Chip & Nasdaq

Pochi giorni fa VeriChip, un’azienda statunitense produttrice di chip Rfid impiantabili, si è quotata in borsa, rilasciando 3,1 milioni di azioni a 6,50 dollari l’una nel mercato del Nasdaq. Il problema è che in tutto il 2006 solo 222 pazienti hanno scelto di farsi installare i suoi microchip sottocutanei.

Con questi soldi VeriChip spera di coprire almeno parte dei debiti contratti negli ultimi anni, ma le sue azioni stanno già perdendo quota. Nonostante il roboante annuncio secondo il quale soltanto negli Stati Uniti ci sono 45 milioni di pazienti che potrebbe aver bisogno dei loro microchip.

Impiantati nel braccio (nella regione del tricipide) o nella mano, questi chip trasmettono agli appositi scanner un codice a sedici cifre che può essere inserito in un database contenente i dati della persona che lo porta.

Continue reading “Chip & Nasdaq”

Spionaggio popolare

Il Ministero della Pubblica sicurezza cinese ha annunciato che aprirà al pubblico l'accesso al suo mega database, il più grande del mondo, completato nel dicembre scorso e contenente i dati personali di 1,3 miliardi di cittadini.

Chiunque potrà scrivere una mail al ministero oppure entrare nel suo sito web, inserire il codice di una carta di identità e verificare che non sia falsa. Inoltre potrà controllare la foto del titolare del documento. Il database non fornirà altri dati «sensibili», per «tutelare la privacy dei cittadini», come afferma lo stesso ministero.

La Cina afferma che il 90 per cento dei crimini viene commesso da persone in possesso di un documento falso. Ma oltre alla prevenzione di frodi e truffe l'apertura del database servirà anche a permettere ai cinesi di controllare che nome, foto e numero di codice della loro carta di identità siano esatti.

Continue reading “Spionaggio popolare”

Staminali di marca

L’impero Virgin si allarga anche alle cellule staminali. Pochi giorni fa il suo ricchissimo patron Richard Branson ha annunciato la creazione della Virgin Health Bank, una banca di staminali prelevate da cordone ombelicale.

Per conservare le prezione cellule Virgin chiederà ai genitori del neonato la modica cifra di 1.500 sterline.

Ma le staminali saranno messe a disposizione anche del servizio sanitario britannico, dividendole salomonicamente: 50 per cento nelle cassette di sicurezza criogeniche delle Virgin, 50 per cento al sistema pubblico.

Nel mondo esistono molti esempi di banche di staminali private, ma nessuna con la potenza economica di Virgin: la userà per aumentare il mercato, per esempio con campagne marketing? Comunque Branson ha dichiarato che i proventi della nuova attività verranno devoluti proprio alla ricerca sulle staminali.

Continue reading “Staminali di marca”

L’ultima copia del New York Times

Si torna sul tema «morte dei giornali» con un libretto davvero ben scritto e documentato di Vittorio Sabadin, L'ultima copia del New York Times (Donzelli, 168 pagine, 15 euro).

Si legge tutta d'un fiato questa storia del declino dei giornali di carta e delle previsioni per il loro futuro, assediato dall'invasione di campo di internet e da quella del citizen journalism: cittadini che si fanno le notizie da sé.

Negli ultimi quindici anni i giornali hanno seguito strade piuttosto simili in tutto il mondo: riduzione del formato (e degli organici) per risparmiare carta e diventare più leggibili, esplosione di gadget e allegati per portare a casa qualche soldo extra, tentativi più o meno timidi di ampliare le forze dei propri siti internet.

Certo che in alcuni casi, come il Guardian inglese o alcuni quotidiani locali della Gannett statunitense, c'è stato più coraggio: articoli pubblicati in rete prima che sulla carta, raccolta di notizie dai lettori, uso degli strumenti collaborativi del web.

Probabile che molti li seguiranno, dato che secondo molti analisti nell'ora del giudizio universale (cioè quando tra pochi anni i quotidiani cominceranno a chiudere) si salverà solo chi già oggi ha sviluppato un rapporto virtuoso con internet, considerandolo uno strumento informativo da sfuttare e non un nemico da cui difendersi. Inutile dire che i piccoli-medi quotidiani italiani non nemmeno cominciato a pensare come reagire.

L'altro fortino per resistere all'assedio è quello scelto dai giornali iperlocali o da quelli fortemente radicati in una nicchia politica o culturale. I loro lettori potrebbero essere felici di pagarli di più pur di tenerli in vita. Per tutti gli altri il futuro sarà fatto di web, pubblicità e free press. Per quelli che avranno un futuro.

Continue reading “L’ultima copia del New York Times”

Il pitbull delle public relations

Gli editori delle riviste scientifiche hanno paura dell’open access. Non sarebbe una gran notizia se non fosse che sembra che abbiano incaricato Eric Dezenhall, il cosiddetto Pitbull dei PR, di aiutarli a opporre resistenza alla marea del movimento open.

