Ottobre: Stati Generali della Precarietà

A ottobre abbiamo invitato le reti di precari e precarie, collettivi e gruppi che si occupano di lavoro, precarietà e reddito a riunirsi a Milano per gli Stati Generali della Precarietà, 221 anni dopo gli Stati generali della Rivoluzione francese e la deposizione di Luigi XVI, avvenuta il 10 ottobre 1789, così non dite che non puntiamo in alto. L’incontro avrà un carattere aperto, un po’ come un Hackmeeting o un BarCamp: chiunque può proporre un tema, un contributo, e soprattutto un workshop: vogliamo discutere e condividere idee ma anche pratiche e possibili azioni per una nuova stagione di lotte precarie. Dalle risposte che stiamo avendo sin da ora, arriveranno persone da tutta Italia e da mezza Europa.

Sotto copincollo il testo della call. Ci vediamo agli Stati Generali.

Continue reading “Ottobre: Stati Generali della Precarietà”

Precarifornia

Sono in missione per conto di San Precario. E Precarifornia è il mio nuovo Twitter per raccogliere notizie e commenti su lavoro, movimenti e (contro)culture da Los Angeles.

Affinità e divergenze tra chi organizza i lavoratori a L.A. e noi

Come introduzione ai movimenti che organizzano i lavoratori/trici dal basso mi sono letto questo Working for justice. The L.A. model of organizing and advocacy e poi sono andato a pranzo con Josh, uno degli autori. I capitoli del libro sono stati scritti in collaborazione con gli stessi attivisti, e sono focalizzati in particolare sul modello del worker center, cioè piccoli centri territoriali o di settore, forme ibride tra minisindacati e movimenti di base, che supportano i lavoratori e le loro lotte. In molti casi si tratta di lavoratori migranti, soprattutto latinos e coreani che formano la spina dorsale della forza lavoro losangelina. Si va dalla famosa KIWA, l’alleanza dei lavoratori di Koreatown, alle lotte di Justice for Janitors, fino a tassisti, lavoratori del tessile e degli autolavaggi.

Se è vero che da free shop del lavoro sottopagato e desindacalizzato, Los Angeles è diventata un punto di riferimento per le nuove forme di organizzazione dei lavoratori, il modello del worker center ha molte caratteristiche interessanti e in cui si riconoscono pratiche legate alla Mayday e ai Punto San Precario in Italia. In risposta a precarizzazione ed estrema ricattabilità, i worker center forniscono supporto legale e capacità di rapportarsi con i media. Costruiscono legami con i lavoratori per raccogliere informazioni vitali sull’azienda e organizzare mobilitazioni che non li espongano al rischio di ripercussioni. Producono nuove narrative di giustizia sociale coinvolgendo i lavoratori e le usano per costruire "drammi pubblici", cioè momenti di sputtanamento dell’azienda e di dimostrazione della forza dell’azione collettiva. Cercano di ampliare al massimo il coinvolgimento diretto dei lavoratori per fornire strumenti e per combattere la sensazione di impotenza che hanno nei confronti delle loro condizioni lavorative.

Ci sono però un paio di cose peculiari (a parte il fatto che i worker center dispongono sempre di personale pagato che lavora a tempo pieno). La prima è che possono fare vertenze a livello di governo locale per migliorare le condizioni di lavoro (salario minimo, benefit, eccetera). E poi costruiscono forti legami all’interno delle comunità, individuando e coinvolgendo i leader religiosi, culturali e politici. Questo modello ha portato a importanti vittorie, anche se le storie raccontate nel libro sono precedenti alla recessione che sta fustigando la California e imponendo tagli e salassi. Il Governator Schwartzenegger è campione di ingiustizia sociale, e non basterà un worker center a fermarlo.

La grande truffa della street art

Guardare Exit through the gift shop in un multisala di Hollywood è il modo migliore per apprezzare al meglio quelle che per me sono le doti principali di questo film. Attenzione, il regista è il famoso graffitaro inglese Banksi, ma non fatevi trarre in inganno. Il protagonista principale non è lui ma Mr. Brainwash, il nuovo galmourissimo street artist di Los Angeles, capace alla sua prima mostra di vendere pezzi per un milione di dollari ed essere chiamato a creare la copertina di un disco di Madonna. Dalla strada alle case dei collezionisti di Bel Air senza capire nemmeno bene il perché.

