La scienza dei Simpson

La prima domanda che ci si fa, quando si vede La scienza dei Simpson. Guida non autorizzata all’Universo in una ciambella (Sironi, 192 pag., 16 euro), è: ancora Simpson? Anche la scienza? Ci avete già dato tutto, dalle tazze per far colazione alle figurine, fino al libro sulla filosofia dei Simpson. Ci voleva anche la scienza?

Poi, quando si comincia a leggerlo, si resta impressionati dalla quantità e dalla qualità della scienza che è entrata nel cartone animato più bello del mondo. Tanta, sin dalla prima puntata. Un sacco di scienziati famosi, a partire da Stephen Jay Gould e Stephen Hawking, sono diventati gialli e hanno partecipato a qualche episodio.

Poi ci si addentra nella lettura e si scoprono le mille citazioni nascoste, le strizzate d’occhio, le chicche e i "lo sapevate che…"A quel punto (siamo alla terza pagina) si avvia eMule e si cominciano a scaricare gli episodi segnalati, per vedere se davvero i Simpson hanno dimostrato il teorema di Fermat e se davvero Homer ha detto, in pieno delirio sociocostruzionista, che "i fatti sono insignificanti. Puoi usare i fatti per dimostrare qualunque cosa che sia vagamente vera. Che ci fai coi fatti?" Ma arriva il momento in cui ci si rende conto che c’è un limite a tutto, anche alla propria anima nerd.

Allora si riprende in mano il libro perché insomma, uno vuole capire cosa ne pensa Marco Malaspina, della scienza dei Simpson. La risposta è semplice: la scienza con cui si confrontano, si scontrano, si azzuffano i Simpson è esattamente quella con cui abbiamo a che fare noi, ogni giorno: strana, magica, incomprensibile, rompiscatole. Anche se non lavoriamo in una centrale nucleare e non siamo uno degli sceneggiatori cervelloni che riempiono un cartone animato di citazioni incomprensibili sulla teoria dell’evoluzione o sulla psicologia comparata.

Heathrow: siamo armati solo di scienza

armedwithpeerreview2.jpgAll’aeroporto londinese di Heathrow il Climate Action Camp della settimana scorsa ha dato vita a un movimento ecologista che ritiene che per salvare il mondo sia indispensabile un cambiamento sociale.

Guardate la foto qui a fianco. Gli attivisti marciano verso Heathrow sotto uno slogan esplicito: «siamo armati solo di scienza sottoposta a peer review». Quella che da anni avverte, sempre più compatta, che la catastrofe climatica si avvicina, e che la colpa è della CO2 prodotta dalle attività umane. Cui contribuiscono in misura crescente le emissioni dovute al traffico aereo, un settore in esplosione irrefrenabile.

Dal campo, organizzato secondo principi di risparmio energetico, vegano e alimentato da pannelli solari, ci arriva un nuovo esempio di uso diretto delle conoscenze scientifiche da parte di movimenti sociali. Avevate mai visto un corteo che invece del Libretto rosso di Mao sventola le pagine del rapporto su traffico aereo ed emissioni pubblicato dal Tyndall Center for Climate Research? Un movimento che fa un uso più smaliziato dei dati scientifici, certo, ma che non fa che mettere in atto quello che (quasi) tutti i governi del mondo si guardano bene dal fare, sotto alla cortina fumogena dei proclami ambientalisti.

Ma la salvezza non verrà certo dal nuovo business del carbon offset, denunciato occupando e bloccando le sedi di Climate Care Oxford e Carbon Neutral Company a Londra. Quello che reclamano dal Climate Camp, infatti, è qualcosa di più di una riduzione cosmetica delle emissioni: «Social change, not lifestyle change». E dal sound system a pedali del campo uscivano queste parole: «Non solo un cambiamento del clima, ma anche un clima di cambiamento».

