Science Commons: copyleft e database

Il nuovo numero di Jcom, il Journal of Science Communication pubblicato dalla Sissa e di cui sono da pochissimo uno degli editor, contiene un commentario su scienza e rete. Lo segnala anche il blog di Science Commons, il cui direttore John Wilbanks ha partecipato con un articolo sull’uso delle licenze open nella scienza. Secondo Wilbanks, l’uso di licenze mutuate dal mondo del software free/open non è sempre adeguato alle necessità di integrazione della scienza, cioè di apertura alla collaborazione, al riutilizzo e al riadattamento delle conoscenze. Meglio che i dati vengano esplicitamente riversati nel dominio pubblico, per esempio per mezzo della licenza CC0 che Science Commons sta sviluppando e che prevede la rinuncia a qualsiasi tipo di rivendicazione sui dati.

Una nota: l’articolo di Wilbanks è stato pubblicato, su sua esplicita richiesta, sotto licenza Creative Commons 3.0. Già, perché Jcom è una rivista open access ma non ha una politica di licenze aperte. Stiamo rimediando, lo giuro! Aspettate il prossimo numero…

Genoma open access… per le bistecche

Genomica nel piatto: i consumatori non vogliono mangiare carne e latte di animali clonati, ma senza un’etichettatura adeguata come risalire ai processi di produzione degli alimenti? Come distinguere una braciola clonata da una normale?

La soluzione l’ha proposta Patrick Cunningham, consigliere del governo irlandese per la scienza, al meeting della American
Association for the Advancement of Science (AAAS): pubblicare i dati genetici di tutti gli animali clonati e renderli accessibili a chiunque, per favorire la tracciabilità degli alimenti. Nel suo intervento, intitolato "Dolly for Dinner", Cunningham ha specificato che in questo modo produttori e venditori attenti alle esigenze dei loro clienti potrebbero usare un sistema di tracciabilità genetica per confrontare il dna delle carni con quello pubblicato sui database.

Per esempio, i supermercati potrebbero comprare il sistema di tracciabilità sviluppato da IdentiGEN, una impresa irlandese di cui Cunningham è fondatore e presidente, che ha aperto da pochi mesi i suoi uffici e laboratori negli Stati Uniti.

Qualcuno scarica – tutti pagano – qualcuno guadagna

L’associazione dei cantautori canadesi ha proposto di introdurre una licenza collettiva, il “Diritto di equa remunerazione per la condivisione di file musicali”. Si tratterebbe di legalizzare lo scambio di file coperti da copyright per mezzo dei sistemi peer to peer. In cambio, si applicherebbe una tassa una tantum di 5 dollari su ogni connessione internet canadese, i cui proventi sarebbero poi distribuiti ai detentori dei diritti d’autore.

Secondo gli estensori della proposta, “il file sharing è un fenomeno positivo perche aiuta a diffondere la musica, anche quella meno famosa, ma bisogna fare in modo di retribuire adeguatamente chi la produce”. Il problema, che sta alimentando le critiche dei blog di mezzo mondo, è che da una parte ci sono moltissimi di utenti di internet che non scaricano musica, e che sarebbero colpiti comunque da questa tassa. Inoltre, una volta retribuiti i musicisti (o meglio, le case discografiche), bisognerebbe pensare anche a chi produce film, software, libri… insomma, tutto ciò che si puo scaricare gratuitamente dalla rete. Un rapido calcolo porta la tassa a un paio di migliaia di dollari all’anno per ogni connessione internet.

L’Olanda inventa il Free Knowledge Institute

Lo sentiamo dire da anni: l’Europa si candida a diventare leader della società della conoscenza, un’espressione di cui la politica si riempie la bocca spesso. Dietro ai buoni propositi tuttavia si nascondono diverse visioni dei modi per allargare il più possibile la circolazione delle conoscenze.

La Internet Society of Netherlands, agenzia pubblica olandese, ha cercato di fare un piccolo passo avanti dando vita al Free Knowledge Institute (FKI), una fondazione che si dedicherà ad ampliare le possibilità di scambiarsi le conoscenze attraverso internet. Innanzitutto promuovendo lo sviluppo di software libero, quello che si basa sulla collaborazione degli utenti della rete e che tutti possono usare o modificare a piacimento (come Linux insegna).

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Answers Research Journal: la scienza della creazione

Lo so, lo so, LO SO che non bisognerebbe far loro pubblicità gratuita, ma la rivista scientifica sulla creazione è troppo divertente. Una rivista con tutti i crismi, sottoposta a peer review. Answers Research Journal è multidisciplinare, e invita esperti di teologia, storia, archeologia, antropologia, biologia e chi più ne ha più ne metta a proporre i risultati delle loro ricerche che  "dimostrino la validità del modello della terra giovane, il diluvio universale, l’origine non-evoluzionista del creato e altre evidenze coerenti con il racconto biblico delle origini".

Il primo numero si apre con un’interessantissima ricerca sui batteri nei giorni della creazione: la bibbia, per ovvii motivi (non se ne conosceva l’esistenza) non ne parla. E’ un bel problema, e non vi dico i risultati degli studi di Alan Gilles, autore anche di un fortunato libro sull’argomento. In più, anche se ARJ non prevede una licenza Creative Commons, la
possibilità data a tutti di consultare gratuitamente tutti gli
articoli, per non parlare di quella di copiare, citare, distribuire a
scopi non commerciali ne fanno una rivista open access in piena regola. Meglio di Nature, da cui ho preso la notizia della nascita dell’ARJ.