La prima parte del film, in cui l’antieroe Thierry, ossessionato dalla sua telecamera e cugino nientemeno che di Invader diventa il filmaker (e complice) di tutti i più famosi artisti della scena losangelina ed europea è fantastica. Esterno notte, camera a mano e si scalano muri, si incollano stencil, si ritagliano cartelloni pubblicitari, si scappa dalla polizia con personaggi del calibro di Invader, Shepard Fairey, Banksi, Zeus e chi più ne ha più ne metta.

La seconda parte è invece la rivelazione di Mr. Brainwash e della sua capacità assolutamente incredibile di svelare al mondo come l’estetica di strada possa essere trasformata in business e moda. E senza nemmeno pretendere di essere un artista! Un capannone a Hollywood, le giuste raccomandazioni, qualche decina di migliaia di dollari – basta ipotecarsi la casa – la copertina giusta sul giornale giusto, e ovviamente il palcoscenico di Los Angeles.

Questo film è il funerale della street art degli anni 00. Dopo averlo visto, non guarderete più uno stencil nello stesso modo. È un film fantastico, scaricatelo. 

Mayday 2010 – Precarious of the world let’s fight!

Precarious of the world let’s fight! Saliamo sui tetti del mondo per opporci alla precarizzazione, per rivendicare reddito, diritti e cittadinanza per tutte/i. Il passato sta affondando. Il futuro siamo noi!

Euromayday Parade. Primo maggio 2010. Milano, porta Ticinese, h 15

Il primo maggio 2010 migliaia di persone torneranno nelle strade di Milano per la EuroMayday Parade, per mostrare l’orgoglio, la gioia e la rabbia dei precari e delle precarie. Dal 2001 al 2010, 10 anni d’arretramento dei diritti e delle retribuzioni, 10 anni di lotte e di sacrifici, d’opposizione netta, contro la deriva razzista, contro le politiche intolleranti e securitarie, contro la cultura del profitto che precarizza la vita di ognuno di noi.

Noi che siamo quelli/e che creano la ricchezza, ma che non ne godono se non in minima parte. co.co.co e lavoratori a progetto, esternalizzate e partite iva, invisibili, cassintegrati, instabili e in nero. In 10 anni siamo diventati la maggioranza tra i lavoratori sotto i 40 anni. Nei prossimi 10, complice il liberismo, saremo la maggioranza di tutti i lavoratori.

La crisi ha colpito duro  e se possibile ha peggiorato le  nostre condizioni di vita. E’ stata usata da imprese e padroni per svendere, ristrutturare e speculare. In molti i casi i lavoratori si sono opposti e le lotte hanno agitato i territori e i luoghi della produzione. Il primo marzo dei migranti, gli operai sui tetti delle fabbriche sono i simboli del dissenso al comando liberista. Ma con loro vi sono mille e ancora mille piccoli atti d’insubordinazione, di disturbo, di contestazione.

La Mayday, dopo dieci anni, testardamente, continua a chiedere il conto, continua a guardare avanti. Incarnando le diverse anime dei conflitti parla con la voce delle rivendicazioni necessarie e possibili. La politica di palazzo ha abbandonato ormai del tutto i problemi del lavoro e dei diritti ma noi continuiamo, ostinate, a reclamare giustizia per tutti e tutte, nativi o migranti, per le generazioni precarie, gli operai, e per quei lavoratori che sono diventati precari nei fatti: cassintegrati, licenziate, esternalizzate, delocalizzati.

Chiediamo continuità di reddito e accesso ai servizi a prescindere dal lavoro che facciamo e dal tipo di contratto che abbiamo o spesso non abbiamo. Reclamiamo i soldi che le aziende, avide e bastarde, continuano a sottrarci. Chiediamo cittadinanza per i migranti. E reclamiamo una scuola pubblica di qualità, un sistema di trasporti sostenibile e popolare, dei saperi liberi, fino ai diritti che non è più possibile legare solo al contratto a tempo indeterminato, come ferie pagate, pensione, malattia, maternità. Vogliamo un nuovo sistema di diritti, un welfare adatto alle nostre vite!