Jon Turney: scienza, libri… e Frankenstein

Science writer, editor, insegnante di scrittura saggistica creativa all’Imperial College di Londra, Jon Turney è innanzitutto un amante della scienza narrata, immaginata, rappresentata, come testimonia il suo blog.

La sua passione è esplorare il confine artificioso tra le due culture, scientifica e umanistica, attraversandolo e ibridandolo, parlando di scienza anche tramite la letteratura e il cinema. Su quel confine si muove infatti l’unico libro di Turney pubblicato in Italia: Sulle tracce di Frankenstein. Scienza, genetica e cultura popolare (Einaudi, 360 pagine, 19 euro), una ricerca negli immaginari della modernità della figura del mostro inventato da Mary Shelley.

Non è un caso, secondo Jon Turney, che sia possibile ripercorrere la storia della biologia degli ultimi due secoli leggendo i romanzi, i testi teatrali, le pubblicità che hanno interpretato e stimolato i timori e le speranze legati alla manipolazione tecnoscientifica dei viventi. A partire da un libro che ha saputo reinventarsi e tramandare fino ai nostri giorni una figura, quella dello scienziato come moderno Prometeo, che oggi sopravvive insieme a mille altre immagini popolari della scienza.
Si parla di scienza in tantissimi media: film, internet, televisione, pubblicità. Nel Ventunesimo secolo c’è ancora un ruolo per i libri?

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Operazione: Pretofilia. Sia fatta la sua Volontè

La censura dell’integralismo cattolico si abbatte sui videogame ma si scontra con la forza della rete. Dopo l’intervento della delirante Lega anti-diffamazione cattolica e dopo l’interrogazione parlamentare di Luca Volontè dell’Udc, Molleindustria ha ritirato dal sito il suo nuovo videogame, Operazione: pretofilia.
Orrore, il gioco era un atto d’accusa contro le politiche di copertura del Vaticano nei confronti dei preti pedofili.

Come sempre succede, molti altri siti hanno deciso di pubblicare il gioco per aggirare le censure dall’alto, tra cui diversi blog della piattaforma NoBlogs di A/I.
Ma nella notte tra il 2 e il 3 luglio Dio ha telefonato in America, convincendo i gestori del server a oscurare tutta la piattaforma NoBlogs, vale a dire centinaia di blog, non solo quelli che mirroravano il gioco.

I risultati sono stati tre: testare il funzionamento del Piano R* di Autistici, una rete di server sparsi per tutto il mondo sviluppata proprio per resistere ad attacchi di questo tipo: dopo poche ore NoBlogs era tornato in piedi; verificare che (come hanno confermato gli avvocati del server Usa) il gioco in questione non aveva nulla di illegale, cioè non rappresentava nessuna istigazione alla pedofilia – casomai la metteva all’indice; aumentare ancora di più la fama e la diffusione del gioco, che ora potete trovare sul sito di Volontè, ma anche qui, qui, qui, qui, ecc

Addio, triste mercoledì!

Ieri è morto Kurt Vonnegut. Aveva ottantaquattro anni.

Chissà se lo rivedremo sul pianeta Tralfamadore con Kilgore Trout.

Queste parole le ha rivolte agli altri scrittori di fantascienza:

Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni

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Il giro del mondo di Craig Venter

Torna Craig Venter, lo scienziato/imprenditore per eccellenza, il direttore del consorzio privato che nel 2000 sequenziò il genoma umano.

Ora ha pubblicato su PLoS Biology parte dei risultati della spedizione attorno al mondo del Sorcerer II, la sua barca a vela: metà laboratorio galleggiante e metà corazzata comunicativa, il Sorcerer (stregone) per due anni ha fatto il giro del mondo raccogliendo e catalogando genomi batterici sconosciuti. Una sciocchezza come sei milioni di nuovi geni, migliaia di nuove famiglie di proteine, un database genomico tra i più grandi del mondo, che ora è stato riversato su un database open e potrà essere utilizzato da chiunque.

