Adam Arvidsson: l’Onda e il web

Come si fa a disgiungere l’Onda, e più in generale i movimenti sociali degli anni 2000, dall’uso del web? Sarebbe come pensare al maggio francese senza i manifesti serigrafati o le scritte sui muri. Da Indymedia ai blog degli studenti in mobilitazione, siamo ormai abituati a leggere e produrre notizie e punti di vista, e a discutere con gli altri su Internet. Nel corso degli ultimi anni articoli, libri, ricerche sul ruolo della rete nei nuovi movimenti si sono sprecati.

Ma sono i media a determinare i movimenti? Che ruolo hanno quindi i blog, Facebook, YouTube e gli altri media collaborativi, cioè quelli che chiunque può produrre gratuitamente dal computer di casa? L’ho chiesto ad Adam Arvidsson, un sociologo che da Copenhagen è arrivato da poco alla Statale di Milano. Arvidsson si occupa di media digitali e comunicazione ma anche del ruolo dei brand nella cultura dei consumi.

La protesta corre sulla rete?
I media che troviamo sul web non sono altro che i media che sono entrati nella pratica quotidiana della nostra generazione, quindi usare Facebook non è poi diverso da usare il telefono: il tempo del feticismo della rete è passato. Non penso che l’uso di internet cambi di molto le dinamiche della protesta. Ovviamente è utile per mobilitare e diffondere informazioni in modo più efficiente del classico volantinaggio, ma non causa cambiamenti radicali.

E questo movimento usa media commerciali invece di produrre i suoi stessi media, come si fece con Indymedia qualche anno fa.
Non so se usare piattaforme commerciali o meno sia molto differente. In fondo le aziende del web 2.0 hanno costruito delle proprietà immobiliari virtuali. Tu crei una piattaforma, per esempio MySpace, che è stata venduta a Murdoch nel 2005 per miliardi e miliardi dollari, genera un cash flow di pubblicità di 16 miliardi di dollari all’anno. Ma questa pubblicità acquista valore in quanto entra nei flussi di comunicazione… si tratta di disturbare un minimo questi flussi di comunicazione per inserire spazi pubblicitari, ma ciò non influisce troppo sull’uso dei media.

Certo, ci sono casi di censura, per esempio YouTube ha censurato alcuni video che possono essere repellenti per alcuni pubblicitari, ma si tratta di fenomeni abbastanza marginali che non influiscono troppo sull’efficienza del media come forma di comunicazione. E poi quando YouTube cercava di censurare i video, subiva una grossa migrazione di video su siti alternativi. Facebook ha un buon potenziale commerciale (anche se non è ancora riuscita a monetizzare) ma probabilmente non ha una grossa influenza sulle dinamiche della comunicazione.

Ci sono anche tentativi di creare brand della protesta. Cosa ne pensi?
C’è l’esempio di Anna Adamolo (anagramma di Onda anomala, la “ministra onda” inventata per diffondersi viralmente nella rete, ndr.), un tentativo di brandizzazione che non ha avuto grosso successo probabilmente perché l’Onda era gia partita e aveva già attirato l’attenzione dei mass media. San Precario o Serpica Naro erano tentativi di produrre un brand politico, cioè creare una comunità di interpretazione prima, che poi poteva creare un movimento diffuso nella società. Non è facile definire cosa sia un brand ma forse potremmo dire che è il tentativo di costruire un movimento virtuale che anticipa un movimento reale. Questo vale sia per un brand politico come San Precario che per un brand commerciale, perché la logica commerciale non è poi troppo diversa.

Il brand funziona quando c’è la necessità di generare una comunità politica, per esempio un gruppo di lavoratori precari dentro le industrie creative che non ha un’identità collettiva precostituita. In quel caso il brand la costruisce a livello culturale, dopodiché i lavoratori possono riempirlo di contenuti pratici e vissuti reali. Il brand commerciale funziona allo stesso modo: il marchio Macintosh crea una comunità virtuale che poi può essere riempita con esperienze pratiche. Nel caso dell’Onda invece si parte da un’esperienza vissuta che si fa movimento e si dà un nome. L’identità collettiva però esiste già, è data dall’essere ricercatore precario o studente universitario.

Il web è uno strumento dei movimenti sociali o li può creare?
Gli strumenti della rete sono un media che può essere usato per creare forme di socialità determinate dagli utenti. Vari media possono dare luogo a forme di socialità diverse: Facebook crea non solo una rete ma una rete fatta da conoscenze dormienti che possono essere attivate in certi momenti. Il media però contribuisce a determinare la socialità creata comunque dagli utenti. Probabilmente nelle proteste dell’Onda sono stati molto più importanti i cellulari, che pero vengono visti come un media vecchio. Eppure diverse ricerche hanno studiato il loro ruolo, per esempio l’uso degli sms per dirigere manifestazioni. È successo a Seattle come nelle Filippine.

Se ci pensate, le manifestazioni dell’Onda non sono molto diverse da quelle del ‘77 o del ’68: gli studenti scendono in piazza, occupano le università, fanno assemblee. Le tecniche usate dal movimento sono le stesse, e questo vuol dire che probabilmente l’infrastruttura mediatica ha avuto un’influenza molto piccola. Non lo dico per criticare l’Onda, ma solo per sottolineare che non bisognerebbe rivolgere tutta l’attenzione solo sul livello mediatico, che forse non è la caratteristica principale di questo movimento.

Intervista uscita sul Manifesto di oggi in versione ridotta