Lunedì 26 marzo ho organizzato un seminario su stampanti 3D e conflitto industriale. Johan Söderberg parlerà di:
A factory for the kitchen table. New industrial conflicts in the social factory
brainwork
Lunedì 26 marzo ho organizzato un seminario su stampanti 3D e conflitto industriale. Johan Söderberg parlerà di:
A factory for the kitchen table. New industrial conflicts in the social factory
La peer review è una forma di valutazione dei progetti di ricerca da finanziare effettuata da un gruppo di “pari”, cioè di esperti indipendenti chiamati a valutare la qualità dei progetti e quindi decidere quali meritino di essere portati avanti. La European science foundation (Esf) ha effettuato uno studio sullo stato della peer review analizzando le pratiche e le linee guida di trenta delle decine di agenzie di finanziamento della ricerca che la compongono. Per l’Italia hanno partecipato il Cnr e l’Istituto nazionale di fisica nucleare. La Esf ha pubblicato così la European peer review guide, che si propone di le organizzazioni che finanziano la ricerca a migliorare i propri processi di peer review.
L’hacking come cultura ma soprattutto come pratica politica. È su questa dimensione del mondo hacker che lavora Gabriella Coleman, antropologa di formazione e professoressa di Media studies alla New York University. Coleman da sempre sottolinea l’importanza di esperienze nate tra le comunità hacker e poi diffuse ai movimenti sociali (do you remember Indymedia?). Inoltre sostiene che gli hacker e le loro modalità di innovazione e di approccio alle tecnologie siano un elemento cruciale delle società basate sull’informazione. Coleman privilegia i gruppi di hacker più direttamente schierati su posizioni libertarie e con i movimenti sociali, che soprattutto da Seattle in poi hanno contribuito allo sviluppo dei movimenti ma anche allo sviluppo commerciale della rete, ed è un’osservatrice privilegiata del rapporto tra comunità hacker e politica, di cui spesso ha messo in luce le ambiguità e le differenze interne agli stessi hacker.
Qual è il ruolo degli hacker nel capitalismo di oggi? Stiamo parlando di una pratica di resistenza collettiva o di una capacità tecnica che viene venduta alle corporation?
Dipende, perché in Europa c’è una tradizione anticapitalista molto più forte legata all’hacking, per esempio in Italia, Spagna o Croazia. Negli Usa questa cultura è molto marginale, esiste ma è minoritaria. Anche se cose come il software libero, che non sono nate per combattere il capitalismo, contengono comunque in se una critica del lavoro alienato, anche se non si tratta di una critica vecchio stile. Possiamo dire che è una critica del neoliberismo, che cerca di privatizzare tutto e che è andato troppo in là. Il free software non viene prodotto sotto una bandiera anarchica ma è comunque una critica vitale e importante.
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A ottobre abbiamo invitato le reti di precari e precarie, collettivi e gruppi che si occupano di lavoro, precarietà e reddito a riunirsi a Milano per gli Stati Generali della Precarietà, 221 anni dopo gli Stati generali della Rivoluzione francese e la deposizione di Luigi XVI, avvenuta il 10 ottobre 1789, così non dite che non puntiamo in alto. L’incontro avrà un carattere aperto, un po’ come un Hackmeeting o un BarCamp: chiunque può proporre un tema, un contributo, e soprattutto un workshop: vogliamo discutere e condividere idee ma anche pratiche e possibili azioni per una nuova stagione di lotte precarie. Dalle risposte che stiamo avendo sin da ora, arriveranno persone da tutta Italia e da mezza Europa.
Sotto copincollo il testo della call. Ci vediamo agli Stati Generali.
Sono in missione per conto di San Precario. E Precarifornia è il mio nuovo Twitter per raccogliere notizie e commenti su lavoro, movimenti e (contro)culture da Los Angeles.
Precarious of the world let’s fight! Saliamo sui tetti del mondo per opporci alla precarizzazione, per rivendicare reddito, diritti e cittadinanza per tutte/i. Il passato sta affondando. Il futuro siamo noi!