La notizia l’ha data Nature qualche giorno fa, affrettatevi a leggerla finchè è gratis.

Si dà il caso che Eric e la sua Dezenhall Resources siano specializzati in operazioni di public relation, diciamo, per risollevare le sorti mediatiche di personaggi famosi o corporation in difficoltà. C’era lui dietro ai soldi che la ExxonMobil spendeva per screditare Greenpeace, almeno così sostiene Business Week. Il nostro ha lavorato anche per Enron, per le multinazionali del farmaco eccetera. La sua missione è «disseminare ‘buone notizie’ per proteggere la reputazione e le attività di chi deve fronteggiare accuse gratuite o pericoli».

Ecco perchè Elsevier e la Association of American Publishers, insomma i più grandi editori di riviste scientifiche, si affidano a lui per rispondere alla minaccia dell’open access. La strategia di Dezenhall è semplice: sostenere che «open access è uguale a censura governativa» e «dipingere un mondo senza articoli sottoposti a peer review».

Purtroppo le persone intervistate da Nature non hanno rivelato la quantità di denaro che sarà impiegata nelle future operazioni di public relations anti open access.

Continue reading “Il pitbull delle public relations”

Cinque minuti per noi…

Sono le 23.55. Il Doomsday Clock, lo spaventoso "Orologio del Giorno del Giudizio" che segna il conto alla rovescia verso la guerra nucleare, si è mosso in avanti di due minuti. Da oggi mancano cinque minuti a mezzanotte.

Il Bulletin of Atomic Scientists, la rivista fondata da alcuni dei fisici del Progetto Manhattan che dal 1947 registra il pericolo di conflitti atomici muovendo avanti e indietro le lancette del grande orologio situato nell'Università di Chicago, ha fornito tre motivazioni per lo spostamento verso l'apocalisse:

Anzitutto le 27,000 testate nucleari sparse per il mondo, 2000 delle quali pronte al lancio nel giro di pochi minuti. Magari il pericolo non verrà da Stati uniti e Russia, che comunque ne hanno in rampa di lancio un migliaio a testa. Ma le nuove potenze nucleari come Corea del Nord, Pakistan e India, e probabilmente tra qualche anno Iran sono una minaccia crescente.

Poi i cambiamenti climatici, che minacciano di distruggere molti degli habitat della specie umana. Per esempio quello degli Inuit, che tra pochi anni potrebbero trovarsi sciolto il loro bel pack (senza aver mai bruciato un litro di benzina).

Continue reading “Cinque minuti per noi…”

L’invasione molecolare

Cosa ci fanno strane colture batteriche e apparecchiature biotecnologiche sospette nelle mani di un professore di arte della New York University e di un genetista di Pittsburgh, entrambi di note simpatie libertarie? È quello che si sono chiesti gli agenti dell’Fbi quando, il 30 maggio 2004, hanno perquisito le case di Steve Kurtz e di Robert Ferrell del Critical Art Ensemble.

Negli Usa della Guerra al terrore, del Patriot Act e delle buste all’antrace, l’arresto e l’accusa di bioterrorismo erano scontati. Anche se i due hanno dimostrato che l’innocuo Bacillus atrophaeus e gli altri microorganismi trovati dall’Fbi erano solo gli ingredienti delle loro performance artistiche, la loro odissea giudiziaria non è ancora finita.

Il Critical Art Ensemble infatti è un collettivo di artisti e scienziati che dal 1987 è «dedito all’esplorazione delle intersezioni tra arte, tecnologia, politica radicale e teoria critica». Il Critical Art Ensemble con le sue performance cerca di mostrare a tutti le intersezioni tra scienza, società, immaginari collettivi. Per esempio, permettendo al pubblico di produrre un batterio transgenico e deciderne il rilascio nell’ambiente. Oppure testando in un piccolo laboratorio portatile la presenza di organismi geneticamente modificati nel cibo portato da chiunque.

Il loro libro L’invasione molecolare (Eleuthera, 120 pagine, 10 euro), scritto collettivamente e liberamente scaricabile, fa parte del tentativo di aprire la «scatola nera» della scienza per mostrarne il funzionamento. Perché «il processo scientifico non appare mai pubblicamente, appaiono solo i suoi miracolosi prodotti. Vogliamo portare i routinari processi della scienza al pubblico. Farglieli vedere e toccare».

Continue reading “L’invasione molecolare”

La vita segreta del McLavoratore

Stavolta l’infiltrato è un professore di management statunitense, Jerry Newman, che per qualche mese ha provato i peggiori McJob d’America, praticamente un guastatore in incognito in missione nei fast food, e poi ha scritto un libro: My secret life on the McJob. Lezioni da dietro la cassa, garantiti effetti supersize su qualunque tipo di management, appena pubblicato negli Stati Uniti.