Scenderemo nelle strade con rabbia e con gioia, per riappropriarci della città e far sentire la nostra voce. Saremo una macho free zone, per costruire un immaginario libero dalla cultura machista. Rivendichiamo una produzione culturale alternativa al piattume imperante, e vogliamo diffondere una conoscenza che sia realmente libera, condivisa e accessibile. Denunceremo la stupidità criminale del razzismo leghista e non solo e mostreremo un presente di sorellanza tra nativi e migranti. Proporremo un’idea di futuro con lo spezzone no-oil a pedali e i sound system alimentati a pannelli solari. Diremo no alle speculazioni di Expo 2015, fatte sulla pelle dei cittadini e sui nostri territori martoriati.

Precarie, operai, partite iva, hacker, cassintegrate, studenti, creative, commessi, giornaliste, disoccupati, stagiste – nativi e migranti. Da Dortmund, Ginevra, Amburgo, Hanau, Lisbona, L’Aquila, Losanna, Malaga, Milano, Palermo, Tubingen, Zurigo, Tokio, Toronto e Tsukuba, uniamoci contro la crisi e gridiamo: Mayday Mayday!

 

 

Fusione al nichel (forse)

Su segnalazione di zotico1.0 sono andato a cercarmi questo famoso Rossi-Focardi paper, "A new energy source from nuclear fusion", in cui il prof Sergio Focardi (foto), fisico credo in pensione, che non risulta più negli elenchi dell’università di Bologna, e l’ingegner Andrea Rossi, entrambi bolognesi, annunciano un rivoluzionario processo (già brevettato) per una fusione fredda a nichel che produce una quantità di energia inaspettata. Se ne sta parlando su alcuni siti e sembra che stia diventando abbastanza conosciuto. Nei forum gira voce (ma non trovo conferme ne sui giornali ne sui siti ufficiali) che i nostri abbiano un finanziamento da DOE e DOD, cioè da due dei principali finanziatori di ricerca scientifica negli USA, il dipartimento dell’energia e quello della difesa.

Continue reading “Fusione al nichel (forse)”

Yann Moulier Boutang: ecologia e reddito

Copincollo qui sotto un’intervista a Yann Moulier Boutang, economista francese teorico del capitalismo cognitivo che ora fa parte di Europe Écologie, la federazione di verdi, associazioni ecologiste e movimenti che ha preso il 12% alle ultime regionali dopo un ottimo risultato anche alle europee. Mi sembra un documento interessante, leggetevi anche il loro programma. Ecologia, sviluppo, precarietà, reddito, crisi, produzione, prima cominceremo anche noi a tenere insieme queste parole prima anche l’Italia avrà una sinistra adeguata alle trasformazioni che stiamo vivendo.

«Ambiente e precari, noi abbiamo fatto così»

Parla l’ideologo dei verdi francesi

Ecolò è la nuova presa della Bastiglia. La bandiera vincente anti-Sarkozy. Uno «spettro» convincente (non più ideologico) che si aggira affascinando tutta l’Europa. Molto più di una suggestione perfino nell’Italia orfana delle sinistre. Yann Moulier Boutang, classe 1949, allievo e biografo di Louis Althusser, professore di scienze economiche e direttore della rivista Multitudes, incontra informalmente al bar del parco San Giuliano i «gemelli» veneziani. Yann è il «cervello» di riferimento per Daniel Cohn-Bendit, l’alternativa del ’68 rigenerata dall’ecologia politica.

Continue reading “Yann Moulier Boutang: ecologia e reddito”

Flattr: pagare la gratuità online

Dalla gratuità totale, a costo di far imbestialire le major del disco e di Hollywood, ai pagamenti volontari. Una parabola non certo rivoluzionaria, quella di Peter Sunde, uno degli ex admin e portavoce di The Pirate Bay, il sito svedese di peer-to-peer protagonista di gigantesche battaglie legali e innovazione tecnologica e di costumi che è ormai entrato di diritto nella storia di internet. L’ultima creatura di Sunde, che ha abbandonato Pirate Bay già da qualche mese, si chiama Flattr: un gioco di parole tra flat rate, cioè pagamento costante nel tempo a prescindere da quanto si usa un servizio, e flatter, che in inglese significa adulare. E’ ancora una beta version, cioè la versione sperimentale da testare per scoprire eventuali difetti, e per ora funziona a inviti. Ma il nuovo servizio di micropagamenti online è partito. Potete vederlo e mettervi in fila per avere un account su www.flattr.com, in attesa del debutto "ufficiale" che avverrà a fine marzo.

