Grazie Zoescope
Un altro target di Israele: i media
La Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ) continua a protestare contro le condizioni inaccettabili cui sono sottoposti i media durante l’attacco a Gaza. Eravamo ormai abituati a giornalisti embedded e al bombardamento delle sedi radiotelevisive dalle guerre contro Ex-Jugoslavia, Afghanistan e Iraq. Ora si aggiunge il divieto, imposto con le armi dall’esercito israeliano, di raggiungere le zone di guerra, e quindi di raccontare al mondo in modo indipendente quello che succede in questi giorni di massacri e distruzioni. Secondo Robert Fisk, celebre inviato in Medio oriente dell’Independent, questa mossa potrebbe essere un boomerang per Israele, e un vantaggio per Hamas. Di certo non è un vantaggio per la popolazione palestinese, sottoposta a bombardamenti criminali che non vengono documentati dai media.
E non è un vantaggio per la libertà di stampa: secondo Aidan White, segretario generale della IFJ "ogni giorno che passa assistiamo a continue e ciniche violazioni della libertà di stampa e dei diritti dei giornalisti che cercano, in condizioni difficili, di informare su quello che succede a Gaza. Secondo le nostre informazioni i media all’interno di Gaza sono obiettivi dei soldati israeliani, mentre si impedisce l’accesso dei media esterni" dato che Israele ha attaccato più volte mezzi con la scritta Stampa o TV, oltre ad aver distrutto gli uffici di Al Aqsa Television (mentre scrivo, ovviamente, il sito non funziona). Il Sindacato palestinese dei giornalisti parla anche dell’arresto da parte di Israele di un reporte di Al-Alam TV che lavorava a Gaza, e Reporter senza frontiere documenta l’arresto di due giornalisti a Gerusalemme.
Mentre la IFJ parla di "cinismo", "oltraggio" e "intimidazione", l’Associazione della stampa estera di Gerusalemme cerca di trattare con le forze israeliane perché smettano di opporsi alla decisione della corte suprema, che ammette l’ingresso di 8 (otto) giornalisti a Gaza. Anche questo inaccettabile, secondo IFJ: "è necessario rifiutare che l’accesso sia controllato, organizzato e supervisionato dalle autorità israeliane". Aidan White insiste nell’affermare che "non è possibile che una sola delle parti decida chi ha diritto a entrare e in che circostanze. I giornalisti devono poter viaggiare e lavorare in libertà e senza il controllo da parte dei militari".
Dirty War Index: monitorare la guerra sporca
Ridurre la guerra e le sue vittime a numeri è sempre un’operazione pericolosa. Ci provano, su una rivista seria come PLoS Medicine, due ricercatori britannici che propongono di monitorare i risultati delle guerre usando il DWI, Dirty War Index. Per calcolarlo, bisogna scegliere un tipo di vittima "illegale" del conflitto, poniamo i civili uccisi, e calcolarne la percentuale sul totale dei morti. Più si avvicina a 100, più indica un conflitto che viene combattuto con mezzi criminali.
Non so, però, se davvero utilizzare un indice come questo – simile ad altri come l’Indice di sviluppo umano o quello che misura la corruzione – potrebbe "mettere in dubbio la reputazione, la legittimazione, le risorse future o lo stesso potere" dei leader politici e militari che conducono una guerra, come dicono Hicks e Spagat, gli autori del DWI. Certo, essi "non vogliono solo vincere. Vogliono anche avere un’autorità morale superiore". In questo momento a Gaza i calcoli sui bambini palestinesi uccisi o sugli edifici civili colpiti darebbero un Dirty War Index infamante per Olmert, Livni e l’esercito israeliano.
Ma la politica non è matematica. I leader criminali di Israele sventolando lo spettro di Hamas riescono a giustificare il bombardamento indiscriminato di aree urbane densamente abitate, di moschee, addirittura di edifici ONU e strutture sanitarie di organizzazioni straniere. Intanto il loro consenso elettorale cresce, e le speranze per un futuro accettabile per il popolo palestinese sono carbonizzate sotto le bombe.
Raid Gaza! Il videogame
Rilancio da Molleindustria la segnalazione di questo nuovo instant game: RAID GAZA!
Raid Gaza!
