 Gli editori delle riviste scientifiche hanno paura dell’open access. Non sarebbe una gran notizia se non fosse che sembra che abbiano incaricato Eric Dezenhall, il cosiddetto Pitbull dei PR, di aiutarli a opporre resistenza alla marea del movimento open.
Gli editori delle riviste scientifiche hanno paura dell’open access. Non sarebbe una gran notizia se non fosse che sembra che abbiano incaricato Eric Dezenhall, il cosiddetto Pitbull dei PR, di aiutarli a opporre resistenza alla marea del movimento open. 
La notizia l’ha data Nature qualche giorno fa, affrettatevi a leggerla finchè è gratis.
Si dà il caso che Eric e la sua Dezenhall Resources siano specializzati in operazioni di public relation, diciamo, per risollevare le sorti mediatiche di personaggi famosi o corporation in difficoltà. C’era lui dietro ai soldi che la ExxonMobil spendeva per screditare Greenpeace, almeno così sostiene Business Week. Il nostro ha lavorato anche per Enron, per le multinazionali del farmaco eccetera. La sua missione è «disseminare ‘buone notizie’ per proteggere la reputazione e le attività di chi deve fronteggiare accuse gratuite o pericoli».
Ecco perchè Elsevier e la Association of American Publishers, insomma i più grandi editori di riviste scientifiche, si affidano a lui per rispondere alla minaccia dell’open access. La strategia di Dezenhall è semplice: sostenere che «open access è uguale a censura governativa» e «dipingere un mondo senza articoli sottoposti a peer review».
Purtroppo le persone intervistate da Nature non hanno rivelato la quantità di denaro che sarà impiegata nelle future operazioni di public relations anti open access.

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Cosa ci fanno strane colture batteriche e apparecchiature biotecnologiche sospette nelle mani di un professore di arte della New York University e di un genetista di Pittsburgh, entrambi di note simpatie libertarie? È quello che si sono chiesti gli agenti dell’Fbi quando, il 30 maggio 2004, hanno perquisito le case di  Il ricorso della Commissione europea contro l'Austria, che dal 1999 vieta l'importazione sul suo territorio di due tipi di mais geneticamente modificato approvati nel resto d'Europa,
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