Il dilemma del pirata

Il dilemma del pirata è quello che dovremmo vivere ogni volta che scarichiamo una canzone o un film piratato da Internet. Stiamo rubando il lavoro di altre persone , stiamo danneggiando l’economia e soprattutto stiamo mettendo in pericolo la cultura, condannandola a morte lenta? Che facciamo, smettiamo di scaricare? Chiedetelo a Matt Mason, un giornalista musicale ed ex dj di radio pirata di Londra. Matt ha scritto The Pirate’s Dilemma. How Youth Culture Is Reinventing Capitalism.

Secondo Matt, la pirateria non è soltanto divertente, economica e comoda. Altro che fare danni: la pirateria sarebbe un motore della circolazione di cultura, dell’innovazione e niente meno che del capitalismo. Insomma, la proprietà è un furto oppure il furto aumenta la proprietà? Non è una domanda stupida, se pensate che Matt propone il “capitalismo punk” (molti punk si rivolteranno davanti a questo ossimoro): una volta tre ragazzini che si annoiavano potevano mettere su un gruppo punk e autogestire la propria musica. Oggi gli stessi tre amici, grazie alla rete e ai computer potrebbero dare vita a un’impresa del web e fare i soldi partendo da zero e attingendo a piene mani alla ricchezza di informazione che si trova su internet, alla faccia di brevetti e copyright.

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Il tofu causa… mmm… cosa volevo dire?

Secondo uno studio ripreso pochi giorni fa dalla BBC, un consumo elevato di tofu aumenta il rischio di perdere la memoria. Lo dicono ricercatori che hanno studiato 719 anziani giavanesi che mangiano tofu tutti i santi giorni, e che avevano meno memoria della media, soprattutto quelli di più di 68 anni. In realtà non si sa se la causa è dei folati o dei fitoestrogeni (vegetali, ma simili ai nostri ormoni) contenuti nel tofu o addirittura alla formaldeide che viene usata come conservante in Indonesia.

Così risponde anche la Vegetarian & Vegan Foundation, che oltretutto sottolinea come il rischio di demenza senile aumenti piuttosto con il consumo di carne, sia perché i cannibali sono più soggetti a obesità, sia perché c’è chi dice che l’Alzheimer sia dovuto a un prione, un po’ come la cara vecchia Mucca pazza. Io intanto, per ricordarmi l’aperitivo vegano di stasera, ho dovuto mettermi un promemoria sul cellulare.

A Barcelona la scienza aperta

Il 16 e il 17 luglio, prima dell’inizio di ESOF 2008 (Euroscience Open Forum) si terrà un evento satellite organizzato da Science Commons e dedicato alla scienza aperta e all’uso della rete. Si discuterà di come allargare l’accesso ai dati scientifici e l’uso degli strumenti necessari per gestirli, cioè le risorse informatiche. Secondo il programma del workshop, in quei giorni ci si dedicherà a

"discutere e definire i principi di base della scienza aperta, inclusa l’identificazione delle caratteristiche chiave per riconoscere un sistema come sistema di scienza aperta. Il nostro obiettivo è concludere il seminario con un set di principi per la scienza aperta, che possano guidare efficacemente lo sviluppo di un’infrastruttura collaborativa globale per la condivisione della conoscenza che velocizzi le scoperte e salvi più vite".

Mica poco. Qualcuno sarà a Barcelona in quei giorni?

Le due scienze. Il caso Lysenko in Italia

Le vicende dello “scienziato del popolo” Trofim Lysenko e della biologia ufficiale staliniana sono piuttosto conosciute. Ma le loro ripercussioni nel nostro paese sono invece ricostruite per la prima volta in modo puntiglioso da Francesco Cassata, uno storico che ha indagato a fondo nei rapporti tra Urss, Pci e mondo scientifico e culturale italiano degli anni Quaranta e Cinquanta, in Le due scienze. Il “caso Lysenko” in Italia (Bollati Boringhieri, 292 pagine, 28 euro).

