao
Ciao,
molto interessante.. il dibattito è aperto mi pare.
Concordo con l’idea che la pirateria possa in qualche modo favorire la distribuzione della conoscenza, tuttavia, spero vivamente che, pur restando nel mercato, essa possa contribuire soprattutto a superare la dimensione capitalistica e non a diventarne un semplice corollario.
a presto
Ciao
Ti faccio prima di tutto i complimenti per il blog che ho trovato per caso, cercando su google, guarda un pò, la storia della tastiera qwerty. Avevo sentito dire che era nata per un motivo puramente tecnico quando ancora c’erano le macchine da scrivere e che era rimasta ancora in uso per abitudine, senza avere in effetti più nessun motivo concreto per esistere ora che ci sono i computer. E così eccomi qui, spinto dalla curiosità, catapultato in un blog, a prima vista molto curioso e interessante. Sicuramente ben fatto per gli argomenti che tratti, anche la grafica è molto buona, seppur nella sua semplicità. Ad ogni modo ho letto anche l’articolo che sto commentando e lo trovo molto interessante. Oltre che curiosa la ricerca di questo ragazzo non l’avevo mai sentita prima; considerando che anche io spesso mi preoccupo della questione, mi si apre davanti un possibile dibattito. Molto probabilmente ne vorrò discutere nel mio blog oggi (questo pomeriggio, fra poco vado a dormire) o domani. Dunque grazie, perchè amo i blog come il tuo, che si pongono continuamente interrogativi, su qualunque cosa, sulla scienza, sulla filosofia, sulla politica, e che ogni volta sono in grado di far riflettere e di far discutere.
Bravo
Ti linko subito nel mio blog
A presto.
boh! in effetti hai ragione. sarà che non mi piace Perry…
ma perché lo chiami “Matt”? E’ un tuo amico? E non è forse meglio “Mason”, che ricoda tanto la conciliante barba bianca del Perry.
Fa caldo.