Thomas Pogge: brevetti sui farmaci 2.0

Il Manifesto pubblica una lunga intervista a Thomas Pogge, filosofo di Yale e motore di Patent2, un progetto per cambiare il regime internazionale dei brevetti secondo un principio di equità dell’accesso alle cure. Cioè a favore dei paesi più poveri, quelli che non possono permettersi le costose licenze sui farmaci e quelli in cui imperversano le "malattie dimenticate", che non hanno un "mercato" nei paesi ricchi.

L’idea di Patent2 è "alterare gli incentivi all’innovazione ricompensando i proprietari di brevetti in proporzione all’impatto sanitario globale dei loro prodotti. In cambio, ne permetteranno la produzione, distribuzione e vendita". Un sistema di incentivi a livello globale che premi chi investe nelle malattie più diffuse e permette a tutti di fruire delle sue scoperte senza avere un ritorno economico diretto.

Pogge non nasconde le difficoltà tecniche, economiche e politiche della sua proposta, in un settore che non vede certo di buon grado le regole sovranazionali (sempre che non vadano a favore delle aziende, come nel caso degli accordi Trips). Viene da chiedersi: una volta raccolto il (molto) denaro per far funzionare il sistema di Patent2, non sarebbe più semplice e trasparente investirlo in ricerca pubblica, rilasciando i risultati sotto licenze aperte, cioè donandoli a chi li vuole utilizzare?

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Nature: il genoma umano Creative Commons

I beni comuni della scienza si allargano? Nature ha annunciato che rilascerà sotto licenza Creative Commons tutti gli articoli relativi al genoma umano. Grazie alla licenza Creative Commons 3.0 gli utenti sono ora liberi di copiare, distribuire, adattare gli articoli, purché a scopi non commerciali, citando la fonte e utilizzando la stessa licenza.

I dati genomici erano già depositati su database accessibili, ma ora lo saranno anche i paper scientifici, che come dice BoingBoing sono "una parte vitale della scienza". Nature riconosce che hanno uno status speciale dato che "rappresentano una risorsa chiave e fondamentale per la ricerca" e anche se anche alcuni paper di altre discipline hanno queste caratteristiche "il carattere fondamentale del genoma ha spinto Nature a fare un’eccezione sistematica" per i paper che lo riguardano.

George Church partecipa al genomics X PRIZE

George Church, genetista di Harvard, leader del Progetto Genoma Umano e fondatore della start-up biotech Codon Devices è entrato in uno dei team che gareggiano per vincere l’Archon X PRIZE, una gara da 10 milioni di dollari per il primo che sequenzierà cento genomi umani in 10 giorni per meno di 10.000 dollari l’uno.
Il Personal Genome X-Team di Church include un ingegnere aerospaziale, un fisico, un genetista e diversi bioinformatici.

Inoltre, per la felicità di Wired, George Church è un “Open Source Junkie”, un tossico dell’Open Source, e metterà in rete, liberamente disponibili per chiunque, la nuova generazione di sequenziatori genomici che nasceranno dal suo X-Team, per incoraggiare la cooperazione e fare in modo che tutti abbiano la possibilità di accedere al sequenziamento a basso prezzo.
E’ quello che fa anche con il suo Personal Genome Project, nel quale ha raccolto 10 volontari che hanno autorizzato la pubblicazione open del loro genoma sul web.

The Liberazione Papers

codice-binario.jpgPer tutto il mese di agosto ho tenuto un paginone settimanale su Liberazione, dedicato a scienza, rete, movimenti, sviluppo…

Si partiva con la scienza collaborativa online, aperta e orizzontale, per passare a Second Life (il giorno di ferragosto, cosa c’è di più adatto all’ombrellone?) e alla ristampa di Snow Crash di Neal Stephenson (Rizzoli, 551 pag, 11,60 euro), il romanzo che ha inventato il Metaverso.

Passata la sbornia di mojito e crema solare si arriva al rapporto, spesso ma non sempre conflittuale, tra scienza e movimenti, per concludere oggi con i problemi legati allo sviluppo: quale scienza e quale tecnologia per i paesi poveri?

Philippe Aigrain: Causa Comune

In bilico tra bene comune e oggetto di appropriazione privata, l’informazione è al centro dell’interesse di Philippe Aigrain, un ricercatore che ha lavorato alla Commissione europea nel campo delle politiche a sostegno del software libero e open source.

Oggi Aigrain dirige Sopinspace, un’azienda che progetta software per gestire spazi pubblici di dibattito. Nel suo libro Causa Comune (Stampa alternativa, 200 pp, 16 euro, scaricabile gratuitamente dal sito della casa editrice) Aigrain chiede che le istituzioni diano a quelli che definisce «beni comuni informazionali» – non solo software ma anche sequenze genetiche, contenuti web, risorse educative libere e accessibili – garanzie di legittimità e autonomia, per impedire l’appropriazione privata e allargarne l’uso a tutti. Si tratta di un problema politico ma anche economico, se è vero che l’informazione è diventata uno dei principali motori dello sviluppo anche grazie alla produzione cooperativa, come insegnano Wikipedia e altri mille esempi di condivisione aperta.

Perché la scelta di difendere i beni comuni informazionali?
Questi beni, come il software libero, i contenuti Creative Commons o l’editoria scientifica open access, sono importanti perché sono a disposizione di tutti, ma anche per il metodo collaborativo che prevedono. Yochai Benkler (autore di La ricchezza della Rete, ndr) ha dimostrato che questo tipo di collaborazione non commerciale è più efficiente rispetto ai classici approcci proprietà/contratto/transazione monetaria.

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