Nel 1948, con il sostegno esplicito di Stalin, nella biologia dell’Urss si tracciò un confine invalicabile tra le due scienze: scienza “sovietica” e “occidentale”, contrapposte soprattutto nella visione del ruolo della scienza nella società. La genetica darwiniana “borghese”, assimilabile a eugenetica e nazismo, fu azzerata in favore di Lysenko, un agronomo che impose un lamarckismo funzionale ai bisogni materiali ma anche ideologici del suo paese. L’ereditarietà dei caratteri acquisiti come mezzo per trasformare la natura e sviluppare le potenzialità rivoluzionarie della biologia. Fu uno dei tanti crimini staliniani, ma soprattutto un errore scientifico madornale, che condizionò per un decennio la scienza sovietica e in cui incespicò lo stesso Togliatti.

In Italia, al dibattito e agli scontri su Lysenko e i rapporti tra Pci e Urss presero parte intellettuali come Italo Calvino, Emilio Sereni, Giulio Einaudi e Paolo Boringhieri. Contro il lisenkysmo si schierò la gran parte della nascente genetica italiana, che proprio in quegli anni si stava stabilendo come disciplina e come rete di strutture accademiche. Guidata dal genetista Adriano Buzzati Traverso, la lotta per togliere alle stanze della politica il controllo della verità scientifica ebbe successo ma solo al prezzo di una frattura prima di tutto culturale con il Pci. La stessa che in Europa aveva causato rotture insanabili tra biologi del calibro di Haldane e Monod e i rispettivi partiti comunisti.

Le Scienze, luglio 2008.

Qui la recensione di Mauro Capocci per Liberazione.

La fisica salverà la sinistra italiana

Fisici italiani del movimento che fu cercano di convincere la sinistra italiana a non chiudersi su se stessa, e lo fanno a colpi di network sociali e simulazioni di società virtuali. Nello studio pubblicato su arXiv due ricercatori hanno costruito un modello di società in cui i nodi della rete sono distribuiti in maniera uniforme nell’arco delle opinioni politiche:

dai “neutrali” (privi di opinione, che
creano link con gli altri indifferentemente) agli “estremisti” (con
idee vicini ai due estremi della distribuzione, che linkano
preferibilmente nodi con idee simili).

I risultati: per garantire una maggiore biodiversità delle opinioni, cioè più cluster collegati tra loro, la società deve saper integrare@page { size: 21cm 29.7cm; margin: 2cm }
P { margin-bottom: 0.21cm }
–> anche i punti di
vista più polarizzati. Se si riproducono 

i processi di segregazione che in
molte comunità colpiscono i punti di vista più estremi,
per esempio una legge che non permette agli
appartenenti a un determinato gruppo sociale di prendere parte al dibattito
politico, oppure se gli estremisti si rinchiudono in organizzazioni religiose o politiche in cui gli individui si ritrovano a discutere
solo con i propri simili, le opinioni si riducono a un singolo cluster con al suo esterno poco più che individui isolati. Si può organizzare un talk al loft del PD e al congresso di Rifondazione?

Paolo Colagrande: Kammerspiel

Messi come siamo messi a Piacenza, i libri di Paolo Colagrande sono una boccata d’aria fresca. Nell’ubertoso borgo padano come lo chiama lui, dove la cultura e l’ironia sono al di sotto degli standard minimi internazionali, il divertentissimo Colagrande ci da un motivo per sorridere. A noi piacentini soprattutto, che ci possiamo godere anche il suo spassoso dialetto tradotto in un italiano improbabile – perlomeno per chi non lo conosce – e le sue citazioni di personaggi e luoghi della umidissima “città golenale”.

Parmigiani e reggiani rideranno a denti stretti, che il Colagrande non nasconde un certo campanilismo da due lire, calcistico ma soprattutto culturale: ci si contendono per esempio i natali di Giuseppe Verdi, tra Sant’Agata nella bassa piacentina e Busseto in quella parmense. Non parliamo poi dei lombardi, che per loro son solo botte, seppur metaforiche.