Continue reading “Flattr: pagare la gratuità online”

Food not bombs e Howard Zinn

Dicono che sia un movimento vecchio e con un ruolo soprattutto simbolico, ma Food not bombs continua a piacermi. E quelle due critiche sono sempre meno vere. La settimana scorsa a Milano è tornato uno dei suoi fondatori, Keith McHenry, che sta girando l’Europa per il trentesimo (trentesimo!) anniversario di FNB.

Ho saputo della morte di Howard Zinn mentre ero in ufficio con Keith: per lui è stato un lutto. Come aveva raccontato solo la sera prima, Keith è stato un allievo di Zinn alla Boston University e ha cominciato la sua militanza nel movimento pacifista anche grazie alla spinta dello storico americano popolare per eccellenza e a una campagna contro la centrale nucleare di Seabrook in New Hampshire.

Howard Zinn, di cui potete leggere un ricordo del suo periodo italiano sul Manifesto, un suo ritratto tracciato da Alessandro Portelli e un obituary collettivo di Noam Chomsky, Naomi Klein e Alice Walker su Alternet, è l’autore di People’s History of United States (in italiano Storia del popolo americano, Net, 10 euro). Nella sua storia le persone normalmente escluse dalla storiografia ufficiale diventano protagoniste e danno vita a una grande narrazione del ruolo delle persone semplici nella storia degli Stati Uniti.

Tutto torna, e sentire Keith parlare del ruolo (non più simbolico) di FNB a Nuova Orleans dopo l’uragano Katrina – la Croce rossa dava il loro numero per i problemi alimentari, dato che erano gli unici a essere presenti con più di venti cucine popolari nel territorio del disastro – oppure della rinascita, oggi, di un movimento di produzione e scambio di cibo dal basso negli Usa della crisi mi ha fatto riflettere su quanto ancora necessitiamo di raccontare la forza e l’importanza delle masse popolari e dell’autorganizzazione contro il mito delle corporation e dei big men.

La prossima volta che tornerà in Europa non perdetevelo, per quanto vi potrà sembrare solo un vecchio hippie americano, anzi quasi un hobo, un pazzo barbone giramondo, di cose da raccontare ne ha. 

 

Il vero dottor Stranamore

Alla famosa frase di Oppenheimer, che disse la bomba atomica aveva fatto conoscere ai fisici il peccato, il suo arcinemico Edward Teller rispose che piuttosto avevano conosciuto il potere. E al potere questo fisico protagonista del Progetto Manhattan e della successiva corsa agli armamenti è stato sempre vicino. Per esempio, è stato in grado di influenzare le scelte dei presidenti americani sullo sviluppo e l’uso delle armi termonucleari.

Il vero dottor  Stranamore. Edward Teller e la guerra nucleare (Raffaello Cortina, 592 pagine, 36 euro), il libro di Peter Goodchild, come la vita del padre della bomba a idrogeno imponeva, mescola fisica e politica ed è una ricostruzione molto interessante e documentata. Anche se a volte l’autore sembra pendere verso la simpatia per un personaggio così difficile da digerire come Teller, il suo libro è equilibrato nel raccontare gli scontri sostenuti e gli errori commessi, e ha il pregio di tentare di indagare anche gli intrecci di potere che ne hanno avviluppato l’attività.

Teller odiava il paragone con il dottor Stranamore, lo scienziato pazzo protagonista del film di Stanley Kubrick. Eppure fu il maggiore propugnatore dello sviluppo dell’arsenale nucleare americano, lo sponsor instancabile di numerosi test atomici, venne chiamato “il più grande killer della storia americana” e arrivò a proporre di usare la bomba per scavare un nuovo canale di Panama, il Canale panatomico.

Il suo concetto di deterrenza nei confronti dell’Unione sovietica a suon di bombe e scudi stellari gli valse l’odio dei pacifisti, una torta in faccia lanciata nientemeno che da Jerry Rubin (foto sotto) e più in là negli anni un ironico premio IgNobel per la pace “per aver dedicato la vita al cambiamento del concetto di pace quale era stato inteso sinora”. Proprio per questo, al di là delle valutazioni politiche, questo libro è un buon modo per capire quanto la scienza sia lontana dalla proverbiale torre d’avorio e quanto sia invece in grado di entrare nei luoghi dove si decidono i destini del mondo. 

(da Le Scienze di gennaio)