Cervelli in fuga dall’Africa

Cervelli in fuga anche dall’Africa. È questo l’allarme che periodicamente si alza dalle istituzioni scientifiche africane. Fin qui niente di nuovo, l’Italia è maestra nel mandare i migliori laureati all’estero e nel far di tutto per non farli rientrare. Ma in questo caso stiamo parlando di ricercatori davvero importanti per un continente afflitto da continui problemi alimentari e agricoli: gli agronomi.

Un nuovo programma internazionale sponsorizzato da un fondo statunitense di quasi 5 milioni di dollari cercherà di aiutare i ricercatori a restare in Ghana. Una misura preventiva, da attuare prima che la loro fuga abbia inizio. Infatti non si tratta solo di farli tornare: un agronomo che si forma e lavora sul terreno, nel suo paese, potrà contribuire molto meglio all’agricoltura locale rispetto a chi impara in un laboratorio in Europa o Stati Uniti, le mete preferite dai cervelli in fuga africani. Ora la Alliance for a Green Revolution in Africa (AGRA), presieduta da Kofi Annan, ex segretario generale dell’Onu, collaborerà con l’Università del Ghana, a Legon, per lanciare un centro di miglioramento delle sementi, e con l’Università di KwaZulu-Natal in Sudafrica. I primi corsi partiranno nel gennaio del 2008, e in dieci anni AGRA conta di formare 120 dottori di ricerca africani, cresciuti lavorando sulle piante africane e sulle loro malattie, spesso diverse dalle nostre.

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The Liberazione Papers

codice-binario.jpgPer tutto il mese di agosto ho tenuto un paginone settimanale su Liberazione, dedicato a scienza, rete, movimenti, sviluppo…

Si partiva con la scienza collaborativa online, aperta e orizzontale, per passare a Second Life (il giorno di ferragosto, cosa c’è di più adatto all’ombrellone?) e alla ristampa di Snow Crash di Neal Stephenson (Rizzoli, 551 pag, 11,60 euro), il romanzo che ha inventato il Metaverso.

Passata la sbornia di mojito e crema solare si arriva al rapporto, spesso ma non sempre conflittuale, tra scienza e movimenti, per concludere oggi con i problemi legati allo sviluppo: quale scienza e quale tecnologia per i paesi poveri?

Heathrow: siamo armati solo di scienza

armedwithpeerreview2.jpgAll’aeroporto londinese di Heathrow il Climate Action Camp della settimana scorsa ha dato vita a un movimento ecologista che ritiene che per salvare il mondo sia indispensabile un cambiamento sociale.

Guardate la foto qui a fianco. Gli attivisti marciano verso Heathrow sotto uno slogan esplicito: «siamo armati solo di scienza sottoposta a peer review». Quella che da anni avverte, sempre più compatta, che la catastrofe climatica si avvicina, e che la colpa è della CO2 prodotta dalle attività umane. Cui contribuiscono in misura crescente le emissioni dovute al traffico aereo, un settore in esplosione irrefrenabile.

Dal campo, organizzato secondo principi di risparmio energetico, vegano e alimentato da pannelli solari, ci arriva un nuovo esempio di uso diretto delle conoscenze scientifiche da parte di movimenti sociali. Avevate mai visto un corteo che invece del Libretto rosso di Mao sventola le pagine del rapporto su traffico aereo ed emissioni pubblicato dal Tyndall Center for Climate Research? Un movimento che fa un uso più smaliziato dei dati scientifici, certo, ma che non fa che mettere in atto quello che (quasi) tutti i governi del mondo si guardano bene dal fare, sotto alla cortina fumogena dei proclami ambientalisti.

Ma la salvezza non verrà certo dal nuovo business del carbon offset, denunciato occupando e bloccando le sedi di Climate Care Oxford e Carbon Neutral Company a Londra. Quello che reclamano dal Climate Camp, infatti, è qualcosa di più di una riduzione cosmetica delle emissioni: «Social change, not lifestyle change». E dal sound system a pedali del campo uscivano queste parole: «Non solo un cambiamento del clima, ma anche un clima di cambiamento».