è un gioco semplice e diretto perchè, a volte, per interpretare gli
eventi non servono particolari sofisticherie e relativismi. Ora più che
mai appare chiaro che Israele non ha alcun interesse a perseguire una
soluzione pacifica al conflitto Israelo-Palestinese. In fondo chi mai
accetterebbe compromessi con una potenza militare senza paragoni, il
supporto incondizionato degli USA ed un’economia che marcia su tecnologie militari e sicurezza?
Questo semplice non-dilemma è alla base del gioco online. Raid Gaza!
rappresenta alla perfezione l’asimmetria del conflitto in corso,
solletica le pulsioni militariste del giocatore e lo spinge ad
interrogarsi sulle sue azioni. E’ davvero così divertente sparare a dei
pesci in fondo un barile?
Alta velocità ma non per tutti
Trenitalia ha pubblicato il nuovo orario: dal 14 dicembre entra in servizio il Frecciarossa, treoremmezza da Milano a Roma, e gli altri treni devono cedere il passo. Come previsto da anni dai critici dell’Alta velocità, il tempo risparmiato da chi potrà permettersi i treni ultraveloci (che tra l’altro paghiamo tutti, e profumatamente) viene compensato con ritardi per la massa di pendolari che coprono brevi distanze tutti i santi giorni per andare al lavoro.
Tradotto: il manager e l’onorevole faranno Piacenza-Roma in due ore una volta al mese. L’impiegato, Piacenza-Milano in un’ora e rotti tutti i santi giorni: la novità infatti è che circa metà dei treni che usa quotidianamente impiegheranno cinque minuti più di prima per portarlo a Milano Rogoredo al mattino e poi a Piacenza alla sera. Che in Val di Susa non fossero proprio solo dei montanari contrari al progresso? Vabe’, la consolazione è che possiamo dire "noi l’avevamo detto". Spero non mi sentano i pendolari piacentini.
Oiligarchy, gioca alla civiltà del petrolio
Oiligarchy, il nuovo videogioco di Molleindustria è appena uscito in italiano. Sulla scia di McDonald’s videogame, anche stavolta siamo nei panni di una multinazionale senza scrupoli. Estrarre petrolio è solo una parte del gioco: bisogna anche corrompere i politici, eliminare gli oppositori, far crescere il prezzo del barile e nascondere la catastrofe ecologica. E naturalmente far scoppiare la guerra in Iraq, che una volta iniziata non ci lascia che un’unica opzione: aumentare le truppe. Per provarlo clicca qui.
Come sempre è semplice e molto giocabile ma complesso per le tematiche che affronta. Per leggere le idee di Paolo di Molleindustria sul disastro, il picco del petrolio e la fine del mondo, leggetevi i suoi imperdibili "Spunti per una teoria unificata del collasso".
Apocalypse Nerd! (Apocalisse ora!) – Peter Bagge
E va bene, Bush non c’è più, e con lui la sua cricca di guerrafondai e la loro lista di stati canaglia da cui il “mondo libero” doveva aspettarsi di tutto. Però nel 2003 un portavoce della Corea del Nord, uno dei paesi più cattivi e impuniti dell’Asse del Male, tanto per far capire al governo Usa di rivolgere i propri bombardieri da un’altra parte (si decise per l’Iraq, do you remember?) aveva dichiarato che il suo paese era in grado di colpire Seattle con un ordigno nucleare. La stampa americana non ci fece troppo caso, ma Peter Bagge, il fumettaro underground che vive proprio nella Emerald City della costa ovest degli Usa, si era un po’ impressionato. Come sarebbe stato sopravvivere in una Seattle nuclearizzata?
La risposta l’ha disegnata nel suo Apocalypse Nerd! (tradotto in italiano con un meno efficace Apocalisse ora!, Magic Press, 120 pagine, 10 euro), il suo ultimo fumetto in cui un nerd, cioè uno smanettone informatico tutto occhiali e mouse si ritrova nei boschi dello stato di Washington, profugo nucleare e orfano della civiltà a cercare di sopravvivere in un ambiente ostile e pieno di nemici. Tutto comincia con una semplice scampagnata tra le montagne e i boschi del Nordovest americano, per staccare per un paio di giorni dalla tastiera, dalla fidanzata che lo ha mollato e dai ritmi della città. Il problema è che Kim Jong Il, il cattivissimo leader nordcoreano che odia gli uomini capelloni ha lanciato la bomba atomica su Seattle, riducendola a un inferno invivibile da cui scappano migliaia di profughi radioattivi.
