Per qualcuno è il segnale della fine della genomica "pura", quella che affastella dati su dati senza sapere bene cosa farci. La deCODE Genetics di Kari Stefansson, una delle imprese capofila di questo approccio, ha aperto una procudera di fallimento: ha accumulato un debito di 314 milioni di dollari a fronte di un capitale di soli 70 milioni.
Per chi non la conoscesse, la deCODE è l’azienda islandese che è diventata famosa per il suo progetto Health Sector Database (HSD), di raccolta dei dati medici e genetici dell’intera popolazione dell’Islanda: nei suoi database ci sono i dati di 140.000 islandesi (ora in vendita). Negli ultimi anni si era invece lanciata nel settore della genomica personalizzata con il progetto deCODEme: test e screening genomici più o meno low cost per scoprire supposte predisposizioni alle malattie.
"Non abbiamo mai generato profitti", annuncia sconsolato il documento pubblicato da deCODE, che rivela come le sue uniche entrate siano sempre e soltanto state legate a contratti con case farmaceutiche e sovvenzioni. Sulle vicende di deCODE c’è un libro molto bello di Mike Fortun, un antropologo americano che ha studiato gli scontri politici avvenuti in Islanda ai tempi del progetto HSD. "Promising genomics, Iceland and deCODE Genetics in a World of Speculation", parla di come una piccola impresa biotecnologica ha fondato le sue fortune, ed è diventata una delle più ricche della storia, basando tutta la sua attività su un’insistente, continua e inarrestabile narrazione sul futuro.
Crackare i propri geni per conoscere il proprio futuro, per esplorare possibilità inimmaginabili, per curare malattie che ancora non abbiamo. Nel racconto di Furtun la speculazione avveniva di pari passo in due campi: nelle narrazioni sui risultati possibili della genomica e sui listini del Nasdaq, la borsa dei titoli tecnologici. Uno di quei due tipi di speculazione è arrivato al peggior no future possibile, la bancarotta.