Marsha Tyson Darling: consumismo riproduttivo

Utili, indispensabili, ma mai neutrali. Sono le tecnologie riproduttive e genetiche, i cui effetti sulle donne, ma non solo, sono legati a diversi fattori: la classe sociale, la posizione geografica, gli interessi delle aziende. Lo sostiene Marsha Tyson Darling, studiosa statunitense e membro del Global Network for Women’s Reproductive Rights.

A Wonbit, il convegno su donne e biotecnologie che si è tenuto a Roma dal 21 al 23 giugno scorsi, Darling ha parlato di «Genere e giustizia nell’era del gene». La sua attenzione alle questioni sociali la ha portata a parlare di un «consumismo» riproduttivo, che ha effetti diversi alle diverse latitudini e che coinvolge classi e generazioni diverse.

Se infatti «le tecnologie riproduttive e genetiche emergenti hanno tantissimi effetti positivi», è vero anche che «alcune questioni, che hanno a che fare con i rischi e con gli impatti negativi sulle donne, restano sottovalutate».

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La forza armata del pensiero

Chip impiantati nel cervello, grazie ai quali dei futuribili supersoldati potranno comandare gli armamenti con il pensiero. Ma che possono anche essere usati per curare la cecità e il morbo di Parkinson. Sono i possibili percorsi applicativi delle neuroscienze, quel ramo della ricerca che studia il cervello e che negli ultimi anni sta facendo passi da gigante, ricevendo fondi sempre maggiori.

Certo, ci sono molti problemi aperti, teorici e pratici, a causa della complessità del cervello, la struttura più intricata che l’evoluzione abbia prodotto. Ma ci sono anche dilemmi di tipo etico, e per discuterli negli ultimi anni è sorta un’intera disciplina: la neuroetica, che si occupa delle ricadute di questa disciplina sulle nostre esistenze e sul nostro stile di vita. Per esempio quando viene prodotto un nuovo farmaco per potenziare l’intelligenza, quando si propone di sottoporre i sospetti criminali a macchine della verità, o si studiano i meccanismi neurali dell’orientamento sessuale o dei comportamenti violenti.

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Richard Stallman: free science

Tocca a Richard Stallman, guru del free software, dire la sua sulla scienza e sull'Open Access. Anche se odia la parola «open», soprattutto se unita alla parola «source», mi ha parlato dei legami tra scienza, free software e movimento per l'open access nell'editoria scientifica.

Stallman sarà oggi a Roma alla Sapienza prima, e alla Camera dei Deputati poi. L'intervista completa è uscita su Liberazione, ma questa parte è inedita:

Il movimento per l’open access nella scienza è stato influenzato dall’esperienza del software libero. Si tratta comunque di libera circolazione della conoscenza, no?

L’ideale della cooperazione tra gli scienziati mi ha ispirato a fondare il movimento del free software. Da allora, questo ideale è stato danneggiato dalla commercializzazione della scienza: per questo sono felice che gli ideali del free software possano restituire il favore rinsaldando la cooperazione scientifica.

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Il manifesto degli anfibi, tra scienza e società

A Trieste abbiamo presentato il manifesto per un’alleanza fra scienziati e cittadini. Lo firmiamo in tanti – già più di cento – giovani e anfibi. Anfibi vuol dire che stiamo dentro e fuori la ricerca e la comunicazione, ci muoviamo sulle interfacce della relazione tra scienza e società.

Il testo del manifesto è questo:

«Siamo un gruppo di ricercatori e comunicatori della scienza che unisce alla pratica quotidiana del proprio lavoro un’attenta riflessione teorica sulle implicazioni economiche e culturali e sulle politiche di gestione dello sviluppo scientifico e tecnologico, nella convinzione che i rapporti tra scienza e società siano oggi un elemento cruciale per interpretare il mondo in cui viviamo.