D’accordo, niente di nuovo se non fosse che stavolta l’infiltrato era dall’altra parte del bancone, a friggere patatine e hamburger con un occhio particolare per le condizioni dei lavoratori e il loro rapporto con gli amati/odiati manager: secondo Newman, che ha lavorato in sette ristoranti, da McDonalds a Burger King, il clima e le condizioni di lavoro dipendono radicalmente dal capo di turno.

Incredibile, ma i manager possono arrivare a premiare i dipendenti assegnando loro PIÙ ORE di lavoro invece che un aumento. Il morale dei dipendenti? Direttamente determinato da quello che succede nell’ufficio del boss.

Proprio in questi giorni è uscito anche uno studio dell’Università della Florida sui motivi per cui la gente si licenzia e cambia lavoro, naturalmente negli States: spesso e volentieri la colpa è dei capi e dei capetti, che non si fanno scrupoli nel ricorrere a mezzi sporchi, incentivi illegali, mobbing, richieste di lavoro extra. Il 39 per cento dei settecento lavoratori intervistati afferma che il loro capo ha mentito e non ha mantenuto la sua parola. Il 37 per cento non è stato pagato regolarmente. Il 24 per cento accusa il capo di aver invaso la sua privacy.

Wayne Hochwarter, l’altro professore di management che ha condotto lo studio, sottolinea insomma che «i lavoratori non lasciano il loro lavoro o la loro azienda, ma lasciano il loro capo». I suoi consigli sono fondamentali: lavoratori, fate finta di niente. Minimizzate i danni che vi causa il vostro superiore e datevi da fare. «La cosa più importante è essere visibili sul lavoro. Nascondersi può essere negativo per la vostra carriera, specialmente quando impedisce ai vostri colleghi di riferire il vostro talento e il vostro contributo» alla causa. Il vostro capo non sarebbe per niente soddisfatto.

Continue reading “La vita segreta del McLavoratore”

Il brevetto di natale

paperone2.jpgLa favola di natale della medicina, con protagonisti le multinazionali farmaceutiche, i malati del Sud del mondo e i brevetti, è un editoriale scritto da un premio Nobel per l'economia.

Stiamo parlando di una delle più importanti riviste di medicina del mondo, il British Medical Journal, e di Joseph E. Stiglitz, critico del Fondo monetario internazionale e delle altre istituzioni finanziarie della globalizzazione, che ha scritto una favola intitolata «Scrooge e i diritti di proprietà intellettuale».

Chi è l'insensibile Ebenezer Scrooge che potrebbe curare i malati di tutto il mondo e invece pensa solo ad accumulare profitti? Ovviamente le multinazionali farmaceutiche, che utilizzando l'arma della proprietà intellettuale rallentano o impediscono la ricerca su molte malattie dimenticate, cioè quelle, come la malaria, che affliggono i paesi in via di sviluppo.

Continue reading “Il brevetto di natale”

PLoS vs Nature, la guerra delle review

PLoS One, la nuova rivista on line di casa Public Library of Science, è on line da pochi giorni con la sua Beta version e contiene già decine di articoli, raccolti tra la presentazione pubblica di giugno e oggi.

PLoS One sarà una rivista scientifica di tipo nuovo, nella quale la classica peer review, il controllo fatto da esperti nominati dalla rivista, sarà sostituito con la open peer review: i lettori della rivista, cioè tutti i ricercatori, potranno commentare gli articoli, votarli, trovare gli errori e aiutare gli autori a migliorare il loro lavoro.

Nel frattempo, con tempistica perfetta, Nature ha dichiarato in un editoriale sul numero di questa settimana che il suo esperimento di open peer review è naufragato. La più importante (con Science) rivista scientifica del mondo aveva dato la possibilità agli autori di pubblicare articoli on line commentabili liberamente da chiunque si fosse registrato e accreditato. Nei sei mesi di sperimentazione pochissimi autori hanno scelto l'opzione aperta, e ancora meno sono stati i feedback dalla comunità scientifica.

Un flop che però, come ricorda Free lance, potrebbe dipendere da diversi fattori legati alla forma della comunità on line, e PLoS su questo può giocare carte diverse da quelle di Nature.

Ma c'è dell'altro? PLoS One oltre a essere un interessante esperimento è anche un modo per rilanciare le fortune di Public Library of Science, che va forte nelle classifiche degli impact factor ma non naviga nell'oro. Sarà la prima rivista generalista, cioè aperta a tutte le discipline scientifiche, di PLoS: diretta concorrente di Nature e Science. Il fallimento dell'esperimento di Nature è un consiglio disinteressato a quelli di PLoS, una sfida o un colpo basso?

Continue reading “PLoS vs Nature, la guerra delle review”