Kurt Vonnegut – Ricordando l’apocalisse

Se Gesù oggi fosse vivo, lo uccideremmo con un’iniezione letale. Ecco quello che io chiamo progresso. Lo dovremmo uccidere per la stessa ragione per cui venne ucciso la prima volta. Le sue idee sono troppo avanzate, tutto qui.

Ecco una frase che riassume molte delle caratteristiche di Kurt Vonnegut, lo scrittore americano scomparso un anno e mezzo fa dopo averci lasciato una manciata di romanzi indimenticabili. Ironia, capacità di parlare dei mali e delle speranze del nostro tempo in modo semplice, che si tratti di alieni o di Gesù, di presidenti o di scrittori di fantascienza squattrinati.

È da poco in libreria, pubblicato da Feltrinelli, un libro postumo a firma Vonnegut, Ricordando l’apocalisse (e altri scritti inediti sulla guerra e sulla pace) (192 pagine, 16 euro). Si tratta di una raccolta di una dozzina di racconti e scritti incentrati sulla guerra, il tema che ha accompagnato gran parte della vita di Vonnegut, da quando si è ritrovato ad essere prigioniero di guerra americano di origini tedesche a Dresda.

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Battle in Seattle

La battaglia di Seattle, cioè le manifestazioni contro il vertice dell’Organizzazione mondiale del commercio che nel 1999 hanno dato il via al movimento contro la globalizzazione, diventa un film uscito da poco negli Usa. Il regista Stuart Townsend ha scelto di raccontare la storia da più punti di vista: un poliziotto, il sindaco e attivisti le cui vicende si intrecciano nel corso delle giornate di protesta.

E nonostante Battle in Seattle sia decisamente schierato dalla parte dei manifestanti, nel movimento americano c’è chi lo ha criticato parlando di blockbusterizzazione della realtà, perché enfatizza le violenze del black block rispetto alle pratiche pacifiche della maggioranza degli attivisti, anche di quelli più radicali. Guardatelo pensando a Genova.

 

Anpi vs. Miracolo a Sant’Anna

Stasera ore 21.30 multisala Iris Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee. Visione collettiva poi riunione Anpi per decidere il da farsi. Chi non viene è un Pansa.

Far parte del Comitato giovani Anpi "Comandante Muro" di Piacenza significa anche ricevere sms così, dato che la tensione sul revisionismo anche dalle nostre parti resta alta. Dunque ieri sera ho visto il film oggetto di mille polemiche. Mi sono annoiato, anzitutto. Mi sono stupito per quanto fossero banali alcune scelte del regista: per esempio, americani e italiani parlano tra di loro in italiano, senza problemi. I tedeschi no. Oppure, le coincidenze molto forzate come il giornale che cade da una finestra proprio sul tavolo del diretto interessato. E il bambino? Vogliamo parlare del bambino? Direte, è una favola. Si, ma che due balle. Per rendere onore alla divisione "Buffalo" sarebbe servito un vero film di guerra, e non tre ore di noia a volte anche un po’ mielosa.

Riguardo alle accuse di revisionismo, sappiamo che la strage non fu causata dal tradimento di un partigiano e non fu una rappresaglia ma un atto premeditato, come ormai stradimostrato dalla storia e dai tribunali. Su questo Spike Lee fa grossi errori. Direte: è un’opera di fantasia, e in effetti non incolpa i partigiani. Ma non c’è solo quello. La cosa più fastidiosa, perfettamente coerente con il clima di revisionismo che stiamo vivendo, è l’assenza dei fascisti. Ci sono solo un ragazzo morto (ucciso dai partigiani cattivi, ovviamente) e un vecchio inoffensivo che verrà ucciso dai nazisti. Fascisti bravi ragazzi, fascisti innocui e un po’ rinco, fascisti tutto sommato patriottici che hanno commesso l’unico errore di allearsi con Hitler. 
Infine, i partigiani: eroici, umani, votati al sacrificio, ok. Ma sono solo quattro sfigati, sbandati, montanari disperati del tutto ininfluenti dal punto di vista bellico e politico, e si prendono anche le sassate della popolazione. Anche qui, niente di nuovo, ma da Spike Lee mi aspettavo qualcosa di meglio. Voto: attacco a sorpresa della volante sulla via Emilia, minare il cinema.

Il dilemma del pirata

Il dilemma del pirata è quello che dovremmo vivere ogni volta che scarichiamo una canzone o un film piratato da Internet. Stiamo rubando il lavoro di altre persone , stiamo danneggiando l’economia e soprattutto stiamo mettendo in pericolo la cultura, condannandola a morte lenta? Che facciamo, smettiamo di scaricare? Chiedetelo a Matt Mason, un giornalista musicale ed ex dj di radio pirata di Londra. Matt ha scritto The Pirate’s Dilemma. How Youth Culture Is Reinventing Capitalism.