Colagrande fa parte dell’ondata di scrittori emiliani come Paolo Nori o Daniele Benati, che ora si sono ritrovati a lavorare insieme alla rivista Laccalappiacani (edita da DeriveApprodi). Dopo aver vinto l’anno scorso il Campiello Opera Prima con Fìdeg, in questo Kammerspiel (Alet, 280 pagine, 14,50 euro) sceglie di usare gli stessi personaggi, la stessa ambientazione e quasi quasi la stessa storia. Il suo linguaggio gergale, intriso di dialetto, è la sua firma principale. Certo, a chi non è emiliano potrebbe risultare addirittura un po’ noioso, se si soffermasse solo su quello.

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Le api, l’anarchia e il non-lavoro

Dovete sapere che le api operaie hanno la capacità di mettere a tacere il loro sistema riproduttivo in presenza di una regina fertile. Tutto lavoro e zero divertimento. Una ricerca pubblicata sulla rivista Genetics svela che in alcune popolazioni di api definite "anarchiche" la soglia di attivazione delle ovaie si abbassa, e quindi molte operaie se ne fregano della regina e cominciano a produrre uova. Se non ho capito male lo studio è una buona notizia, una volta tanto.

Una vacanza nucleare

Stufi dei soliti viaggi organizzati, Nathan Hodge e Sharon Weinberger hanno scelto un itinerario esplosivo. Una vacanza tra moglie e marito, che li ha portati in giro per il mondo nei luoghi simbolo della bomba nucleare. Il deserto del Nevada, dove si sperimentavano le atomiche, le città fantasma sovietiche, i siti di arricchimento dell’uranio in Iran.

Una volta tornati a casa – sani e salvi – ci hanno scritto un libro, A Nuclear Family Vacation: vi farà divertire e renderà (forse) un po’ più simpatici i fisici che lavoravano metri e metri sottoterra nei laboratori segreti di Los Alamos. Ma vi allarmerà sulle politiche inconsistenti dell’amministrazione Bush, disposta a tutto pur di non parlare di disarmo.

Qui potete vedere lo slideshow delle foto dai luoghi della vacanza

Qui un’intervista a Nathan e Sharon

Bruno Latour: Disinventare la modernità

Davvero scienziati ed esperti sono in grado di decidere quali sono i fatti e controllare la direzione del progresso? Sono alcune delle domande cruciali che si è posto, nella sua ormai trentennale attività di ricerca, il sociologo e antropologo della scienza francese Bruno Latour. Ora Eleuthera gli dedica un piccolo volume: Disinventare la modernità. Conversazioni con François Ewald (72 pagine, 8 euro), una lunga intervista che cerca di ripercorrere le tappe della sua carriera e i punti più importanti del suo pensiero.

Partiamo dal tipo di modernità che Latour si propone di disinventare. In Non siamo mai stati moderni l’antropologo francese aveva chiamato modernità la capacità di separare in modo netto – e artificioso – fatti e valori. Da una parte i fatti, verificati da una scienza neutrale. Dall’altra i valori, le scelte politiche, gli interessi. Oggi tuttavia secondo Latour non siamo più moderni, dato che questa separazione non è più possibile, e gli oggetti di cui il nostro mondo si è popolato sono sì diversi ma legati indissolubilmente tra di loro, che si tratti di microbi, ricercatori, valori etici, transistor…

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Science Commons: copyleft e database

Il nuovo numero di Jcom, il Journal of Science Communication pubblicato dalla Sissa e di cui sono da pochissimo uno degli editor, contiene un commentario su scienza e rete. Lo segnala anche il blog di Science Commons, il cui direttore John Wilbanks ha partecipato con un articolo sull’uso delle licenze open nella scienza. Secondo Wilbanks, l’uso di licenze mutuate dal mondo del software free/open non è sempre adeguato alle necessità di integrazione della scienza, cioè di apertura alla collaborazione, al riutilizzo e al riadattamento delle conoscenze. Meglio che i dati vengano esplicitamente riversati nel dominio pubblico, per esempio per mezzo della licenza CC0 che Science Commons sta sviluppando e che prevede la rinuncia a qualsiasi tipo di rivendicazione sui dati.

Una nota: l’articolo di Wilbanks è stato pubblicato, su sua esplicita richiesta, sotto licenza Creative Commons 3.0. Già, perché Jcom è una rivista open access ma non ha una politica di licenze aperte. Stiamo rimediando, lo giuro! Aspettate il prossimo numero…