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Priscilla Wald: Contagio
Il contagio e i suoi significati simbolici, che emergono nei resoconti dei giornali, nel modo in cui la cultura popolare, i film e i media raccontano lo scoppio di un’epidemia o la diffusione di una malattia infettiva. Sono questi i temi di cui si occupa Priscilla Wald, del dipartimento di Women Studies della Duke University, nel suo ultimo libro, uscito da poco negli Usa e intitolato Contagious: cultures, carriers, and the outbreak narrative (Contagio: culture, portatori e la narrativa sulle epidemie, Duke University Press). L’ho incontrata a Seattle e le ho chiesto di spiegare i risultati della sua ricerca in profondità nella cultura popolare americana e nei resoconti che riguardano le malattie infettive, i contagi, le epidemie.
Di cosa parliamo quando parliamo di contagio?
Il contagio è più che un fatto epidemiologico. La circolazione dei microbi materializza la trasmissione delle idee e gli spostamenti delle persone, rendendo visibili le interazioni sociali delle nostre comunità e raccontando la storia nascosta di chi è stato dove e quando, e cosa ha fatto. E le narrazioni sulle epidemie nei media e nella cultura popolare seguono una trama tipica, che inizia con l’identificazione di un’infezione emergente, parla delle reti globali sulle quali si sposta e termina con il suo contenimento. Queste storie però hanno delle conseguenze. Stigmatizzano gruppi di persone, comportamenti e stili di vita. Pensiamo al modo in cui i migranti che arrivavano negli Stati Uniti all’inizio del ventesimo secolo, dall’Italia, dalla Russia, erano stigmatizzati in base alle malattie. Certo, ogni individuo che entra in una nuova comunità porta nuovi germi al suo interno, questo è vero. Ma l’idea che i migranti fossero una minaccia nazionale, cosa che veniva detta in quel periodo, non era vera. Inoltre, l’idea che chiudere le frontiere fermerà la malattia non è sempre valida: i microbi e i virus non rispettano i confini, e i portatori della malattia possono essere turisti, viaggiatori, non solo migranti.
Il tofu causa… mmm… cosa volevo dire?
Secondo uno studio ripreso pochi giorni fa dalla BBC, un consumo elevato di tofu aumenta il rischio di perdere la memoria. Lo dicono ricercatori che hanno studiato 719 anziani giavanesi che mangiano tofu tutti i santi giorni, e che avevano meno memoria della media, soprattutto quelli di più di 68 anni. In realtà non si sa se la causa è dei folati o dei fitoestrogeni (vegetali, ma simili ai nostri ormoni) contenuti nel tofu o addirittura alla formaldeide che viene usata come conservante in Indonesia.
Così risponde anche la Vegetarian & Vegan Foundation, che oltretutto sottolinea come il rischio di demenza senile aumenti piuttosto con il consumo di carne, sia perché i cannibali sono più soggetti a obesità, sia perché c’è chi dice che l’Alzheimer sia dovuto a un prione, un po’ come la cara vecchia Mucca pazza. Io intanto, per ricordarmi l’aperitivo vegano di stasera, ho dovuto mettermi un promemoria sul cellulare.
Una vacanza nucleare
Stufi dei soliti viaggi organizzati, Nathan Hodge e Sharon Weinberger hanno scelto un itinerario esplosivo. Una vacanza tra moglie e marito, che li ha portati in giro per il mondo nei luoghi simbolo della bomba nucleare. Il deserto del Nevada, dove si sperimentavano le atomiche, le città fantasma sovietiche, i siti di arricchimento dell’uranio in Iran.
Una volta tornati a casa – sani e salvi – ci hanno scritto un libro, A Nuclear Family Vacation: vi farà divertire e renderà (forse) un po’ più simpatici i fisici che lavoravano metri e metri sottoterra nei laboratori segreti di Los Alamos. Ma vi allarmerà sulle politiche inconsistenti dell’amministrazione Bush, disposta a tutto pur di non parlare di disarmo.
Qui potete vedere lo slideshow delle foto dai luoghi della vacanza
Qui un’intervista a Nathan e Sharon