Secondo Matt, la pirateria non è soltanto divertente, economica e comoda. Altro che fare danni: la pirateria sarebbe un motore della circolazione di cultura, dell’innovazione e niente meno che del capitalismo. Insomma, la proprietà è un furto oppure il furto aumenta la proprietà? Non è una domanda stupida, se pensate che Matt propone il “capitalismo punk” (molti punk si rivolteranno davanti a questo ossimoro): una volta tre ragazzini che si annoiavano potevano mettere su un gruppo punk e autogestire la propria musica. Oggi gli stessi tre amici, grazie alla rete e ai computer potrebbero dare vita a un’impresa del web e fare i soldi partendo da zero e attingendo a piene mani alla ricchezza di informazione che si trova su internet, alla faccia di brevetti e copyright.

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Le due scienze. Il caso Lysenko in Italia

Le vicende dello “scienziato del popolo” Trofim Lysenko e della biologia ufficiale staliniana sono piuttosto conosciute. Ma le loro ripercussioni nel nostro paese sono invece ricostruite per la prima volta in modo puntiglioso da Francesco Cassata, uno storico che ha indagato a fondo nei rapporti tra Urss, Pci e mondo scientifico e culturale italiano degli anni Quaranta e Cinquanta, in Le due scienze. Il “caso Lysenko” in Italia (Bollati Boringhieri, 292 pagine, 28 euro).

Nel 1948, con il sostegno esplicito di Stalin, nella biologia dell’Urss si tracciò un confine invalicabile tra le due scienze: scienza “sovietica” e “occidentale”, contrapposte soprattutto nella visione del ruolo della scienza nella società. La genetica darwiniana “borghese”, assimilabile a eugenetica e nazismo, fu azzerata in favore di Lysenko, un agronomo che impose un lamarckismo funzionale ai bisogni materiali ma anche ideologici del suo paese. L’ereditarietà dei caratteri acquisiti come mezzo per trasformare la natura e sviluppare le potenzialità rivoluzionarie della biologia. Fu uno dei tanti crimini staliniani, ma soprattutto un errore scientifico madornale, che condizionò per un decennio la scienza sovietica e in cui incespicò lo stesso Togliatti.

In Italia, al dibattito e agli scontri su Lysenko e i rapporti tra Pci e Urss presero parte intellettuali come Italo Calvino, Emilio Sereni, Giulio Einaudi e Paolo Boringhieri. Contro il lisenkysmo si schierò la gran parte della nascente genetica italiana, che proprio in quegli anni si stava stabilendo come disciplina e come rete di strutture accademiche. Guidata dal genetista Adriano Buzzati Traverso, la lotta per togliere alle stanze della politica il controllo della verità scientifica ebbe successo ma solo al prezzo di una frattura prima di tutto culturale con il Pci. La stessa che in Europa aveva causato rotture insanabili tra biologi del calibro di Haldane e Monod e i rispettivi partiti comunisti.

Le Scienze, luglio 2008.

Qui la recensione di Mauro Capocci per Liberazione.

Paolo Colagrande: Kammerspiel

Messi come siamo messi a Piacenza, i libri di Paolo Colagrande sono una boccata d’aria fresca. Nell’ubertoso borgo padano come lo chiama lui, dove la cultura e l’ironia sono al di sotto degli standard minimi internazionali, il divertentissimo Colagrande ci da un motivo per sorridere. A noi piacentini soprattutto, che ci possiamo godere anche il suo spassoso dialetto tradotto in un italiano improbabile – perlomeno per chi non lo conosce – e le sue citazioni di personaggi e luoghi della umidissima “città golenale”.

Parmigiani e reggiani rideranno a denti stretti, che il Colagrande non nasconde un certo campanilismo da due lire, calcistico ma soprattutto culturale: ci si contendono per esempio i natali di Giuseppe Verdi, tra Sant’Agata nella bassa piacentina e Busseto in quella parmense. Non parliamo poi dei lombardi, che per loro son solo botte, seppur metaforiche.

Colagrande fa parte dell’ondata di scrittori emiliani come Paolo Nori o Daniele Benati, che ora si sono ritrovati a lavorare insieme alla rivista Laccalappiacani (edita da DeriveApprodi). Dopo aver vinto l’anno scorso il Campiello Opera Prima con Fìdeg, in questo Kammerspiel (Alet, 280 pagine, 14,50 euro) sceglie di usare gli stessi personaggi, la stessa ambientazione e quasi quasi la stessa storia. Il suo linguaggio gergale, intriso di dialetto, è la sua firma principale. Certo, a chi non è emiliano potrebbe risultare addirittura un po’ noioso, se si soffermasse solo su quello.