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Donghong Cheng: la scienza in Cina

A Trieste ho parlato con Donghong Cheng (foto), segretario esecutivo dalla China Association for Science and Technology (Cast), che si occupa di comunicazione della scienza tramite alcuni progetti di dimensioni bibliche: un «treno della scienza» e una flotta di autobus, per esempio, che nel giro di un anno hanno raggiunto qualcosa come sessantadue milioni di persone concentrate nelle aree più remote (e più povere) del paese, agli antipodi delle esplosive città della Cina orientale. Portando loro scienziati in carne e ossa, informazioni, musei intineranti… e diffondendo una cultura scientifica che è indispensabile per un paese che si candida a diventare capofila dello sviluppo globale.

Lo dimostra la Legge sulla divulgazione della scienza e della tecnologia, promulgata dal governo cinese, che obbliga tutti i media, dalla radio, ai giornali, alle tv, a dedicare più spazio alla scienza. E secondo la quale «chi usa la divulgazione della scienza per accumulare soldi, beni di valore o turbare l'ordine sociale verrà criticato e rieducato da una apposita commissione».

Nonostante i rischi legali e il codazzo di guardie del corpo che vigilano su quello che fa, Donghong è molto disponibile e non si tira indietro di fronte a qualunque tipo di domanda: il problema delle centinaia di migliaia di sfollati causati dalla costruzione delle grandi dighe? Un semplice scambio tra comunità locali e governo («no pain, no gain»). I diritti umani? Un sistema di valori che necessita di un retroterra culturale su cui innestarsi. Il pubblico della Fiera internazionale dell'editoria scientifica di Trieste le ha chiesto di tutto, dai diritti umani, appunto, al protocollo di Kyoto, dagli Ogm (grande motivo di pressione delle multinazionali sul governo cinese) al sistema educativo del suo paese.

L'intervista è uscita sull'Unità di oggi.

 

La fisica di Chavez

«Un piano di destabilizzazione del paese.» Secondo la Asamblea Bolivariana de Trabajadores del Ivic la solidarietà raccolta dal fisico Claudio Mendoza, che è stato sollevato dal suo incarico di direttore di laboratorio dell’Instituto Venezolano de Investigaciones Cientificas per aver pubblicato su un quotidiano nazionale un articolo sarcastico sulla politica nucleare del Venezuela, è addirittura un caso di tradimento della patria.

La vicenda è esplosa dopo che nell’autunno 2006 Mendoza aveva attaccato il governo bolivariano di Chavez, che ha stretto un’alleanza in campo nucleare con l’Iran di Ahmadinejad e che viene accostato anche alla Corea del Nord, l’altro pretendente all’ingresso nel club atomico.

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Come si comunica la scienza?

C'è Craig Venter anche nel libro di Yurij Castelfranchi e Nico Pitrelli, Come si comunica la scienza? (Laterza, 148 pagine, 10,00 euro). I due ricercatori, che si occupano del rapporto tra scienza e società, lo ritengono un esempio significativo di scienziato «post-accademico», tipico della fase nella quale i processi scientifici non sono più confinati all’interno dei laboratori e delle università ma devono aprirsi al dialogo con la società.

Alla scienza non basta più essere valida o corretta: deve essere anche socialmente robusta, cioè deve incontrare le esigenze, i problemi e le priorità dei cittadini. E per farlo deve parlare con loro e saperli ascoltare. Una questione di democrazia, dato che è ormai impensabile affidare soltanto all’esperto scelte importanti come quelle che riguardano, per esempio, la produzione di energia o la ricerca sulle cellule staminali. Per la scienza è anche un problema di sopravvivenza: per adattarsi, centri di ricerca e istituzioni scientifiche si stanno dotando sempre più spesso di uffici stampa, open days e campagne marketing.

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