Euromayday Parade. Primo maggio 2010. Milano, porta Ticinese, h 15
Il primo maggio 2010 migliaia di persone torneranno nelle strade di Milano per la EuroMayday Parade, per mostrare l’orgoglio, la gioia e la rabbia dei precari e delle precarie. Dal 2001 al 2010, 10 anni d’arretramento dei diritti e delle retribuzioni, 10 anni di lotte e di sacrifici, d’opposizione netta, contro la deriva razzista, contro le politiche intolleranti e securitarie, contro la cultura del profitto che precarizza la vita di ognuno di noi.
Noi che siamo quelli/e che creano la ricchezza, ma che non ne godono se non in minima parte. co.co.co e lavoratori a progetto, esternalizzate e partite iva, invisibili, cassintegrati, instabili e in nero. In 10 anni siamo diventati la maggioranza tra i lavoratori sotto i 40 anni. Nei prossimi 10, complice il liberismo, saremo la maggioranza di tutti i lavoratori.
La crisi ha colpito duro e se possibile ha peggiorato le nostre condizioni di vita. E’ stata usata da imprese e padroni per svendere, ristrutturare e speculare. In molti i casi i lavoratori si sono opposti e le lotte hanno agitato i territori e i luoghi della produzione. Il primo marzo dei migranti, gli operai sui tetti delle fabbriche sono i simboli del dissenso al comando liberista. Ma con loro vi sono mille e ancora mille piccoli atti d’insubordinazione, di disturbo, di contestazione.
La Mayday, dopo dieci anni, testardamente, continua a chiedere il conto, continua a guardare avanti. Incarnando le diverse anime dei conflitti parla con la voce delle rivendicazioni necessarie e possibili. La politica di palazzo ha abbandonato ormai del tutto i problemi del lavoro e dei diritti ma noi continuiamo, ostinate, a reclamare giustizia per tutti e tutte, nativi o migranti, per le generazioni precarie, gli operai, e per quei lavoratori che sono diventati precari nei fatti: cassintegrati, licenziate, esternalizzate, delocalizzati.
Chiediamo continuità di reddito e accesso ai servizi a prescindere dal lavoro che facciamo e dal tipo di contratto che abbiamo o spesso non abbiamo. Reclamiamo i soldi che le aziende, avide e bastarde, continuano a sottrarci. Chiediamo cittadinanza per i migranti. E reclamiamo una scuola pubblica di qualità, un sistema di trasporti sostenibile e popolare, dei saperi liberi, fino ai diritti che non è più possibile legare solo al contratto a tempo indeterminato, come ferie pagate, pensione, malattia, maternità. Vogliamo un nuovo sistema di diritti, un welfare adatto alle nostre vite!
Scenderemo nelle strade con rabbia e con gioia, per riappropriarci della città e far sentire la nostra voce. Saremo una macho free zone, per costruire un immaginario libero dalla cultura machista. Rivendichiamo una produzione culturale alternativa al piattume imperante, e vogliamo diffondere una conoscenza che sia realmente libera, condivisa e accessibile. Denunceremo la stupidità criminale del razzismo leghista e non solo e mostreremo un presente di sorellanza tra nativi e migranti. Proporremo un’idea di futuro con lo spezzone no-oil a pedali e i sound system alimentati a pannelli solari. Diremo no alle speculazioni di Expo 2015, fatte sulla pelle dei cittadini e sui nostri territori martoriati.
Precarie, operai, partite iva, hacker, cassintegrate, studenti, creative, commessi, giornaliste, disoccupati, stagiste – nativi e migranti. Da Dortmund, Ginevra, Amburgo, Hanau, Lisbona, L’Aquila, Losanna, Malaga, Milano, Palermo, Tubingen, Zurigo, Tokio, Toronto e Tsukuba, uniamoci contro la crisi e gridiamo: Mayday Mayday!
Su segnalazione di zotico1.0 sono andato a cercarmi questo famoso Rossi-Focardi paper, "A new energy source from nuclear fusion", in cui il prof Sergio Focardi (foto), fisico credo in pensione, che non risulta più negli elenchi dell’università di Bologna, e l’ingegner Andrea Rossi, entrambi bolognesi, annunciano un rivoluzionario processo (già brevettato) per una fusione fredda a nichel che produce una quantità di energia inaspettata. Se ne sta parlando su alcuni siti e sembra che stia diventando abbastanza conosciuto. Nei forum gira voce (ma non trovo conferme ne sui giornali ne sui siti ufficiali) che i nostri abbiano un finanziamento da DOE e DOD, cioè da due dei principali finanziatori di ricerca scientifica negli USA, il dipartimento dell’energia e quello della difesa.