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Una vacanza nucleare

Stufi dei soliti viaggi organizzati, Nathan Hodge e Sharon Weinberger hanno scelto un itinerario esplosivo. Una vacanza tra moglie e marito, che li ha portati in giro per il mondo nei luoghi simbolo della bomba nucleare. Il deserto del Nevada, dove si sperimentavano le atomiche, le città fantasma sovietiche, i siti di arricchimento dell’uranio in Iran.

Una volta tornati a casa – sani e salvi – ci hanno scritto un libro, A Nuclear Family Vacation: vi farà divertire e renderà (forse) un po’ più simpatici i fisici che lavoravano metri e metri sottoterra nei laboratori segreti di Los Alamos. Ma vi allarmerà sulle politiche inconsistenti dell’amministrazione Bush, disposta a tutto pur di non parlare di disarmo.

Qui potete vedere lo slideshow delle foto dai luoghi della vacanza

Qui un’intervista a Nathan e Sharon

Bruno Latour: Disinventare la modernità

Davvero scienziati ed esperti sono in grado di decidere quali sono i fatti e controllare la direzione del progresso? Sono alcune delle domande cruciali che si è posto, nella sua ormai trentennale attività di ricerca, il sociologo e antropologo della scienza francese Bruno Latour. Ora Eleuthera gli dedica un piccolo volume: Disinventare la modernità. Conversazioni con François Ewald (72 pagine, 8 euro), una lunga intervista che cerca di ripercorrere le tappe della sua carriera e i punti più importanti del suo pensiero.

Partiamo dal tipo di modernità che Latour si propone di disinventare. In Non siamo mai stati moderni l’antropologo francese aveva chiamato modernità la capacità di separare in modo netto – e artificioso – fatti e valori. Da una parte i fatti, verificati da una scienza neutrale. Dall’altra i valori, le scelte politiche, gli interessi. Oggi tuttavia secondo Latour non siamo più moderni, dato che questa separazione non è più possibile, e gli oggetti di cui il nostro mondo si è popolato sono sì diversi ma legati indissolubilmente tra di loro, che si tratti di microbi, ricercatori, valori etici, transistor…

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I fumetti del Prof. Bad Trip

La Shake edizioni continua con la sua opera di recupero della produzione del Prof. Bad Trip, uno degli artisti più innovativi prodotti dall’underground italiano dagli anni ottanta a oggi, scomparso un anno e mezzo fa e cui aveva già dedicato un altro volume, L’arte del professor Bad Trip, e un sito internet per mantenerne vivo il ricordo.

Stavolta invece un libro raccoglie i fumetti del professore (I fumetti del Prof. Bad Trip, 256 pagine, 15 euro), pseudonimo di Gianluca Lerici, un grande interprete dei mutamenti politici e tecnologici che hanno attraversato il mondo negli anni del post-fordismo, del riflusso della politica e della tragedia ecologica.

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Renzo Tomatis: L’ombra del dubbio

La scienza, anche la ricerca medica, come continuazione dell’impegno umano e sociale, come parte integrante del percorso culturale dell’essere umano. Renzo Tomatis è stato un interprete non comune di questa visione della scienza: medico, ricercatore di fama internazionale – ha diretto per lunghi anni l’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità – ma anche scrittore e protagonista di battaglie per la prevenzione del cancro, contro gli interessi aziendali e i loro condizionamenti alla ricerca, in aiuto dei lavoratori colpiti da patologie legate all’esposizione ad agenti tossici e cancerogeni.

L’ultimo suo libro, L’ombra del dubbio (144 pagine, 13,50 euro) ,pubblicato postumo dall’editore Sironi e impreziosito dalle prefazioni di Claudio Magris e Paolo Vineis, è una raccolta di racconti che hanno sempre al centro la professione del ricercatore. Il primo soprattutto, quello che dà il titolo al volume, è un manifesto della sensibilità di Tomatis per i conflitti di interessi, i patteggiamenti continui con le dinamiche di potere e la perdita dell’innocenza che caratterizzano il lavoro di chi fa ricerca in un settore tanto delicato e importante, ma con tanti legami con l’industria, come quello medico. I protagonisti, compreso il narratore in cui si riconoscono tratti autobiografici, sono invischiati in gelosie, legami nascosti con finanziatori non del tutto limpidi e condizionamenti che ne piegano l’attività di ricerca indirizzandola verso verità non sempre cristalline.

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