Alla Global Ocean Sampling Expedition, però, non hanno partecipato soltanto biologi abbronzati. Alla partenza, il Sorcerer ha imbarcato una troupe di Discovery Channel, che vi ha girato un documentario intitolato Cracking the Ocean Code, oltre a diversi giornalisti. L'abilità comunicativa di Craig Venter ha creato un'impresa scientifica nella quale le esigenze scientifiche e quelle comunicative sono strettamente legate. Non si tratta semplicemente di pubblicizzare una ricerca scientifica. La scienza del Sorcerer II è determinata direttamente dalla possibilità di produrre immaginari: il viaggio, la scoperta, il nuovo Darwin. La ricchezza della vita, la frontiera, l'impresa eroica. «Cambieremo il corso dell’evoluzione! E per il bene dell’umanità eviteremo la catastrofe planetaria!»

Qui la mappa del viaggio del Sorcerer II

Qui un articolo più ampio uscito il 5 aprile sul Manifesto

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Manca la parola «evoluzione»

C’è chi si diverte a contare quante volte compare la parola «evoluzione» nelle riviste scientifiche. Uno studio apparso su PLoS Biology ha verificato l’uso del termine in trenta articoli, tutti sulla resistenza batterica agli antibiotici.

Il risultato è piuttosto netto: le riviste di biologia evoluzionista, come Evolution o Genetics lo usano molto più spesso di quelle mediche come Lancet o New England Journal of Medicine. Queste ultime usano più spesso parole come «emergere» o «diffusione» del carattere della resistenza agli antibiotici.

Eppure questo è uno dei meccanismi evolutivi meglio studiati e meno controversi. Secondo gli autori dello studio non c’è malafede. Semplicemente i ricercatori in discipline mediche usano termini più comuni, che spiegano meglio quello che accade in una popolazione batterica. Oppure considerano l’evoluzione un meccanismo lento e graduale, mentre la resistenza agli antibiotici è rapidissima.

Il problema è che è bastato controllare i media generalisti per accorgersi del fatto che c’è una correlazione diretta tra l’uso della parola «evoluzione» in un articolo scientifico e nella notizia che lo diffonde, per esempio, sul New York Times o sulla Bbc. Insomma, se nelle tue ricerche scrivi «evoluzione» probabilmente anche i giornalisti scriveranno «evoluzione» più spesso. Di questi tempi non può far male.

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Il pitbull delle public relations

Gli editori delle riviste scientifiche hanno paura dell’open access. Non sarebbe una gran notizia se non fosse che sembra che abbiano incaricato Eric Dezenhall, il cosiddetto Pitbull dei PR, di aiutarli a opporre resistenza alla marea del movimento open.

La notizia l’ha data Nature qualche giorno fa, affrettatevi a leggerla finchè è gratis.

Si dà il caso che Eric e la sua Dezenhall Resources siano specializzati in operazioni di public relation, diciamo, per risollevare le sorti mediatiche di personaggi famosi o corporation in difficoltà. C’era lui dietro ai soldi che la ExxonMobil spendeva per screditare Greenpeace, almeno così sostiene Business Week. Il nostro ha lavorato anche per Enron, per le multinazionali del farmaco eccetera. La sua missione è «disseminare ‘buone notizie’ per proteggere la reputazione e le attività di chi deve fronteggiare accuse gratuite o pericoli».

Ecco perchè Elsevier e la Association of American Publishers, insomma i più grandi editori di riviste scientifiche, si affidano a lui per rispondere alla minaccia dell’open access. La strategia di Dezenhall è semplice: sostenere che «open access è uguale a censura governativa» e «dipingere un mondo senza articoli sottoposti a peer review».

Purtroppo le persone intervistate da Nature non hanno rivelato la quantità di denaro che sarà impiegata nelle future operazioni di public relations anti open access.

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