Dalla gratuità totale, a costo di far imbestialire le major del disco e di Hollywood, ai pagamenti volontari. Una parabola non certo rivoluzionaria, quella di Peter Sunde, uno degli ex admin e portavoce di The Pirate Bay, il sito svedese di peer-to-peer protagonista di gigantesche battaglie legali e innovazione tecnologica e di costumi che è ormai entrato di diritto nella storia di internet. L’ultima creatura di Sunde, che ha abbandonato Pirate Bay già da qualche mese, si chiama Flattr: un gioco di parole tra flat rate, cioè pagamento costante nel tempo a prescindere da quanto si usa un servizio, e flatter, che in inglese significa adulare. E’ ancora una beta version, cioè la versione sperimentale da testare per scoprire eventuali difetti, e per ora funziona a inviti. Ma il nuovo servizio di micropagamenti online è partito. Potete vederlo e mettervi in fila per avere un account su www.flattr.com, in attesa del debutto "ufficiale" che avverrà a fine marzo.
Oggi in edicola c’era il primo numero di un nuovo quotidiano, "Il clandestino". Nasce da un sito web a quanto pare molto visitato e, con una piroetta (in questi tempi di vacche magre per le vendite dei giornali), si lancia in un’edizione cartacea. Il bello è che gli editori sono i Caso, tristemente noti per vicende editoriali finite male, fallimenti seriali e strambe avventure imprenditoriali in sudamerica.
L’esempio migliore è Dieci, il quotidiano sportivo uscito per pochi mesi nel 2007 e chiuso dopo aver lasciato a casa senza pagare gli stipendi i giornalisti, e Globo, altro foglio con una storia simile. Materiale per tribunali più che per edicole.
Ci si chiede come sia possibile che editori che devono restituire migliaia di euro a lavoratori e credo anche fornitori possano aprire un ennesimo giornale. Se volete leggere un po’ cosa ne pensano i diretti interessati, guardate i commenti all’editoriale di lancio del giornale, farciti di persone che rivogliono i loro soldi! E fate in fretta perché stanno cancellando i commenti più scomodi (temo dovranno cancellarli tutti se va avanti così). Questo, per esempio, l’hanno già cancellato:
"E’ una vergogna che un bandito come Caso possa ancora uscire in edicola con un quotidiano dopo i fallimenti con Globo e Dieci. UNA VERGOGNA che un editore che regolarmente non paga i propri dipendenti (oltre ai fornitori) possa continuare a fare quello che vuole. Questa è l’Italia, scrivetelo sul Clandestino. Ah, piccolo inciso, il giudice ha stabilito che i Caso mi devono 13mila euro: vengo a prenderli da voi?"
Ed è solo uno dei tanti. Oppure potete leggere qualcosa sulla vicenda di Dieci sul blog Te lo do io dieci, fatto dai giornalisti trombati. Certo, la redazione del Clandestino non c’entra nulla con le magagne dei suoi editori. Anzi, meglio se stanno attenti al portafogli anche loro! Vedremo se e come risponderanno ai lavoratori trombati dai Caso. Interessante anche il sito della loro azienda, la Giornali e Associati Spa: in allestimento, manco a farlo apposta.
Tra l’altro ultimamente nuovi quotidiani ne sono usciti una cifra: in questo momento mi vengono in mente L’altro (pardon, Gli altri) di Sinistra e libertà, Terra dei Verdi o di quel che ne resta, e Il fatto di Padellaro e Travaglio. Alla faccia del mercato asfittico italiano. Scommettiamo che l’anno prossimo la maggior parte chiuderà? E il Clandestino, che come grafica, progetto editoriale e contenuti è di gran lunga il peggiore, lo vedo in pole position.
E’ uscito anche in italiano, per Feltrinelli, il libro di Matt Mason, e finalmente potete leggervelo. Punk capitalism è il titolo scelto in Italia; in origine era The Pirate’s Dilemma e l’avevo recensito per il Manifesto. La recensione la trovate sul blog, e ora aggiungo anche l’intervista fatta all’autore e pubblicata su Repubblica.